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Frode informatica: conto d’appoggio e concorso nel reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per concorso in frode informatica. La donna aveva messo a disposizione il suo conto corrente per ricevere un bonifico fraudolento, trasferendo poi rapidamente i fondi. La Corte ha ritenuto che l’apertura di un conto ‘d’appoggio’ e le successive operazioni finanziarie, unite ad altri indizi, fossero sufficienti a dimostrare la sua consapevole partecipazione (dolo) al reato, respingendo le tesi difensive sulla sua presunta estraneità ai fatti.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode informatica: la trappola del conto corrente d’appoggio

Sempre più spesso le cronache riportano casi di frode informatica, un reato insidioso che sfrutta la tecnologia per sottrarre denaro. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 19138/2024) ha fatto luce su un aspetto cruciale: la responsabilità di chi, pur non essendo l’autore materiale della frode, presta il proprio conto corrente per far transitare i proventi illeciti. La decisione conferma un orientamento rigoroso, stabilendo che tale condotta integra a tutti gli effetti un concorso nel reato.

La Vicenda Processuale

Il caso esaminato riguarda una donna condannata in primo e secondo grado per concorso in frode informatica. L’accusa si basava sul fatto che l’imputata avesse aperto un conto corrente, definito ‘d’appoggio’, sul quale era confluito un bonifico di oltre 31.000 euro, frutto di una truffa ai danni di un’azienda. Quest’ultima, convinta di pagare un proprio fornitore, aveva in realtà inviato il denaro sul conto dell’imputata a causa di una ‘deviazione’ informatica.

Subito dopo l’accredito, l’intera somma era stata trasferita su un secondo conto, sempre intestato alla donna, per poi essere in parte prelevata in contanti e in parte girata a un terzo soggetto. A rendere il quadro ancora più sospetto, sullo stesso conto era transitata un’altra somma di quasi 12.000 euro, anch’essa oggetto di una denuncia per una frode informatica con lo stesso modus operandi.

La difesa dell’imputata sosteneva la sua totale estraneità, affermando che fosse stata a sua volta una vittima e che avesse sporto denuncia per lo smarrimento dei documenti bancari relativi a quel conto.

I Motivi del Ricorso e la responsabilità nella frode informatica

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali:

1. Violazione della legge processuale: Si contestava l’utilizzabilità delle prime dichiarazioni rese dall’imputata, raccolte senza le garanzie difensive (cioè senza la presenza di un avvocato), sostenendo che fin dall’inizio dovesse essere considerata indagata.
2. Errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione: Secondo la difesa, mancava la prova della consapevolezza e volontà (il dolo) di partecipare alla frode informatica. L’apertura del conto e il mero transito dei fondi non sarebbero stati sufficienti a dimostrare un suo contributo consapevole all’attività delittuosa altrui.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive con un ragionamento logico e coerente, basato su dati oggettivi.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che la questione sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni non poteva essere sollevata per la prima volta in Cassazione, in quanto richiedeva valutazioni di fatto di competenza dei giudici di merito. In ogni caso, le dichiarazioni erano state interrotte non appena erano emersi gravi indizi di colpevolezza, come previsto dal codice.

Sul punto cruciale, ovvero la prova del dolo, la Cassazione ha sottolineato come i giudici di merito avessero correttamente desunto la malafede dell’imputata da una serie di elementi concordanti, considerati nel loro insieme:

* Il conto corrente era stato scarsamente utilizzato per altre operazioni, suggerendo che fosse stato aperto proprio per lo scopo illecito.
* L’imputata non aveva alcun rapporto commerciale o di altro tipo con la vittima della frode.
* La somma ricevuta era stata immediatamente trasferita e ‘svuotata’ dal conto, un comportamento tipico di chi vuole far sparire rapidamente proventi illeciti.
La denuncia di smarrimento dei documenti bancari era stata presentata solo dopo* il compimento delle operazioni fraudolente, apparendo più come un tentativo di precostituirsi una difesa che come un atto in buona fede.
* La ripetizione di un’operazione analoga sullo stesso conto rafforzava l’ipotesi di un sistema collaudato.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: nel processo penale, la prova non deve necessariamente basarsi su una confessione o su riscontri diretti, ma può essere validamente fondata su un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti. Il tentativo della difesa di fornire una spiegazione alternativa dei fatti è stato giudicato meramente ipotetico e non supportato da alcun riscontro probatorio, e quindi non in grado di scalfire la logicità della ricostruzione accusatoria.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante: prestare il proprio conto corrente, anche per semplice leggerezza o per ottenere un piccolo compenso, può avere conseguenze penali gravissime. I giudici non si fermano alle apparenze e valutano l’insieme delle circostanze per accertare la responsabilità penale. La condotta di chi funge da ‘prestanome’ o ‘money mule’ è considerata un anello fondamentale nella catena della frode informatica, un contributo consapevole e volontario al reato. La decisione della Cassazione riafferma che non è possibile invocare la propria ingenuità di fronte a un quadro indiziario così solido, che dimostra chiaramente un coinvolgimento attivo nel disegno criminoso.

Prestare il proprio conto corrente per una transazione può configurare il reato di frode informatica?
Sì. Secondo la sentenza, mettere a disposizione il proprio conto corrente per far transitare somme di provenienza illecita costituisce un contributo consapevole al reato, sufficiente per essere condannati per concorso in frode informatica, specialmente se corroborato da altri indizi.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza avvocato?
No. La Corte ha stabilito che tale eccezione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede valutazioni di fatto che spettano al giudice di merito, il quale deve vagliare in contraddittorio quando siano emersi gli indizi di reità.

Denunciare lo smarrimento dei documenti bancari dopo le operazioni illecite è una valida difesa?
In questo caso, non è stata ritenuta una difesa valida. La Corte ha considerato la tempistica della denuncia, avvenuta dopo il compimento delle operazioni fraudolente, non come una prova di buona fede, ma come un ulteriore indizio a carico dell’imputata, interpretandolo come un tentativo di crearsi un alibi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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