Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44714 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44714 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
NOME nato il 17/06/1982 a GARBAGNATE MILANESE NOME nato il 30/051951 ad NOME nato il 03/08/1976 a SARONNO avverso l’ordinanza in data 03/04/2024 del TRIBUNALE DI LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi in relazione a 107 crediti d’imposta e per l’annullamento con rinvio per 20 crediti d’imposta;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, per il tramite del comune procuratore speciale e con ricorsi congiunti, impugnano l’ordinanza in data 03/04/2024 del Tribunale di Monza che -a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 7021 del 16/01/2024-, ha confermato il provvedimento in data 30/06/2023 con cui il G.ip. del Tribunale di Monza aveva rigettato l’istanza di dissequestro dei crediti d’imposta di cui all’art. 119, d.l. n. 34 del 2020, sottoposti a sequestro preventivo impeditivo e in funzione di confisca, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., con decreto in data 9 marzo 2023 del G.i.p. del Tribunale di Monza, [ritenuti apparentemente ceduti alla società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, per l’importo complessivo di euro 4.380.556,00, in relazione al reato di cui all’art. 316-ter cod. pen..
Deducono:
Questione di legittimità costituzionale dell’art. 325 cod. proc. pen. in relazione all’art. 111, comma terzo, Costituzione.
Secondo i ricorrenti, il termine di quindici giorni fissato per la presentazione del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale in esito al riesame, non consente il pieno esperimento del diritto di difesa e risulta sperequato rispetto al lasso di tempo utilizzato dal tribunale per il deposito della motivazione del provvedimento, fissato in 45 giorni dallo stesso tribunale, cui si aggiungono quelli intercorrenti tra la celebrazione dell’udienza e la pronuncia del dispositivo, con avviso di deposito alle parti.
Inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione all’art. 321 cod. proc. pen, per la mancanza di motivazione in ordine al fumus commissi delicti e all’adeguatezza e proporzionalità del sequestro preventivo.
Il motivo d’impugnazione muove dalle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento in punto di verifica del fumus commissi delicti, che si assume dovesse essere sviluppato per ciascuno dei 126 contratti di appalto ed uno condominiale, mentre si è basato su soli 12 contratti di appalto e uno condominiale, in parziale risposta ai risultati forniti dalla consulenza di parte.
«Ancora una volta -scrive la difesa- il Giudice del rinvio omette di specificare e provare le ragioni per le quali, per ogni singola unità abitativa e, pertanto, per ogni singolo credito d’imposta, le lavorazioni eseguite dalla società RAGIONE_SOCIALE non siano state sufficienti al raggiungimento della soglia del 30% dei lavori effettuati, come previsto dalla normativa in materia, omettendo, altresì, di confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive».
Deduce, quindi, l’apoditticità e l’apparenza della motivazione, che non affronta le questioni demandate dalla sentenza rescindente e non si àncora su nessun elemento concreto.
Precisa che il sequestro ha riguardato tutti i crediti d’imposta, mentre sarebbe stato doveroso individuare quelli collegati a eventuali irregolarità, così che la misura risulta altresì sproporzionata e inadeguata.
Inosservanza di norma processuale, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 316-ter cod. pen. in ordine all’incidenza delle operazioni sottostanti i singoli crediti d’imposta, ai fini della configurabilità del reato e sotto i profili dell’adeguatezza e della proporzionalità.
Secondo il ricorrente, «il Giudice del rinvio, in ossequio alle direttive fornite dal Supremo Consesso nell’ordinanza di annullamento, avrebbe dovuto indicare dettagliatamente come le operazioni sottostanti i singoli crediti d’imposta vantati dalla COGNOME abbiano inciso sulla configurabilità del reato in contestazione».
A sostegno dell’assunto vengono illustrati i contenuti della motivazione dell’ordinanza impugnata, confrontandola con i contenuti della sentenza rescindente, oltre che con il dettato normativo in materia di c.d. superbonus.
Inosservanza di norma processuale e violazione di legge in relazione all’art. 119, comma 8 -bis, D.L. n. 34/2020, come modificato dalla legge n. 136 del 2023, circa il termine per sostenere le spese oggetto dell’agevolazione fiscale negli edifici condominiali e nelle unifamiliari.
