Frode in Commercio e Ricettazione: Due Reati Distinti e non Assorbibili
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del diritto penale: la frode in commercio e la ricettazione sono due reati autonomi che non possono essere assorbiti l’uno nell’altro. Questa decisione chiarisce come le due fattispecie, sebbene possano essere collegate nei fatti, tutelino interessi diversi e si configurino in momenti distinti, portando a conseguenze penali separate per chi le commette.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per i reati di ricettazione (art. 648 c.p.) e frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.). La tesi difensiva sosteneva che il reato di frode dovesse essere considerato assorbito in quello di ricettazione. In altre parole, secondo il ricorrente, la vendita di merce di provenienza illecita non sarebbe altro che la naturale conclusione della precedente ricezione della stessa, configurando così un’unica violazione di legge.
La Distinzione tra Frode in Commercio e Ricettazione
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente questa interpretazione, giudicando il motivo del ricorso manifestamente infondato. La decisione si basa su due pilastri argomentativi che delineano una netta separazione tra le due figure di reato.
Condotte Materiali e Fasi Temporali Diverse
Il primo punto chiave riguarda la materialità delle condotte. La ricettazione si consuma nel momento in cui un soggetto riceve o acquista beni di cui conosce la provenienza illecita. L’azione si esaurisce in questa fase di “ricezione”.
La frode in commercio, invece, si realizza in un momento successivo: la “consegna” del bene a un acquirente, ingannandolo sulla sua origine, qualità o provenienza. Si tratta quindi di due azioni distinte che avvengono in fasi separate: prima la ricezione della merce illecita, poi la sua immissione fraudolenta nel mercato.
Diversità del Bene Giuridico Protetto
Il secondo e più importante elemento di distinzione risiede nel bene giuridico che le due norme intendono proteggere.
L’articolo 648 c.p. (ricettazione) è posto a tutela del patrimonio, con l’obiettivo di impedire la circolazione e il consolidamento dei profitti derivanti da attività delittuose.
L’articolo 515 c.p. (frode in commercio), al contrario, tutela la lealtà e la correttezza nelle transazioni commerciali, proteggendo la fiducia del consumatore e l’ordine economico.
La Decisione della Corte di Cassazione
Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La manifesta infondatezza dell’argomento difensivo non ha lasciato spazio a una discussione nel merito. Di conseguenza, la condanna per entrambi i reati è stata confermata e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
Le motivazioni dell’ordinanza sono concise ma estremamente chiare. I giudici hanno sottolineato che la diversa materialità delle condotte e la differente natura dei beni giuridici protetti impediscono qualsiasi forma di assorbimento tra i due reati. La ricettazione punisce l’inserimento nel proprio patrimonio di un bene proveniente da reato; la frode in commercio punisce un comportamento sleale successivo, che lede gli interessi del mercato e degli acquirenti. Le due azioni, pur potendo essere commesse in sequenza dalla stessa persona, mantengono una loro piena e autonoma rilevanza penale.
Le Conclusioni
Questa pronuncia della Cassazione consolida un orientamento giurisprudenziale consolidato e offre un importante monito. Chi acquista merce di provenienza illecita per poi rivenderla ingannando gli acquirenti non risponderà di un solo reato, ma di due distinti illeciti in concorso tra loro. La decisione rafforza la tutela sia del patrimonio individuale contro i proventi di attività criminali, sia della correttezza degli scambi commerciali, garantendo che ogni specifica offesa all’ordinamento giuridico riceva una sanzione adeguata.
Il reato di frode in commercio può essere assorbito da quello di ricettazione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che i due reati non sono assorbibili. Si tratta di condotte distinte che si perfezionano in fasi diverse e tutelano beni giuridici differenti, pertanto mantengono la loro autonomia.
Qual è la differenza fondamentale tra la condotta di ricettazione e quella di frode in commercio secondo la Corte?
La ricettazione si concretizza con la ricezione di beni di provenienza illecita. La frode in commercio, invece, si realizza in una fase successiva, ovvero al momento della consegna di tali beni a un acquirente, ingannandolo sulla loro natura, origine o qualità.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34864 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34864 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME, ritenuto che l’unico motivo di ricorso che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’assorbimento dell’art. 515 cod. pen. al reato di cui all’art. 648 cod. pen. è manifestamente infondato, attesa la diversa materialità delle condotte, che si pongono in fasi diverse (la ricezione per la ricettazione e la -successiva- consegna per la frode in commercio) oltre che per il diverso bene giuridico protetto dalle due norme);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024.