LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Frode in commercio: no al reato senza aliud pro alio

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per tentata frode in commercio, stabilendo che la semplice non conformità di un’etichetta a una specifica normativa nazionale non integra il reato se non viene consegnato un prodotto radicalmente diverso (‘aliud pro alio’) da quello pattuito. Nel caso di specie, la commercializzazione di un olio con una percentuale di THC leggermente superiore ai limiti per gli alimenti, ma correttamente etichettato secondo la normativa europea, non è stata ritenuta una frode, in assenza della prova di un intento doloso di ingannare l’acquirente sulla natura del bene.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode in commercio: quando l’etichetta non inganna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22900/2025) offre un’importante chiarificazione sui confini del reato di Frode in commercio. Il caso, relativo alla vendita di un olio con etichettatura contestata, dimostra che non ogni difformità normativa integra automaticamente una condotta penalmente rilevante. È necessario, infatti, che vi sia la consegna di un bene radicalmente diverso, un cosiddetto aliud pro alio, e la prova dell’intento di ingannare il consumatore.

I Fatti di Causa: dall’Assoluzione alla Condanna in Appello

La vicenda processuale riguarda due amministratori di una società, inizialmente assolti dal Tribunale e successivamente condannati dalla Corte d’Appello di Torino per il reato di tentata Frode in commercio (artt. 56 e 515 c.p.).

L’accusa verteva sulla commercializzazione di un prodotto descritto come ‘olio antiossidante e lenitivo’. Il problema nasceva dall’etichetta, o ‘bugiardino’, che indicava la presenza di ‘tracce’ di THC e il rispetto del limite dello 0,2% previsto dalla normativa europea. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva considerato il prodotto un ‘integratore alimentare’, applicando la più restrittiva normativa nazionale (d.m. 04/11/2019) che prevedeva limiti di THC molto più bassi. Sebbene il superamento di tale soglia fosse infinitesimale, per i giudici di secondo grado l’etichetta era mendace e idonea a configurare il tentativo di frode.

Il Ricorso in Cassazione: la Difesa dell’Imputato

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, articolando la sua difesa su due punti principali:

1. Errata qualificazione del prodotto: La difesa ha sostenuto che il bene non era un integratore alimentare, ma un olio con proprietà cosmetiche, per cui il riferimento alla normativa europea e al limite dello 0,2% di THC era corretto e non ingannevole.
2. Assenza di connotazioni mendaci: L’etichetta non era fraudolenta, in quanto informava correttamente della presenza di tracce di sostanza e si richiamava a un preciso standard normativo (quello europeo), escludendo così l’intento di ingannare il consumatore.

Sorprendentemente, anche il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza di condanna, ritenendo insussistente il reato ipotizzato.

Le Motivazioni: la Centralità dell’Aliud Pro Alio nella Frode in Commercio

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna ‘perché il fatto non sussiste’. La motivazione è netta e si concentra sul cuore del reato di Frode in commercio: la consegna di un aliud pro alio.

I giudici hanno spiegato che il delitto di cui all’art. 515 c.p. è posto a tutela della lealtà e della correttezza negli scambi commerciali. Esso si realizza quando un venditore consegna all’acquirente una cosa mobile diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella dichiarata o pattuita. La diversità deve essere tale da rendere il bene funzionalmente differente, in sostanza ‘una cosa per un’altra’.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che mancasse totalmente la prova di un intento di vendere un aliud pro alio. La controversia sulla corretta classificazione del prodotto (integratore o olio cosmetico) e sul rispetto di un limite normativo piuttosto che un altro non è sufficiente a trasformare il prodotto in qualcosa di radicalmente diverso da ciò che era stato dichiarato. L’acquirente voleva un olio con determinate proprietà e un olio gli veniva consegnato. La lieve difformità rispetto a un parametro tecnico non alterava la natura del bene.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare il grave reato di Frode in commercio non basta una mera irregolarità formale o un’etichettatura non perfettamente conforme a una specifica normativa tecnica. È indispensabile che la condotta del venditore sia dolosamente diretta a ingannare l’acquirente consegnandogli un prodotto che, per le sue caratteristiche essenziali, è diverso da quello promesso.

La decisione offre una garanzia importante per gli operatori commerciali, distinguendo tra violazioni amministrative o errori in buona fede e condotte fraudolente che minano la fiducia del mercato. La prova dell’intento di ingannare e la consegna di un bene concretamente ‘altro’ rimangono i pilastri insostituibili per affermare la responsabilità penale.

Quando una etichettatura imprecisa costituisce reato di frode in commercio?
Secondo la Corte, un’etichettatura non perfettamente conforme a una normativa non integra automaticamente il reato. È necessario che la difformità sia tale da ingannare l’acquirente sulla natura essenziale del prodotto, portando alla consegna di una cosa per un’altra (aliud pro alio).

Cosa significa ‘aliud pro alio’ nel contesto della frode in commercio?
Significa consegnare un bene radicalmente diverso da quello dichiarato o pattuito, non solo per piccole differenze qualitative o quantitative, ma per le sue caratteristiche fondamentali che lo rendono inadatto alla funzione per cui era stato acquistato. Ad esempio, vendere aceto al posto del vino.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La Corte ha annullato la condanna perché mancava totalmente la prova dell’intento di consegnare un aliud pro alio. La disputa sulla classificazione del prodotto e sul superamento infinitesimale di un limite di legge non era sufficiente a dimostrare che si volesse vendere un prodotto diverso da quello dichiarato, ovvero un olio con proprietà antiossidanti e lenitive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati