Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10987 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10987 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 22/01/1987 a VELLETRI
avverso l’ordinanza in data 27/09/2024 del TRIBUNALE DI ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, in sostituzione per delega orale dell’Avvocata NOME COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna l’ordinanza del 27/09/2024 del Tribunale di Roma, che ha parzialmente riformato il decreto in data 11/03/2024 del G.i.p. del Tribunale di Velletri, che aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria in relazione al reato di
riciclaggio contestato al capo 12 e al reato di cui all’art. 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, contestato ai capi 21, 22, 23 e 24. In particolare, il tribunale ha ridotto il valore del sequestro in relazione ai capi 21 e 22 e ha confermato integralmente il sequestro in relazione ai capi 12, 23 e 24.
Deduce:
1.1. “Violazione di legge in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen., 193 decreto legislativo n. 152 del 2006, 234 cod. proc. pen., 12 bis decreto legislativo n. 74 del 2000 in relazione agli artt. 322-ter cod. pen. e 321, comma 2, cod. proc. pen.”.
Il ricorrente denuncia l’apoditticità della motivazione nella parte in cui il tribunale ritiene che i formulari di identificazione dei rifiuti e le dichiarazioni de destinatari siano documenti che non dimostrano l’effettività dei conferimenti e comunque la reale provenienza dei rifiuti dal produttore, così assumendo acriticamente la falsità di detta documentazione, senza spiegarne le ragioni.
Aggiunge che il tribunale omette di confrontarsi con i dati offerti dagli identificativi dei bonifici di pagamento disposti dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della FDP, così non spiegando le ragioni per cui ha ritenuto che tali pagamenti fossero non fossero idonei a superare la presunta inesistenza dei conferimenti.
L’omessa motivazione viene denunciata anche in relazione alle dichiarazioni provenienti da soggetti terzi, pure destinatari dei rifiuti intermediati, la cui documentazione era stata allegata alla memoria depositata in vista dell’udienza di trattazione davanti al tribunale.
Rimarca come il formulario faccia fede delle circostanze nello stesso riportate, con particolare riferimento al nome e all’indirizzo del produttore e detentore, all’origine, tipologia e quantità del rifiuto, all’impianto di destinazione, alla data e al percorso dell’istradamento, al nome e all’indirizzo del destinatario.
Sulla valenza probatoria del formulario in tema di imposte dirette vengono richiamati i principi espressi dalla sezione tributaria della Corte di cassazione.
Il ricorrente sostiene, altresì, che il provvedimento viola i criteri di legge fissati in punto di identificazione del profitto, non considerando che si verte in tema di IRES e non in ipotesi di c.d. frodi carosello, così violandosi l’art. 12 del decreto legislativo n. 74 del 2000, avendo riguardo all’inerenza degli acquisiti all’attività della FDP.
Denuncia, ancora, l’omessa motivazione sulle doglianze esposte in relazione alle evidenze sul destino dei contanti prelevati dalle società fornitrici del materiale e, dunque, sul fumus dell’inesistenza oggettiva delle operazioni.
Osserva che «l’ordinanza di fatto giunge ad ammettere che le operazioni sarebbero inesistenti dal punto di vista soggettivo, ma stante l’inerenza dei costi sostenuti dalla FDP non sussiste profitto sequestrabile».
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RAGIONE_SOCIALE
1.2. Violazione di legge in relazione all’art. 648-bis cod. pen., in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen..
In questo caso si assume che il tribunale ha illegittimamente integrato la motivazione del decreto del G.i.p., in relazione all’elemento soggettivo del reato.
A tale proposito osserva che il tribunale ha il potere di integrare una motivazione carente, ma non una motivazione assolutamente mancante, come nel caso in esame.
Denuncia anche il vizio di omessa motivazione in relazione alle censure esposte in punto di insussistenza dell’elemento oggettivo del reato in capo a COGNOME, atteso che la condotta dissimulatoria si sarebbe già perfezionata all’atto del trasferimento del denaro in relazione alla condotta di autoriciclaggio contestata a a Paglia, in relazione alla quale COGNOME è estraneo.
1.3. Violazione di legge in relazione alla ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Velletri.
Secondo il ricorrente la competenza territoriale era radicata presso il Tribunale di Latina, dove aveva la sede operativa la società RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché propone questioni afferenti alla motivazione del provvedimento impugnato.
