Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31918 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato a Genova il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/09/2023 della Corte di appello di Genova visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso e comunque la declaratoria di prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di Savona del 3 marzo 2022, che aveva condannato l’imputato NOME COGNOME per il reato di frode in pubbliche forniture (art. 356 cod. pen.).
All’imputato era stato contestato di aver, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, in concorso con NOME
COGNOME, consigliere del CDA della medesima società, commesso frode nell’esecuzione di un contratto di appalto affidato a tale società dal RAGIONE_SOCIALE di Sassello, avente ad oggetto i servizi di telemedicina e diagnostica domiciliare e preventiva per i Comuni dell’ATS n. 30, al fine di consentire ai soggetti anziani o più fragili di poter usufruire dei servizi domiciliari di medicina.
In particolare, secondo l’imputazione, costoro avevano commesso palesi violazioni delle prestazioni essenziali, non fornendo adeguata presenza sul territorio, manifestando carenze strutturali che non consentivano l’avvio del servizio e presentando fatture di dubbia legittimità (simulando l’acquisto di un veicolo da destinare al servizio e di strumentazione sanitaria necessaria per le diagnosi), come contestato nella dichiarazione di risoluzione del contratto del 9 settembre 2016.
Secondo i giudici di merito, la condotta penalmente rilevante – espressione di malafede contrattuale – era stata provata con riferimento alla mancata messa a disposizione dell’unità mobile di refertazione (ovvero l’autovettura appositamente adibita a raggiungere i pazienti sul territorio) e alla irregolare dotazione d strumentazione sanitaria necessaria per l’espletamento di analisi.
Nell’offerta tecnica, la società aggiudicataria aveva rappresentato la predisposizione di una Fiat Panda (utilizzata dalla società anche nella fase di presentazione pubblica del servizio), attrezzata con ecografo e altra strumentazione clinico-diagnostica, e lo svolgimento del servizio attraverso una divisione interna (“NOME“).
Era emerso che l’autovettura suddetta era stata subito riconsegnata al concessionario e sostituita con autovetture personali dei soci della cooperativa e infine con altra autovettura acquistata in corso di contratto solo il 5 agosto 2016, dopo le contestazioni del RAGIONE_SOCIALE; che in realtà la “NOME” non era una mera divisione interna della aggiudicataria, bensì una società distinta, alla quale di fatto era stato affidato in subappalto il core business del servizio appaltato.
A questa ultima violazione rilevante del contratto si aggiungevano anche irregolarità nell’acquisto dei macchinari, tali da far ritenere interposizioni fitti tra NOME e NOME con riflessi anche sui costi dei fatturati.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione alla prescrizione del reato e agli artt. 157, 158 e 356 cod. pen.
La Corte di appello ha ritenuto il reato non ancora prescritto, collocando la data di consumazione del reato al 9 settembre 2016 ovvero al momento in cui è avvenuta la contestazione dei vizi e degli inadennpimenti dell’appaltatore.
Tale assunto è erroneo.
La giurisprudenza afferma infatti che il reato si consuma quando si è perfezionata la violazione fraudolenta degli obblighi contrattuali e la RAGIONE_SOCIALE è messa in condizioni di disvelare l’inadempimento.
Nel caso in esame andava considerato quanto avvenuto il 29 agosto 2015: secondo la ricostruzione della Corte di appello, in tale data vi era stata la presentazione del servizio nel quale era stata esibita la Fiat Panda (facendola apparire con malafede come destinata al servizio) ma poi il servizio, iniziato tra la fine di settembre e la metà di ottobre, era stato svolto con autovetture differenti. Quindi la difformità era palesemente riconoscibile e il RAGIONE_SOCIALE già da allora (al massimo entro ottobre 2015) era in grado di verificare l’utilizzo delle autovetture.
Anche per l’altro profilo di frode, il ruolo della società RAGIONE_SOCIALE era noto al RAGIONE_SOCIALE un anno prima dell’invio della lettera di contestazione.
