Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 28655 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 28655 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova nel procedimento a carico di RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza del 2/5/2025 emessa dal Tribunale di Genova visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali si riportano alla memoria depositata e chiedono il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Genova annullava il decreto di sequestro
preventivo emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) indagata per l’illecito amministrativo di cui all’art. 24, commi 1 e 2, d.lgs. n. 231 del 2001, in relazione al reato di frode nelle pubbliche forniture.
In particolare, si assume che nell’interesse della società sarebbero state realizzate plurime condotte di falsificazione relativamente alla manutenzione dei motori e alle sostituzioni con pezzi di ricambio non certificati sulle navi impiegate per l’espletamento del servizio di trasporto, in tal modo la C.I.N. si sarebbe resa inadempiente rispetto all’obbligo di rispettare le norme nazionali e internazionali in materia ambientale, oggetto di specifica previsione contrattuale.
Il Tribunale accoglieva il ricorso della C.I.N. ritenendo che il reato presupposto di frode nelle pubbliche forniture non sarebbe configurabile, in quanto nel caso di specie difetterebbe il “dualismo soggettivo”, posto che la società è titolare di una concessione di servizio pubblico, nell’ambito della quale il corrispettivo per i servizi resi è a carico dell’utenza, il che farebbe venir meno la sinallagmaticità del rapporto contrattuale.
In aggiunta alla ritenuta carenza del fumus, si evidenziava anche l’erroneità della determinazione del profitto, ritenuto quantificabile sulla base delle penali previste in contratto per l’eventuale fermo temporaneo delle navi i cui motori risultavano non adeguatamente certificati. La notevole riduzione del profitto confiscabile andrebbe direttamente ad incidere anche sul periculum in mora, sicchè anche sotto tale profilo si è ritenuta l’insussistenza dei presupposti per la conferma del sequestro.
Proponeva ricorso per cassazione il Pubblico ministero, formulando due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 356 cod. pen., nella parte in cui il Tribunale avrebbe escluso l’astratta configurabilità del reato di frode nelle pubbliche forniture sul presupposto che, avendo la C.IRAGIONE_SOCIALEN. stipulato una concessione di servizi, verrebbe meno il rapporto sinallagmatico il cui inadempimento determina la sussistenza del reato.
Il ricorrente contesta l’affermazione secondo cui il contratto di concessione non avrebbe natura sinallagmatica, ritenendo che nella nozione penalistica di “pubblica fornitura” rientrino tutti i contratti che prevedono l’espletamento di un servizio dietro pagamento di un corrispettivo, a prescindere dalla forma contrattuale con la quale tale rapporto viene disciplinato.
Nel caso di specie, la concessione di servizio, pur comportando che gran parte del costo della prestazione ricada sugli utenti del trasporto via nave, non esclude l’esistenza di un sinallagma con l’ente conferente, tant’è che quest’ultimo è
comunque tenuto al versamento di un’ulteriore somma a titolo di corrispettivo. Il contratto stipulato da RAGIONE_SOCIALE e il Ministero dei Trasporti, infatti, prevede che i corrispettivo si componga di due voci, la prima costituita dal prezzo corrisposto dagli utenti e la seconda dal corrispettivo versato dal Ministero.
Si censura l’affermazione secondo cui l’attrazione nella nozione di “pubbliche forniture” delle prestazioni svolte sulla base di una concessione di servizi integrerebbe un’interpretazione in malam partem, in considerazione della latitudine della previsione di cui all’art. 356 cod. pen. che, espressamente, non limita la fattispecie solo a determinate categorie di contratti.
Il ricorrente contesta anche l’affermazione secondo cui, nel caso di concessione di servizi, si determinerebbe un’immedesimazione del concessionario rispetto alla pubblica amministrazione, il che farebbe venir meno il requisito della duplicità dei soggetti e della possibilità stessa di ipotizzare l’inadempimento dell’un contraente ai danni dell’altro.
Con specifico riferimento alla sentenza resa da Sez.6, n. 14022 del 31/1/2024, espressamente richiamata dal Tribunale, si evidenzia come la fattispecie esaminata in quel caso fosse del tutto differente da quella in oggetto, posto che la menzionata pronuncia ha escluso la “duplicità di soggetti” in relazione ad un’ipotesi in cui l’inadempimento non si era realizzato nel rapporto tra la pubblica amministrazione e il concessionario.
2.2. Con il secondo motivo, si censura la violazione dell’art. 356 cod. pen. in relazione alla nozione di profitto e alla conseguente esclusione del periculum in mora. Il Tribunale avrebbe erroneamente stimato il profitto confiscale in relazione alle penali in ipotesi applicabili nel caso di “fermo nave” dovuto a motivi tecnici, omettendo di considerare che il profitto doveva essere parametrato al guadagno ottenuto dalla C.I.N. per effetto della prosecuzione del servizio, pur in assenza della regolare manutenzione, nonché delle somme versate dal Ministero in adempimento del contratto.