1.1. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti in relazione ai capi 21, 22, 23 e 24 sul fatto così ricostruito: COGNOME nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sui redditi relativamente agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021, si avvaleva, nella compilazione delle poste passive delle dichiarazioni dei redditi, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, emesse da una serie di società a tal fine compiacenti, con conseguente evasione dell’IRES per un ammontare complessivamente pari a 3,2 milioni di euro; in relazione al capo 12, COGNOME viene indicato quale destinatario di un bonifico proveniente da COGNOME (titolare della RAGIONE_SOCIALE ossia una delle società emittenti le false fatturazioni) così concorrendo al riciclaggio di una somma complessiva pari a 239.000 euro.
1.2. Proprio la RAGIONE_SOCIALE è stata ritenuta dai giudici una sorta di società cartiera, avendo emesso imponenti volumi di fatture per operazioni inesistenti, in relazione alla fornitura di materiale ferroso. In particolare, i giudici hanno escluso che la RAGIONE_SOCIALE avesse operato acquisiti di rottami per dieci milioni di euro osservando che la società operava sostanzialmente in assenza di dipendenti, che acquistava il ferro da ditte individuali risultate prive di strutture e controllate dallo stess COGNOME, per come risultante dalle circostanze analiticamente esposte dalla pagina 2 alla pagina 6 dell’ordinanza impugnata.
Sulla base di tali (e altre) circostanze, il tribunale evinceva che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai acquistato il materiale apparentemente fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE ; che, conseguentemente, la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai avuto la disponibilità di dieci milioni di euro di merce, così che essa non aveva potuto vendere tale quantitativo di rottami ferrosi alla RAGIONE_SOCIALE e al Gruppo Finzi.
I giudici ritenevano, così, la sussistenza del requisito del fumus commissi delicti in relazione ai capi 21, 22 e 23 e 24 (pur riducendo la misura del profitto).
1.3. In relazione al capo 12, il tribunale ha osservato che la RAGIONE_SOCIALE proprio attestando falsamente la sussistenza dei requisiti di legge in termini di fatturato, otteneva una serie di contributi non dovuti, destinati alle imprese per l’emergenza RAGIONE_SOCIALE per un ammontare di 239 mila euro che -ricevuti in tre tranchevenivano dirottati su conti nella propria disponibilità e da qui -con false causali- a terzi fiduciari, tra i quali l’odierno indagato, che riceveva 15.000 euro con la causale restituzione prestito personale, in realtà mai dimostrata.
Proprio sulla mancata dimostrazione di un rapporto di debito/credito, il tribunale ha argomentato circa la consapevolezza della fittizietà dell’operazione e sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di riciclaggio.
1.4. Va ulteriormente rilevato che quanto sopra è stato ritenuto dal tribunale dando risposta alle censure difensive e alle relative allegazioni documentali;
1.5. Il tribunale ha altresì trattato il tema della competenza territoriale e ha disatteso la relativa eccezione osservando che essa andava determinata in relazione ai reati di cui agli artt. 2 e 8 decreto legislativo n. 74 del 2000 e, attesa l’identica gravità, in applicazione degli artt. 8 e 16 cod. proc. pen., andava determinata avendo riguardo al luogo in cui era stato commesso il primo reato, individuato nel luogo di emissione della prima fattura, ossia quella emessa dalla RAGIONE_SOCIALE in Anzio, in ragione della ritenuta fittizietà della sede legale di Roma.
Quanto esposto soddisfa appieno l’obbligo di motivazione richiesto in relazione a un provvedimento di sequestro. A tale proposito va ricordato che in sede di cautela reale, la misura ablatoria si giustifica con il requisito del fumus commissi delicti, in relazione al quale il giudice del riesame (o dell’appello cautelare) non può guardare alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che, allo stato degli atti e fatto salvo il regime della progressione processuale, rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, con la sottolineatura che al giudice cautelare non può essere demandato un giudizio anticipato sulla responsabilità e che, ai fini dell’integrazione del fumus, sono richiesti sufficienti indizi del reato (c.d. serietà degli indizi) e non gravi indizi di colpevo lezza. In tal senso, è stato affermato che «in tema di misure cautelari reali, il
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giudice, nel valutare il fumus commissi delicti, presupposto del sequestro preventivo, non può limitarsi all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotes di reato, ma è tenuto ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali» (Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, COGNOME, Rv. 286366 – 01).