2.2. Violazione di legge con riferimento all’art. 521 cod. proc. pen.
L’imputato è stato condannato per una condotta diversa con riferimento al profilo della autovettura: nella imputazione si contestava la simulazione dell’acquisto dell’autovettura, facendo rinvio alla lettera di risoluzione del rapporto contrattuale (con la quale il RAGIONE_SOCIALE aveva contestato il mancato acquisto della Fiat Panda, pur inserito nella fatturazione elettronica e nella nota spese liquidata dalla Ragioneria comunale, facendo rilevare che l’unità mobile era requisito essenziale del capitolato di appalto). La Corte di appello, pur dando atto che nel processo si era lungamente discusso del mancato acquisto in proprietà dell’autovettura, ha ritenuto di individuare la condotta illecita piuttost nell’impossibilità di rispettare il requisito contrattuale della messa a disposizione di un veicolo “appositamente adibito” allo svolgimento del servizio.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 356 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La Corte di appello, quanto all’autovettura, ha ritenuto che la malafede contrattuale fosse ravvisabile nella messa a disposizione a turno di vetture diverse dei soci, anziché di un’unica autovettura.
Peraltro, tale condotta non realizza quel quid pluris rispetto alla mera inadempienza contrattuale.
La Corte di appello ha poi ignorato circostanze decisive:
la autovettura è stata acquistata dalla aggiudicataria nell’agosto 2016, ma non dopo le contestazioni formali del RAGIONE_SOCIALE. D’altra parte, il servizio era iniziato solo dall’ottobre 2015 e aveva comunque durata triennale.
NOME ha comunque garantito il servizio (si allegano stralci dei verbali di vari testi).
2.4. Violazione di legge con riferimento all’art. 521 cod. proc. pen.
Anche con riferimento all’altra condotta ritenuta penalmente rilevante (aver fatto ricorso alla NOME quale soggetto in realtà distinto) è ravvisabile l violazione dedotta al secondo motivo, in quanto il capo di imputazione non fa riferimento affatto a tale contestazione.
Neppure coglie nel segno l’argomentazione della Corte di appello, là dove ha ritenuto sufficiente il riferimento nella imputazione a fatture di dubbia legittimità posto che anche nella lettera di contestazione del RAGIONE_SOCIALE (alla quale si fa espresso rinvio) nulla si dice in merito al ruolo di NOME (che è del tutto estranea all’istruttoria e alla discussione del primo grado).
2.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 356 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Anche con riferimento al ruolo di NOME, la sentenza impugnata è censurabile quanto alla integrazione del reato contestato, configurando al più la mancata comunicazione del subappalto una violazione contrattuale, che comunque non ha prodotto effetti sul servizio o danni alla P.A. (il corrispettivo per NOME era comunque fisso e non a rendicontazione, cfr. la testimonianza di COGNOME e nota spese).
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e la difesa del ricorrente hanno depositato conclusioni scritte (la difesa anche di replica), come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in ogni sua articolazione, per le ragioni di seguito indicate.
Quanto al primo motivo relativo alla prescrizione del reato, il capo di imputazione indica la data di accertamento del reato (9 settembre 2016), che coincide con quella in cui il RAGIONE_SOCIALE di Sassello ebbe a contestare alla società RAGIONE_SOCIALE le inadempienze contrattuali, dichiarando il contratto di appalto risolto.
I rilievi difensivi volti a contestare che questa sia la data di consumazione del reato sono manifestamente infondati e si basano anche su argomenti generici e di precluso merito.
Va rammentato che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il momento consumativo del reato di cui all’art. 356 cod. pen., nel caso di prestazioni complesse e progressive, coincide con il momento in cui la P.A. è messa in condizione di compiere le attività di verifica e controllo (Sez. 6, n. 9081 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 272384).
Il momento consumativo presuppone infatti il compimento di una attività di verifica svolta dal contraente pubblico in grado di disvelare il mancato adempimento del contratto nei suoi profili essenziali, che viene fatto coincidere con la contestazione di specifici vizi o inadempienze all’appaltatore, non essendo sufficiente una qualsiasi difformità nell’esecuzione della prestazione o la mera interlocuzione fra le parti (Sez. 6, n. 38346 del 15/05/2014, Rv. 260269).
Nel caso in esame, la Corte di appello halybíron governo di tali principi, identificando il momento consumativo alla data della contestazione “specifica” dei vizi da parte del RAGIONE_SOCIALE (9 settembre 2016).
Anche a voler ritenere non essenziale la avvenuta contestazione, è pur vero che questa attività consente di disvelare il momento in cui la RAGIONE_SOCIALE ha verificato il mancato adempimento del contratto nei suoi profili essenziali.
La tesi in questa sede proposta volta a retrodatare tale momento constatativo si presenta generica e di merito.