Con il quarto motivo d’impugnazione si denuncia l’erronea applicazione della norma menzionata, con riguardo al rispetto del termine del 30 settembre 2022, in relazione agli immobili di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, facenti parte del condominio COGNOME.
Dopo avere illustrato i vari scaglioni in relazione alle scadenze e alle percentuali di detrazione, i ricorrenti sottolineano come in riferimento agli immobili in intitolazione sarebbe stata possibile una detrazione pari al 90%.
Rimarcano -inoltre- come la sentenza di annullamento avesse demandato al giudice del rinvio il compito di riscontrare tali circostanze, mentre il tribunale ha omesso di conformarsi a quanto disposto dalla Corte di cassazione.
Inosservanza di norma processuale e violazione di legge in relazione all’art. 119, comma 9, lett. c) e d) D.L. n. 34/2020, come modificato dalla legge n. 136 del 2023 circa il termine per sostenere le spese oggetto dell’agevolazione fiscale negli edifici condominiali o comunque mancata risposta al quesito posto dalla Cassazione.
Anche in questo caso si deduce l’omessa risposta al quesito demandato dalla sentenza rescindente in relazione alla norma menzionata, al cui riguardo si denuncia l’apparenza della motivazione.
Inosservanza di norma processuale e violazione di legge in relazione alla circolare del 6.10.2022 n. 33/E dell’Agenzia delle Entrate.
Anche in questo caso si muove dal contenuto della sentenza rescindente, nella parte in cui demandava al giudice del rinvio il compito di verificare il raggiungimento della quota del 30% dei lavori al 30 settembre 2022 e si deduce che il tribunale ha omesso di effettuare anche questa verifica.
Aggiunge che anche in questo caso si è tenuto conto di sole 12 abitazioni rispetto alle 127 unità unifamiliari.
Precisa ulteriormente che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il contribuente poteva optare tra lo sconto in fattura e il credito d’imposta e, ove si fosse esercitata tale opzione, l’attestazione con cui il tecnico abilitato assevera il raggiungimento del 30% dello Stato Avanzamento Lavori, assorbe qualsiasi altro tipo di certificazione necessaria a dimostrare l’effettiva realizzazione dei lavori.
Rimarca che il tribunale non opera nessun accertamento in maniera corretta, valutando solo ipotesi sparute, valorizzando interviste a privati effettuate dalla guardia di finanza e accessi del consulente COGNOME in sole 12 unità
abitative, senza tenere conto del complessivo intervento eseguito e delle asseverazioni dei direttori dei lavori.
Inosservanza di norma processuale e omessa motivazione in relazione alla circolare del 6.10.2022 n. 33/E dell’Agenzia delle Entrate.
Il motivo si rifà sostanzialmente a tutti quelli fin qui esposti, in quanto compendia la motivazione del provvedimento impugnato al fine di evidenziare come il tribunale abbia omesso di dare seguito a tutti i rilievi della sentenza di annullamento e come abbia operato le verifiche su 12 unità rispetto alle 127 interessate, per di più ricorrendo a verifiche erronee o comunque parziali.
Inosservanza di norma processuale, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione a quale operazione i crediti risultanti dalle note di credito emesse dalla società e quelli per cui la società abbia rifiutato la cessione abbiano generato un credito d’imposta effettivamente azionabile dalla società.
In questo caso si denuncia la contraddittorietà della motivazione, là dove il tribunale, in un primo momento, riconosce la correttezza delle note di credito e, poi, afferma che crediti si riferiscono a lavori non eseguiti nella misura del 30% entro il termine del 30 settembre 2022.
I ricorrenti osservano come le due asserzioni siano inconciliabili, in quanto o i crediti inseriti erano corretti e non necessitavano di nota di credito o i crediti erano erronei, con conseguente necessità di emettere la nota di credito.
Aggiungono che non vi è stato alcun riscontro circa i crediti annullati per i quali la RAGIONE_SOCIALE non ha avuto alcun beneficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. La questione di legittimità costituzionale -circa la violazione del diritto di difesa in relazione al termine per impugnare l’ordinanza del Tribunale del Riesame- è inammissibile perché difetta del requisito della rilevanza, atteso che la norma che si denuncia di incostituzionalità non ha alcuna influenza nel presente giudizio.