Va inoltre ricordato che «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice», (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
3. Fatte tali preliminari puntualizzazioni, si perviene all’inammissibilità dei ricorsi perché manifestamente infondati e perché propongono questioni non consentite in sede di legittimità. Dall’esame del contenuto del provvedimento impugnato emerge la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo secondo il quale i giudici avrebbero reso una motivazione apparente ovvero omessa, là dove, invece, risultano riscontrate ed esaminate tutte le questioni sollevate dalla difesa, sulla base di una motivazione che soddisfa l’obbligo richiesto in questa sede e che -in quanto tale- non può dirsi omessa.
A tale riguardo va ricordato che l’obbligo di motivazione non può essere inteso nel senso di esigere una risposta dettagliata a ciascun argomento sollevato.
Si deve considerare, infatti, che il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento eventualmente acquisito in atti ovvero evidenziato dalla difesa, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente.
In tal senso occorre ribadire che non si configura il vizio di omessa motivazione, come tale censurabile come violazione di legge in sede di legittimità, quando il giudice non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata dalla difesa, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa del provvedimento impugnato (in tal senso cfr., Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500 – 01).
Con specifico riferimento alle impugnazioni avverso provvedimenti cautelari reali, è stato precisato che «In tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di
una memoria difensiva da parte del tribunale del riesame non può essere dedotto in sede di legittimità, salvo che introduca temi nuovi e questioni diverse potenzialmente decisive, non sussistendo un’omessa valutazione quando gli argomenti in essa sviluppati, sui quali il provvedimento impugnato sia rimasto silente, siano smentiti dal complessivo impianto motivazionale, in quanto logicamente incompatibili con la ricostruzione accertata e la valutazione formulata» (Sez. 5, n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280670 – 01).
Il tribunale, infatti, ha ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti sulla base di una pluralità di elementi, come sopra evidenziati, così che la censura di avere valorizzato taluni elementi a discapito di talaltri valorizzati dalla difesa e non menzionati dal tribunale risulta essere una doglianza di merito, risolvendosi in una rilettura delle emergenze procedimentali alternativa a quella dei giudici di merito.
Con specifico riguardo alla censura secondo cui il tribunale del riesame avrebbe illegittimamente integrato il decreto del G.i.p., bisogna ricordare che «in tema di impugnazioni cautelari reali, non è consentito al tribunale del riesame integrare la motivazione del decreto di sequestro preventivo a fini di confisca in punto di “periculum in mora”, nel caso in cui essa sia del tutto mancante, in quanto tale carenza è causa di radicale nullità del provvedimento ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen.» (Sez. 3 , n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285747 – 01).
Va precisato che tale principio va inteso nel senso che l’impossibilità per il tribunale del riesame di sostituirsi al giudice di primo grado va ritenuta soltanto nella ipotesi in cui la totale omissione motivazionale versi su un requisito essenziale richiesto all’ordinanza genetica, quale il fumus commissi delícti ovvero il perículum in mora, ma non quando, come nel caso in esame, si ritenga mancante la motivazione su singoli aspetti tuttavia evincibili ovvero marginali rispetto al complessivo ordito motivazionale.
Da ciò discende la manifesta infondatezza della censura difensiva, che non lamenta la totale assenza di motivazione in punto di fumus commissi delicti o di periculum in mora, sostenendosi soltanto una -eventuale- omessa motivazione in relazione al solo elemento psicologico, così mancando gli elementi necessari a configurare la nullità assoluta del provvedimento genetico, per come dianzi rappresentati, così che il tribunale ha legittimamente esplicitato un elemento in realtà già evincibile dagli elementi valorizzati dal g.i.p..
Va conclusivamente osservato, dunque, che le argomentazioni difensive, in realtà, non denunciano il vizio di violazione di legge, ma sono esclusivamente mirate a prospettare valutazioni di fatto, non scrutinabili in sede di legittimità, in sede di impugnazione avverso un provvedimento pronunciato in materia cautelare reale.
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Tanto vale anche in relazione all’eccezione di incompetenza territoriale, che viene individuata dal ricorrente in base a una ricostruzione fattuale antagonista e alternativa rispetto a quella dei giudici di merito, così sollecitando al giudice della legittima accertamenti di fatto che gli sono preclusi.
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/01/2025