Il ricorrente né con l’appello, né con motivi aggiunti o con memoria, risulta abbia contestato “in fatto” la esatta indicazione del momento consumativo del reato.
Come più volte affermato in questa Sede, la Corte di cassazione può essere investita della corretta applicazione della norma penale anche per la prima volta purché entro i limiti in cui il fatto sia stato storicamente ricostruito dai giudic merito (tra tante, Sez. 6, n. 6578 del 25/01/2013, Rv. 254543).
Ciò vale anche per la prescrizione.
Il ricorrente che, nel giudizio di cassazione, invochi la prescrizione del reato, assumendo, per la prima volta in detta sede, che la data di consumazione è antecedente a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni, fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato risulta ,,etWED consumato in data anteriore e insuscettibili di essere smentiti da altri ( elementi di prova acquisiti al processo (per tutte, Sez. 2, n. 41151 del 28/09/2023, Rv. 285300).
Nel caso in esame, il ricorrente non ha fornito elementi dotati di tale idoneità, limitandosi ad allegare circostanze di fatto non incontrovertibili.
Invero, con argomentazioni generiche e di merito, il ricorrente sostiene che la difformità del servizio quanto all’uso di altre autovetture era “palesemente
riconoscibile” al massimo entro ottobre 2015 (quando era iniziato il servizio) e che il ruolo di NOME era già noto nell’offerta di gara.
E’ sufficiente in ogni caso evidenziare che la sentenza di primo grado aveva ancorato la prima emersione di incongruità del servizio tra “aprile e maggio del 2016” (cfr. pag. 3), tra le quali la effettiva disponibilità da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’autovettura dedicata; mentre, quanto all’NOME, il ruolo della stessa nell’offerta era diverso (di qui la condotta ingannevole) da quello rivelatosi successivamente.
Con accertamento di fatto, i giudici di merito hanno ritenuto, come si evince dalla sentenza di primo grado, che solo all’esito delle risposte fornite dalla RAGIONE_SOCIALE dopo i colloqui dell’aprile-maggio 2016, siano state “verificate” le complessive inadempienze che avevano portato il RAGIONE_SOCIALE alla risoluzione del contratto.
Il secondo motivo, che deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. con riferimento all’autovettura è precluso in questa sede e comunque manifestamente infondato.
La questione della diversità del fatto e del difetto di corrispondenza tra accusa e sentenza è stata sollevata per la prima volta in questa sede (nell’atto di appello non vi è traccia di questa specifica violazione tra i motivi di gravame), sicché trova applicazione il principio più volte affermato (Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Rv. 269886; Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, Rv. 253217), secondo il quale la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo; ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità.
Ed infatti già in primo grado (cfr. pag. 12 della sentenza del Tribunale) si era accertato che la condotta di frode si era consumata con la dissimulazione della realtà, facendo apparire che la società disponeva del mezzo necessario per realizzare il servizio a domicilio ovvero avente “caratteristiche specifiche idonee”.
L’accusa in ogni caso non risulta neppure modificata così da violare le prerogative difensive.
E’ principio pacifico in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la
violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
Nella specie, la contestazione nella imputazione riguardava in AVV_NOTAIO la simulazione dell’acquisto dell’autovettura e la lettera di contestazione (come riassunta, nel suo contenuto, a pag. 3 della sentenza di primo grado). Tale lettera faceva riferimento anche alla utilizzazione per il servizio di macchine personali dei soci (evidentemente prive di quelle caratteristiche contrattuali in quanto il veicolo per lo svolgimento del servizio, secondo il Capitolato, doveva avere “requisiti tecnici e dispositivi”).
Il terzo motivo, avente ad oggetto il cumulativo vizio di violazione degli artt. 356 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e di motivazione, è merannente reiterativo di una questione alla quale la Corte di appello ha fornito corretta risposta che non risulta manifestamente illogica e alla quale il ricorrente non si correla, proponendo in questa sede una non consentita rivalutazione delle prove.
La Corte di appello, quanto all’autovettura, ha ritenuto che la frode contrattuale fosse ravvisabile nell’aver la società fatto maliziosamente apparire all’ente pubblico la messa a disposizione dell’autovettura “dedicata” prevista dal capitolato per poi, solo dopo pochi giorni, sostituire la suddetta vettura con quelle prese in comodato di volta in volta dai soci.