Il ricorso, invero, è stato presentato tempestivamente, così che l’odierno giudizio può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa.
Tale rilevanza, infatti, si sarebbe potuta astrattamente configurare in ipotesi di ricorso tardivo e, dunque, inammissibile per il mancato rispetto del termine fissato della norma tacciata di incostituzionalità, poiché in quel caso, con l’eventuale dichiarazione di illegittimità, verrebbe superato lo sbarramento del termine, con conseguente necessità di esaminare il ricorso nel merito.
Mancando, dunque, il requisito della rilevanza, va disattesa la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 325 cod. proc. pen..
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1.2. I restanti motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto ruotano tutti intorno alle medesime questioni, che si risolvono nella denuncia di violazione dell’art. 327, comma 3, cod. proc. pen. e nella omessa motivazione quanto al fumus commissi delicti, con particolare riferimento al rispetto del termine del 30/09/2022 per l’effettuazione dei lavori, per almeno il 30% dell’intervento complessivo.
Per l’esame delle questioni dedotte, comunque, si rendono necessarie delle preliminari puntualizzazioni quanto al perimetro in cui si deve muovere il giudizio cautelare avente a oggetto misure reali e ai limiti fissati per la loro impugnazione in sede di legittimità.
1.2.1. Sotto il primo profilo, va ricordato che in sede di cautela reale, la misura ablatoria si giustifica con il requisito del fumus commissi delicti, in relazione al quale il giudice del riesame (o dell’appello cautelare) non può guardare alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che, allo stato degli atti e fatto salvo il regime della progressione processuale, rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, con la sottolineatura che al giudice cautelare non può essere demandato un giudizio anticipato sulla responsabilità e che, ai fini dell’integrazione del fumus, sono richiesti sufficienti indizi del reato (c.d. serietà degli indizi) e non gravi indizi di colpevolezza.
In tal senso, è stato affermato che «in tema di misure cautelari reali, il giudice, nel valutare il fumus commissi delicti, presupposto del sequestro preventivo, non può limitarsi all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotesi di reato, ma è tenuto ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali», (Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, Balint, Rv. 286366 – 01).
1.2.2. Sotto il secondo profilo, va ricordato che «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice», (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
1.2.3. Va ulteriormente rimarcato come l’osservanza di quanto disposto
dall’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. vada parametrata ai limiti del giudizio cautelare reale così come dianzi delineati, non potendosi spingere fino alla verificai dei gravi indizi di colpevolezza, per come sembra richiedere il ricorrente con i motivi d’impugnazione in esame.
1.3. Fatte tali preliminari puntualizzazioni, si perviene all’inammissibilità dei ricorsi perché manifestamente infondati e perché propongono questioni non consentite in sede di legittimità.
Dall’esame del contenuto del provvedimento impugnato emerge la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo secondo il quale i giudici avrebbero reso una motivazione apparente, là dove, invece, risultano riscontrate ed esaminate tutte le questioni rimesse dalla sentenza rescindente, sulla base di una motivazione che soddisfa l’obbligo richiesto in questa sede e che -in quanto tale- non può dirsi omessa.
1.3.1. Il tribunale, infatti, ha ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti sulla base di una pluralità di elementi, peraltro enumerati in correlazione ai crediti d’imposta in sequestro, evidenziando che, pur essendovi un rapporto negoziale con i committenti, tuttavia i lavori non risultavano eseguiti entro il 30.09.2022 e comunque non nella misura del 30% dell’intervento complessivo.
In tal senso -specifica il tribunale- pur essendovi le asseverazioni da parte dei professionisti a ciò demandati, non risultavano eseguiti i lavori, per come richiesto dalla legge per ottenere il credito d’imposta.
I giudici sottolineavano che tanto emergeva dalle sommarie informazioni rilasciate dai committenti, dagli esiti della consulenza conferita dal pubblico ministero, dagli accertamenti della Guardia di Finanza, dalla data di acquisto dei beni (spesso successiva al 30/09/2022), dalla data di stipulazione dei contratti (anch’essi spesso successivi al 30/09/2022).
