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Frode in commercio: marchio CE e vendita di prodotti

Due imprenditori sono stati condannati per tentata frode in commercio per aver detenuto un’ingente quantità di prodotti con marchio CE contraffatto destinati alla vendita. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, rigettando il ricorso e chiarendo che la detenzione di tale merce in magazzino costituisce un atto preparatorio al reato, non un semplice illecito amministrativo. La mancanza della documentazione tecnica, secondo la Corte, è una prova dell’intento fraudolento.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode in Commercio e Marchio CE: Quando la Detenzione in Magazzino è Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato una condanna per tentata frode in commercio a carico di due imprenditori, colpevoli di detenere un’ingente quantità di prodotti con marchio CE contraffatto. Questa decisione è di fondamentale importanza perché traccia una linea netta tra l’illecito amministrativo e la responsabilità penale, stabilendo che la semplice detenzione di tale merce in magazzino, se finalizzata alla vendita, integra pienamente il reato.

I Fatti del Caso: Merce con Marchio CE Contraffatto in Negozio e Magazzino

Il caso ha origine dal sequestro di un vasto numero di articoli, tra cui accessori elettronici, impianti di videosorveglianza, articoli di illuminazione e coltelli multiuso, trovati in possesso di due commercianti. La merce era divisa tra l’area di vendita del negozio e un magazzino adiacente. L’irregolarità principale risiedeva nella marcatura CE: su alcuni prodotti era apposto un marchio che, pur somigliando a quello europeo, era in realtà l’acronimo di “China Export”, un logo noto per la sua capacità di ingannare il consumatore. Su altri prodotti, invece, il marchio CE era stato apposto dall’importatore ma era privo del necessario fascicolo tecnico che ne attestasse la conformità agli standard di sicurezza europei.

Le Argomentazioni della Difesa

Gli imputati, nel loro ricorso in Cassazione, hanno sostenuto due tesi principali. In primo luogo, hanno affermato che non vi era prova sufficiente che la merce stoccata nel magazzino fosse destinata alla vendita. In secondo luogo, hanno argomentato che la condotta contestata, in particolare per i prodotti privi solo del fascicolo tecnico, dovesse essere qualificata come un semplice illecito amministrativo e non come un reato penale.

L’Analisi della Corte sulla Frode in Commercio

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente entrambe le argomentazioni. I giudici hanno stabilito che la detenzione di un quantitativo così elevato di prodotti non conformi, stoccati in un magazzino funzionalmente collegato all’attività di vendita, costituisce un “atto idoneo, diretto in modo non equivoco” a commettere una frode in commercio. Non si tratta di mera detenzione, ma di una fase prodromica e necessaria all’immissione dei beni nel circuito distributivo. La finalità di vendita è stata desunta logicamente dalla collocazione della merce (in parte già esposta) e dalla sua tipologia, pienamente rientrante in quella commercializzata dagli imputati.

Dolo e Mancanza di Documentazione Tecnica

Un punto cruciale della sentenza riguarda la prova dell’intento fraudolento (il dolo). La Corte ha sottolineato come l’indisponibilità da parte degli imputati della documentazione tecnica, obbligatoria per legge per la commercializzazione di prodotti con marchio CE, non sia una semplice dimenticanza. Al contrario, è stata valutata come un elemento sintomatico della volontà di ingannare il mercato. La difesa aveva sostenuto che le forze dell’ordine non avevano esplicitamente richiesto tali documenti durante il controllo, ma per la Corte questo è irrilevante: l’onere di garantire e provare la conformità dei prodotti ricade sempre sul commerciante.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati. Ha ribadito che quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi dei fatti e delle prove (principio della “doppia conforme”), le loro motivazioni si fondono in un unico e solido corpo argomentativo. La destinazione alla vendita dei prodotti è stata correttamente dedotta da due elementi cruciali: la presenza di numerosi articoli con marchio CE contraffatto sugli scaffali del negozio e lo stoccaggio della merce rimanente in un magazzino adiacente. Tale deposito non è visto come mera detenzione passiva, ma come un atto preparatorio (“atto idoneo”) finalizzato in modo inequivocabile alla frode in commercio. La Corte ha inoltre chiarito che la mancata esibizione della documentazione tecnica non è una mera formalità, ma una prova circostanziale forte dell’intento fraudolento (dolo). La distinzione è stata netta anche riguardo al marchio “China Export”, considerato di per sé un atto fraudolento per la sua somiglianza con il logo ufficiale europeo, e altri marchi non conformi dove l’assenza del fascicolo tecnico ne provava l’illegalità.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rendendo definitiva la condanna. La sentenza stabilisce un principio chiaro: la detenzione di ingenti quantità di prodotti con marchio CE falso o non conforme, anche se solo in magazzino e non direttamente esposti, configura il reato di tentata frode in commercio ai sensi dell’art. 515 del codice penale. Non si tratta di un semplice illecito amministrativo, poiché la norma penale è posta a tutela sia dei consumatori che della lealtà commerciale tra imprenditori. Stoccare tali prodotti è il primo passo per la loro immissione illegale sul mercato. Questa decisione rappresenta un severo monito per importatori e distributori sulle gravi conseguenze legali derivanti dalla commercializzazione di prodotti non conformi agli standard europei, ribadendo che l’onere della prova di conformità grava interamente su chi vende.

La semplice detenzione di merce con marchio CE contraffatto in un magazzino costituisce reato?
Sì, secondo la sentenza, la detenzione di un’ingente quantità di prodotti con marchio CE contraffatto in un magazzino adiacente a un esercizio commerciale non è mera detenzione, ma un atto idoneo e inequivocabilmente diretto a commettere il reato di tentata frode in commercio, in quanto prodromico all’immissione in vendita.

Che differenza c’è tra il reato di frode in commercio e l’illecito amministrativo per la marcatura CE?
La Corte chiarisce che l’illecito amministrativo si applica solo se il fatto non costituisce un reato più grave. La detenzione a fini di vendita di prodotti con marchio CE falso o ingannevole integra il reato di frode in commercio, che è più grave e assorbe l’illecito amministrativo grazie a una “clausola di riserva” presente nella normativa amministrativa.

Come viene provata l’intenzione di commettere la frode (dolo)?
L’intenzione fraudolenta (dolo) è stata desunta da una serie di elementi: l’enorme quantità di merce, l’uso di un marchio palesemente ingannevole come “China Export”, e soprattutto l’indisponibilità della documentazione tecnica che deve obbligatoriamente accompagnare i prodotti con marchio CE, la cui assenza è stata considerata un sintomo univoco dell’intento criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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