Come ha spiegato la sentenza impugnata, la modifica contrattuale era non solo preceduta da una simulazione volta ad ingannare la controparte sulle modalità di adempimento del contratto, ma non era stata neppure comunicata all’ente (che l’aveva scoperta solo in seguito procedendo alla contestazione del vizio) e comunque riguardava un punto essenziale del contratto stesso in quanto le modalità di reperimento delle auto (in luogo di quella “dedicata” quale unità mobile di refertazione) non assicuravano alcuna garanzia sulla idoneità dei veicoli e sulla loro pronta reperibilità per la continuità del servizio.
Sin dal primo grado inoltre è stato chiarito Come l’atto di acquisto della autovettura in corso di contratto risalisse al 5 agosto 2016 (cfr. pag. 5 sentenza di primo grado) ovvero in data successiva alle prime contestazioni mosse dal RAGIONE_SOCIALE (ovvero quelle di cui si è detto sopra susseguenti agli incontri dell’aprilemaggio 2016).
Il quarto motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. con riferimento all’altra condotta ritenuta penalmente rilevante (il ricorso alla società RAGIONE_SOCIALE), va osservato che la questione era stata solo genericamente
avanzata con l’appello (cfr. pag. 11 del gravame), nel quale il ricorrente si era limitato a richiamare la imputazione che non conteneva alcun riferimento ad essa.
Peraltro, già la sentenza di primo grado (cfr. pag. 8) aveva inquadrato tali vicende nell’ambito della contestazione della presentazione di fatture di “dubbia legittimità”, relative anche all’acquisto di strumentazione sanitaria.
Pertanto, risulta preclusa la doglianza difensiva volta a dimostrare solo in questa sede che le fatture di cui al capo di imputazione non riguardino i rapporti con NOME.
E’ appena il caso di rilevare che l’istruttoria dibattimentale aveva consentito comunque di approfondire (cfr. pag. 8 della sentenza di primo grado) le modalità dell’acquisto dell’ecografo che aveva rivelato i reali rapporti tra NOME e NOME.
Anche l’ultimo motivo, relativo al vizio di violazione degli artt. 356 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e di motivazione, con riferimento ai rapporti con NOME, articola censure all’evidenza prive di rilevanza e fondatezza.
Non merita censura alcuna la valutazione da parte dei giudici di merito del ricorso a subappalti non autorizzati: esso, infatti, può costituire grave inadempimento contrattuale soprattutto quando, come nel caso in esame, la società subappaltatrice avrebbe dovuto svolgere i servizi fondamentali dell’attività richiesta dal bando.
A ciò va aggiunto che la condotta del ricorrente non si è limitata alla mancata comunicazione del subappalto, posto che la malafede contrattuale è stata integrata dall’aver presentato NOME come una “divisione interna” della RAGIONE_SOCIALE, ingannando pertanto il RAGIONE_SOCIALE sulla disponibilità da parte della aggiudicataria della strumentazione necessaria per svolgere il servizio.
E questo costituiva quindi quell’espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (tra tante, Sez. 6, n. 25372 del 17/05/2023, Rv. 284883).
La ratio dell’art. 356 cod. pen. è, infatti, ravvisabile nella necessità di porre i contratto al riparo da comportamenti fraudolenti del fornitore, rafforzando con la sanzione penale la corretta e leale esecuzione del contratto di pubbliche forniture (ex plurimis, Sez. 6, n. 26231 del 12/04/2006, Rv. 235171).
La norma non richiede invece che il comportamento fraudolento debba necessariamente estrinsecarsi nell’uso di artifici o raggiri, propri del delitto d truffa, o determinare un evento di danno per la pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 38346 del 15/05/2014, Rv. 260270; in senso conforme, cfr. in motivazione, Sez. 6, n. 45105 del 28/10/2021, Rv. 282267; Sez. 6, n. 29374 del 14/09/2020, Rv. 279679; Sez. 6, n. 18456 del 22/04/2016), coincidente con il profitto 7 —-Th dell’agente, essendo a tal fine sufficiente la semplice malafede contrattuale
NOME–
ovvero, come detto, la presenza di un espediente malizioso o ingannevole idoneo a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti.
In tale prospettiva, irrilevante è pertanto che la malafede contrattuale non abbia nel caso in esame prodotto effetti sul servizio o danni alla PRAGIONE_SOCIALE.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso V06/06/2024.