Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20341 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20341 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/12/2023 del TRIB. RIESAME ‘ di MONZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Monza, in funzione di giudice del Riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. emesso dal Gip. Tribunale di Monza nei confronti di NOME COGNOME avente ad oggetto la somma di euro 279.390,00 rinvenuta all’interno del veicolo Audi A 6 Avant, la somma di euro 4280,00 e la somma di 350 franchi svizzeri rinvenuti nell’abitazione e infine l’autovettura Audi A 6 priva di targhe, già oggetto di sequestro probatorio.
NOME risulta indagato in ordine al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 con concorso con NOME COGNOME sulla base dei seguenti elementi:
-il 10 agosto 2023 i Carabinieri di Vimodrone avevano incrociato casualmente un soggetto intento ad aprire un furgone e, insospettiti dal suo atteggiamento nervoso, avevano proceduto alla perquisizione veicolare e personale, rinvenendo un’ ingente quantità di sostanza stupefacente del tipo cocaina (pari a 1120 grammi), la somma di 695,00 euro in contanti, svariati biglietti manoscritti riportanti indicazioni di cifre e nomi, nonché carte di credito e documenti di identità intestati a NOME, recanti la sua effigie;
le indagini avevano consentito di accertare che il soggetto fermato si chiamava in realtà NOME COGNOME ed era amministratore della società RAGIONE_SOCIALE; presso la sede legale della società e presso la sua abitazione venivano rinvenuti la somma di 6000 euro, diverse banconote in valute estere, due assegni circolari emessi all’ordine della RAGIONE_SOCIALE per l’importo rispettivamente COGNOME di 50.000 euro COGNOME e 40.000 euro, dispositivi elettronici e informatici, ulteriori biglietti manoscritti recanti cifre e nominativi, nonché l chiavi di due autovetture marca Tesla e Audi;
-il veicolo Audi A TARGA_VEICOLO Avant, intestato alla società RAGIONE_SOCIALE, veniva rinvenuto all’interno di un box sito in INDIRIZZO, nelle immediate vicinanze del luogo in cui NOME era stata fermato, e COGNOME intestato ai coniugi COGNOME, i quali avevano riferito di averlo locato a tale NOME, dimorante anch’egli nello stabile di INDIRIZZO. All’interno dell’auto Audi A 6 Avant, priva di targhe, erano state trovate carte bancomat, sim telefoniche, ricevute di pagamento e chiavi di altre autovetture;
NOME, locatario del box, era stato identificato nel ricorrente NOME COGNOME e presso la sua abitazione erano stati trovati vari documenti di identità, intestati fra gli altri, anche a NOME, ulteriori carte di pagamento, denaro contante dell’importo di 4.280,00 euro e di 350,00 franchi svizzeri, chiavi di
autoveicoli e dispositivi elettronici, non le chiavi del box ove era custodita la autovettura TARGA_VEICOLO;
accertamenti più approfonditi sull’auto Audi TARGA_VEICOLO Avant avevano portato scoprire l’avvenuta installazione sulla stessa di un doppio fondo occulto nel quale era stato nascosto denaro contante per l’importo di euro 279.390,00, chiavi di altri veicoli e documenti falsi riconducibili a COGNOME.
Sulla base di tutti tali elementi nel provvedimento di sequestro disposto dal Giudice per le indagini preliminari era stato evidenziato il collegamento esistente fra NOME COGNOME e NOME COGNOME ed era stato desunto il fumus del reato relativo alla detenzione della cocaina nei confronti di entrambi tali soggetti.
Il Tribunale ha ritenuto che la disponibilità di così ingenti some in contanti, di un’autovettura priva di targhe e dotata di un vano occulto, nonché di documenti falsi potesse facilitare il riciclaggio delle somme, ovvero il reimpiego delle stesse per l’acquisto di ulteriori partite di stupefacente da immettere sul mercato e ha, altresì, rilevato che, comunque, i beni oggetto di sequestro erano anche confiscabili ai sensi dell’art. 240 cod. pen. ovvero ai sensi dell’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Monza, ha proposto ricorso l’indagato, a mezzo di proprio difensore, formulando un unico motivo, con cui ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus del delitto di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90. Il difensore osserva che in sede di riesame aveva contestato che gli elementi da cui era stato desunto il coinvolgimento di COGNOME nella illecita attività di traffico illecito di sostanze stupefacenti fossero ambigui; aveva rilevato che il veicolo, privo di targhe e radiato dalla motorizzazione civile, non recava alcun segno riconducibile a sostanza stupefacente; che anche i manoscritti non presentavano i tipici caratteri della contabilità del venditore di sostanze, ossia nomi associati a cifre; che il rinvenimento di un così elevato numero di chiavi di veicoli, di documenti e denaro permetteva di ipotizzare eventuali altre attività, ma non certo quella di traffico di sostanze stupefacenti. A fronte di tali censure, il Tribunale di Monza, in nessun passaggio della ordinanza impugnata, si era soffermato sulla sussistenza del funnus del reato contestato, né tantomeno aveva indicato elementi a sostegno di tale fumus. In un solo passaggio, i giudici avevano sottolineato che COGNOME non aveva fornito giustificazione circa la provenienza delle somme: tale circostanza poteva valere a dimostrare che il denaro era stato accumulato attraverso attività illecita, ma non necessariamente attraverso il reato in contestazione, rispetto al quale nessun
indizio era stato indicato. In altri termini -secondo il difensore- il Tribunale non aveva evidenziato alcun elemento a sostegno della configurabilità del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, nonostante la difesa avesse dedotto specifica censura sul punto.