Per effetto della drastica riduzione del profitto, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto il patrimonio della società indagata ampiamente capiente, non considerando neppure l’incidenza negativa derivante dalle condotte distrattive contestate all’amministratore della RAGIONE_SOCIALE
2.3. Pur non formulando uno specifico motivo di ricorso, il ricorrente censurava anche l’omessa decisione sulla questione relativa alla competenza territoriale, sollevata dalla difesa della società indagata.
Nell’interesse della C.I.N. è stata depositata una memoria difensiva con la quale si chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, in quanto le censure si
risolverebbero in vizi della motivazione, non deducibili nel caso di ricorso avverso misure cautelari reali.
In relazione all’omessa decisione sull’eccepita incompetenza territoriale, inoltre, difetterebbe l’interesse del Pubblico ministero, trattandosi di questione ritenuta assorbita dai restanti motivi di accoglimento del riesame.
Nel merito, si ribadisce la correttezza dell’ordinanza impugnata.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo concerne la configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture nel caso in cui il privato risulti assegnatario di una concessione, per effetto della quale gestisce un pubblico servizio per conto dell’ente conferente.
L’impostazione del ricorrente si incentra sulla natura sinallgmatica della concessione di servizi, da ciò desumendo che l’inadempimento del privato ben potrebbe integrare gli estremi del reato di cui all’art. 356 cod. pen.
Occorre dare atto che la nozione di “fornitura” è di per sé generica ed evoca il sinallagma negoziale in forza del quale un soggetto si impegna ad eseguire una prestazione, sia essa continuativa, periodica o in un’unica soluzione, di cose o opere, dietro un corrispettivo di un prezzo.
Tuttavia, la natura sinallgmatica del rapporto non esaurisce la descrizione della condotta incriminata, posto che il delitto di frode nelle pubbliche forniture non si configura a fronte di qualsivoglia inadempimento nei rapporti contrattuali tra privato e pubblica amministrazione, bensì presuppone che il destinatario della “fornitura” debba essere l’ente pubblico che ha stipulato il contratto.
2.1. Valorizzando quest’ultimo aspetto, è pienamente condivisibile quanto affermato da Sez.6, n. 14022 del 31/1/2024, Pratesi, n.m., relativa ad una fattispecie in cui l’inadempimento – al pari di quanto contestato nel caso in esame – era consistito nella violazione degli obblighi di manutenzione, cui la concessionaria del servizio di depurazione era tenuta in virtù della convenzione stipulata con l’ente conferente.
Tale sentenza parte dal presupposto secondo cui le fattispecie di reato previste dagli artt.355 e 356 cod. pen. sono volte a tutelare il buon funzionamento dei pubblici servizi e degli stabilimenti pubblici (Sez. 6, n. 3670 del 29/1/1993,
COGNOME, Rv. 193871) da condotte di inadempienza agli obblighi derivanti da un contratto di pubblica fornitura – concluso con lo Stato, altro ente pubblico o un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità – che facciano mancare, in tutto o in parte, beni o opere a questi necessarie, ovvero di fraudolenta esecuzione degli impegni contrattuali.
Si tratta, pertanto, del rafforzamento, mediante la previsione della sanzione penale, di quelle inadempienze contrattuali di maggior rilievo, che vadano ad incidere sull’interesse dell’ente pubblico all’ottenimento di una determinata prestazione, destinata a soddisfare finalità essenziali al buon funzionamento di un servizio pubblico o di uno stabilimento pubblico.
Quanto detto comporta che il reato di cui all’art. 356 cod. pen. può essere commesso solo dal soggetto obbligato ad eseguire una determinata “fornitura”, a condizione che la stessa veda quale destinatario la pubblica amministrazione che, pertanto, assume la veste di soggetto creditore della prestazione.
2.2. Ben diversa è la fattispecie che si realizza nel caso in cui, mediante la concessione, la pubblica amministrazione demandata al privato lo svolgimento di un servizio pubblico in favore dell’utenza.
In tal caso, infatti, l’eventuale inadempienza agli obblighi previsti dalla concessione, pur potendo rilevare ai fini civilistici, non si traduce in una frode nelle pubbliche forniture, proprio perché il destinatario finale del “servizio” non è l’ente pubblico e, quindi, non si è in presenza di una “fornitura” rivolta all’ente, bensì nell’espletamento di un servizio per conto dell’ente e diretto all’esterno.
Sulla base di tale premessa, è condivvisibile l’affermazione secondo cui la nozione di “pubblica fornitura” non possa essere estesa fino a ricomprendere anche i rapporti derivanti da una concessione di beni o servizi pubblici, difettando il cosiddetto “dualismo soggettivo” che connota il sinallagma negoziale delle pubbliche forniture in cui, da un lato, viene in rilevo la posizione del soggetto tenuto alla esecuzione della prestazione e, dall’altro, quella della pubblica amministrazione che riceve detta prestazione.