Il Tribunale ha altresì esaminato la consulenza prodotta dalla difesa e si è confrontata con le argomentazioni difensive correlate all’emissione delle fatture da parte della RAGIONE_SOCIALE, relative all’acquisto di 114 caldaie.
A tale riguardo ha osservato che la prima si riferiva soltanto a 34 unità ed era senza riferimenti temporali rispetto allo svolgimento dei lavori, poiché la stessa fotografava la situazione a maggio 2023, senza nulla precisare rispetto ai lavori eseguiti entro il 30/09/2022; che mancava altresì di riferimenti circa il profilo quantitativo, così che non era possibile stabilire se i lavori eseguiti o gli acquisiti effettuati avessero raggiunto la soglia del 30%.
Il tribunale esaminava altresì le fatture osservando che esse erano datate al 30/09/2022 o con data successiva, così che non risultavano utili ai fini difensivi, giacché -anche ove si volesse ritenere che nel 30% rientrassero anche gli acquisiti e non solo i lavori eseguiti- recando una data successiva alla scadenza del termine,
non potevano essere computate per il raggiungimento della quota in questione.
A ulteriore conferma della validità dell’ipotesi accusatoria -sempre nei limiti della sussistenza del fumus commissi delictii giudici hanno altresì evidenziato che dopo l’applicazione delle misure cautelari, COGNOME ha deciso di revocare diverse asseverazioni tecniche, riferite ai cantieri dove le opere non erano neppure iniziate.
Il tribunale, infine, ha ritenuto fondate le eccezioni difensive in relazione alle note di credito e ha escluso che a esse potesse riconoscersi valore indiziante, sottolineando che, comunque, il dato era recessivo rispetto agli ulteriori elementi che avevano condotto a ritenere che i crediti d’imposta erano stati ottenuti sulla base di false attestazioni.
1.3.2. La motivazione così sinteticamente e parzialmente richiamata fa emergere come essa non possa definirsi mancante o apparente, in quanto, per come richiesto in sede di verifica del fumus commissi delicti, indica sommariamente gli elementi di fatto in forza dei quali ha ritenuto sostenibile l’ipotesi accusatoria, fatto salvo ogni successivo approfondimento in base alle fasi del procedimento.
A ciò si aggiunga che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la disamina svolta dal tribunale non è stata limitata a dodici contratti di appalto e uno condominiale, visto che gli elementi valutati dai giudici del tribunale riguardano i numerosi cantieri coinvolti nella vicenda in esame, rispetto ai quali sono stati evidenziati gli elementi fattuali e le fonti investigative in forza dei quali è stato ritenuto sussistente il requisito indiziario così come richiesto nel giudizio in esame.
Tanto rende la motivazione conforme al principio di diritto sopra enunciato, visto che i giudici hanno ottemperato all’obbligo di motivazione richiesto in relazione al fumus commissi delicti.
1.3.3. Le argomentazioni difensive, dal loro canto, in realtà, non denunciano il vizio di violazione di legge, ma sono esclusivamente mirate a prospettare valutazioni di fatto -spesso generiche e aspecifiche- non scrutinabili in sede di legittimità, in sede di impugnazione avverso un provvedimento pronunciato in materia cautelare reale.
Va, infatti, osservato come le argomentazioni difensive non censurino specificamente i contenuti degli elementi concreti indicati dal tribunale (sommarie informazioni, consulenza del pubblico ministero, accertamenti sui cantieri, datazione delle fatture, genericità della consulenza di parte), limitandosi a eccepire genericamente la mancanza di motivazione (anche in punto di proporzionalità) che, per quanto detto, non si rinviene nel provvedimento impugnato.
A tale proposito vale osservare come -pur a fronte di una motivazione che, come visto, ha fatto riferimento a tutti i cantieri riconducibili alla vicenda in esame-, i ricorrenti si limitano apoditticamente ad affermare che la motivazione si rivolge a soli dodici contratti, così non confrontandosi con le argomentazioni e i rilievi del
provvedimento impugnato che, di fatto, vengono obliterati.
Da ciò discende anche il difetto di specificità del ricorso, dovendosi ricordare che «In tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato», (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01).
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 25/10/2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
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NOME COGNOME
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