Il Tribunale, inoltre, sarebbe incorso nel vizio del travisamento della prova, in quanto avrebbe considerato irrilevante la documentazione prodotta dalla difesa, ovvero le dichiarazioni di COGNOME NOME e NOME COGNOME, secondo cui essi avevano consegnato a COGNOME ingenti somme di denaro da investire in valute dematerializzate (Bitcoin). Anche il riferimento a manoscritti, trovati nella disponibilità di NOME e in copia nella disponibilità di COGNOME, doveva ritenersi improprio, in quanto si trattava soltanto di due fogli di cui uno una semplice ricetta culinaria, in assenza di elementi per desumere l’esistenza di rapporti legati al narcotraffico.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Avverso il provvedimento impugnato, il ricorso per cassazione è esperibile nei ristretti limiti indicati dall’art. 325 cod. proc. pen., a tenore del quale “Contr le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge”. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice. (Fattispecie relativa a annullamento dell’ordinanza di riesame confermativa del sequestro probatorio di cose qualificate come corpo di reato e del tutto priva di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti). (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. COGNOME in proc. COGNOME, Rv.
226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 co. 1 c.p.p. citato, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 co. 1, lett. e), c.p.p. (ex multis: Sez. 6 n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).
3. Ciò premesso, si osserva che la censura del ricorrente è incentrata esclusivamente sulla sussistenza del fumus del reato contestato. A tale fine si ricorda che nella giurisprudenza di legittimità al tradizionale canone interpretativo, secondo il quale in tema di sequestro preventivo non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (da ultimo ribadito dalla pronuncia Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv.273069), si è contrapposto un altro filone più significativo secondo cui, nella valutazione del “fumus commissi delicti”, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice deve verificare la sussistenza di un concreto quadro indiziario, non potendosi limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa (Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, COGNOME, Rv. 272927; Sez. 2, n. 10231 del 08/11/2018, dep. 2019, Pollaccia, Rv. 276283). Secondo tale ultimo orientamento, anche a fondamento di una misura cautelare reale devono sussistere elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano – tenendo conto della fase processuale – di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato, pur non dovendo assurgere, il compendio complessivo, alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure di cautela personale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il controllo del giudice, dunque, non deve fermarsi alla verifica della astratta sussumibilità del fatto in una ipotesi di reato, ma deve estendersi alla verifica dell’esistenza di un vincolo fra la cosa ed il reato per cui si procede, che deve essere a sua volta assistito da gravità indiziaria. Il funnus richiesto per l’adozione del sequestro preventivo è costituito dalla esistenza di indizi di reato, cioè dalla esistenza di elementi concreti che facciano apparire verosimile che un
reato sia stato commesso, sicché è necessaria una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, in base alle quali vengono in concreto ritenuti esistenti il reato configurato e la conseguente possibilità di ricondurre alla figura astratta la fattispecie concreta (Sez. 5 n. 3722 del 11/12/2019 dep. 2020, Gheri, Rv. 278152; Sez 6 n. 33965 del 13/04/2021 non mass.).
Nel caso in esame, il ricorrente, sotto l’apparente dizione della violazione di legge, deduce unicamente un difetto di motivazione, ovvero un vizio non prospettabile avverso le ordinanze in tema di misure cautelari reali. COGNOME Il Tribunale del Riesame nella parte inziale, come supra indicato, ha dato atto delle risultanze delle indagini a sostegno dell’ipotesi per cui NOME concorresse con l’amico NOME nel reato inerenti gli stupefacenti oggetto di contestazione. L’ordinanza impugnata contiene una analitica descrizione dei fatti accertati da cui doveva desumersi che la droga sequestrata nella disponibilità di COGNOME fosse da ricondurre, nella prospettiva della fase cautelare in esame, anche a COGNOME: sono stati evidenziati, a tale fine, il legame fra i due indagati, l’utilizzo da part di COGNOME, quale nascondiglio per il denaro e documenti, TARGA_VEICOLO di un’autovettura intestata alla società di COGNOME e si sono spiegate TARGA_VEICOLO le ragioni per cui la documentazione prodotta dal ricorrente (che nella prospettiva della difesa varrebbe a provare che la somma rinvenuta sull’auto era destinata agli investimenti operati da COGNOME in valuta dematerializzata), non valeva a dimostrare quanto preteso.
La motivazione adottata, dunque, non può ritenersi assente, né meramente apparente, anche con riferimento al requisito della sussistenza del fumus delicti che deve sorreggere il provvedimento ablatorio.
Ne consegue che con il ricorso in esame è stato dedotto, nella sostanza, un vizio non deducibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, non sussistendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 3 aprile 2024 Il Consigliere COGNOME nsore COGNOME
Il Pr sidente