Qualora la concessione trasferisca al privato la gestione del servizio pubblico, l’ente conferente è solo indirettamente destinatario di un vantaggio, sicuramente rilevante sul piano del sinallagma contrattuale, conservando l’interesse al rispetto del corretto adempimento del contratto di concessione.
Tuttavia, ciò non si traduce nella previsione di un prestazione che deve essere direttamente rivolta in favore dell’ente, con il conseguente venir meno della configurabilità del reato di cui all’art. 356 cod. pen.
2.3. Al fine di chiarire l’ambito applicativo della norma incriminatrice, è utile evidenziare la differenza che si ha tra l’ipotesi della concessione di servizio e quella
dell’appalto di servizi rivolta all’ente.
Questa seconda ipotesi si realizza in tutti i casi in cui oggetto del contratto sia la prestazione di un servizio direttamente in favore dell’ente contraente (tipico esempio ne è il contratto di manutenzione o pulizia di edifici pubblici), nel qual caso il destinatario della prestazione – latamente riconducibile alla nozione di “fornitura” (Sez.6, n. 28130 del 18/9/2020, COGNOME, Rv.279721-02) – è l’ente pubblico, sicchè l’eventuale inadempimento, ove connotato dagli ulteriori requisiti richiesti dalla norma incriminatrice, ben potrà integrare il reato di cui all’art. 356 cod. pen.
Viceversa, nel caso di concessione di servizi, il privato si sostituisce all’ente nella gestione di una determinata attività rivolta a beneficio del pubblico, tant’è che gran parte del costo del servizio è addebitato all’utenza, sicchè è nei confronti dei fruitori che il servizio viene prestato.
Ne consegue che l’eventuale inadempimento non potrà rilevare quale frode nelle pubbliche forniture, proprio perché la prestazione non è diretta all’ente.
Ciò non fa venir meno il rapporto sinallagmatico tra il concessionario e l’ente pubblico, sicchè eventuali inadempiennze del concessionario potranno rilevare in sede civile, senza che si configuri per ciò solo una frode nella pubblica fornitura..
Per completezza e pur dovendosi rilevare la valenza assorbente dell’esclusione del fumus commissi delicti, si rileva come il motivo di ricorso concernente il criterio di determinazione del profitto dell’illecito, è in ogni caso inammissibile.
Il ricorrente, pur formalmente richiamando i principi espressi da Sez.U, n. 26654 del 27/3/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv.239924, in realtà non ne fa corretta applicazione. Secondo l’impostazione del ricorrente, infatti, il profitto sarebbe pari al valore dei corrispettivi percepiti in relazione al periodo in cui le navi hanno svolto il servizio, nonostante la manutenzione non fosse stata eseguita in conformità alle previsioni contrattuali.
In tal modo, però, non tiene conto che il servizio è stato effettivamente reso, con corrispondente vantaggio degli utenti, sicchè l’importo del profitto non corrisponde all’ammontare del corrispettivo percepito.
In base alla richiamata sentenza “RAGIONE_SOCIALE“, infatti, nel caso in cui l’illecito venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, il profitto deve essere calcolato decurtando l’utilità conseguita dalla controparte a fronte dell’effettuazione della prestazione. La nozione di profitto, infatti, non può essere dilatata fino a determinare un’irragionevole e sostanziale duplicazione della sanzione nelle ipotesi in cui l’ente, adempiendo al contratto, che pure ha trovato
la sua genesi nell’illecito, pone in essere un’attività i cui risultati economici non
possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato.
Quanto detto consente di ritenere che il criterio di calcolo prospettato dal
ricorrente, non considerando che il servizio di trasporto, sia pur in violazione delle
previsioni contrattuali, era stato ugualmente svolto, perviene ad una
quantificazione errata del vantaggio economico percepito dalla società indagata.
Il Tribunale ha colto tale errore, formulando un criterio alternativo di
determinazione del profitto, quantificandolo sulla base dell’importo delle penali che
sarebbero state dovute nel caso di “fermo nave” e, quindi, nell’ipotesi in cui il
servizio di trasporto fosse stato sospeso per effetto della mancata manutenzione.
Si tratta di un criterio che ha una sua coerenza logica, rispetto al quale si
sarebbe potuto al più ipotizzare un vizio della motivazione che, tuttavia, non è
deducibile nel ricorso per cassazione avverso misure cautelari reali.
Quanto detto comporta che il ricorso proposto sul punto sarebbe stato in ogni
caso destinato all’inammissibilità.
Sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato.
PQM
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 10 luglio 2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Pr sidente