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Frode in commercio: marchio CE e tentato reato

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione per il reato di tentata frode in commercio. La Corte ha stabilito che la detenzione a fini di vendita di un’ingente quantità di mascherine e visiere con marchio CE contraffatto costituisce un atto idoneo a configurare il reato, poiché il marchio CE garantisce standard di sicurezza e salute. La detenzione di tali beni, anche in un magazzino non aperto al pubblico, è stata ritenuta sufficiente per integrare il tentativo di frode. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode in Commercio e Marchio CE Contraffatto: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28976/2025, affronta un caso significativo di tentata frode in commercio, chiarendo importanti principi sulla rilevanza penale della detenzione di merce con marchio CE contraffatto. La pronuncia nasce dal ricorso del Pubblico Ministero contro una sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Pavia, ridefinendo i confini del reato quando la merce non è ancora stata immessa direttamente sul mercato.

I Fatti del Caso: Mascherine e Visiere con Marchio Falso

Il procedimento penale vedeva imputata la legale rappresentante di una società per il reato di cui agli articoli 54 e 515 del codice penale. L’accusa era di aver detenuto, all’interno di un magazzino non accessibile al pubblico, un ingente quantitativo di dispositivi di protezione individuale: circa 104.000 mascherine chirurgiche, 61 visiere protettive e 1.000 mascherine protettive. Tutti questi prodotti recavano una marcatura CE contraffatta.

Secondo l’accusa, tale detenzione costituiva un insieme di atti idonei e diretti in modo non equivoco a consegnare agli acquirenti un bene con qualità diverse da quelle dichiarate, integrando così il reato di tentata frode in commercio.

Il Tribunale di Pavia, in prima istanza, aveva assolto l’imputata. Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso, portando la questione all’attenzione della Suprema Corte.

L’Impugnazione e la Rilevanza della Frode in Commercio

Il ricorso del Pubblico Ministero si basava su due motivi principali:

1. Errata applicazione della legge penale: Il PM sosteneva che la detenzione per la vendita di beni con marchio CE contraffatto configura pienamente il reato di tentata frode in commercio. Il marchio CE, infatti, garantisce la conformità del prodotto a standard di sicurezza e qualità europei, e la sua contraffazione inganna il consumatore su caratteristiche essenziali del bene.
2. Violazione di legge processuale: Il ricorso lamentava l’erronea esclusione dalla lista testimoniale di un ausiliario di Polizia Giudiziaria, ritenuto a torto un consulente tecnico, la cui testimonianza sarebbe stata decisiva per accertare la contraffazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati entrambi i motivi del ricorso, annullando la sentenza di assoluzione.

Nel merito del primo motivo, la Corte ha ribadito la funzione cruciale della marcatura CE. Essa non è un semplice marchio d’origine o di qualità, ma un’attestazione amministrativa che garantisce al consumatore la conformità del prodotto a tutte le disposizioni dell’Unione Europea in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente. La sua funzione è quella di tutelare interessi pubblici fondamentali.

Di conseguenza, l’apposizione di un marchio CE contraffatto su beni destinati alla vendita integra una condotta fraudolenta. Questo perché si garantisce falsamente la sussistenza di requisiti standardizzati dalla normativa comunitaria, inducendo l’acquirente a credere che il prodotto possieda un’origine e una provenienza controllata che in realtà non ha. La detenzione di un’enorme quantità di merce in un magazzino, sebbene non accessibile al pubblico, è stata considerata un atto inequivocabilmente diretto alla futura commercializzazione, e quindi sufficiente per configurare il tentativo di frode.

Quanto al secondo motivo, la Corte ha chiarito che l’esperto, che aveva condotto accertamenti sulla contraffazione in qualità di ausiliario di Polizia Giudiziaria, avrebbe dovuto essere ammesso come testimone. L’esito delle sue verifiche, sebbene di natura tecnica, non costituisce una consulenza ministeriale ai sensi dell’art. 359 c.p.p., ma un parere tecnico che deve essere introdotto nel processo attraverso l’esame testimoniale, nel rispetto del contraddittorio. L’esclusione di tale testimonianza ha rappresentato una violazione delle regole processuali.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione stabilisce due principi di notevole importanza pratica:

1. La detenzione a fini di vendita di prodotti con marchio CE contraffatto configura il reato di tentata frode in commercio, anche se la merce si trova in un magazzino e non è ancora esposta al pubblico. Ciò che conta è l’idoneità della condotta a ingannare il futuro acquirente sulle qualità essenziali del prodotto, garantite proprio dal marchio CE.
2. Un esperto che agisce come ausiliario di Polizia Giudiziaria durante le indagini può e deve testimoniare in dibattimento. Le sue dichiarazioni di scienza sono prove testimoniali a tutti gli effetti e non possono essere escluse a priori.

Per queste ragioni, la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione e ha disposto il rinvio del processo al Tribunale di Pavia per un nuovo giudizio, che dovrà essere celebrato da un diverso magistrato, tenendo conto dei principi affermati dalla Suprema Corte.

Detenere merce con marchio CE contraffatto per la vendita è reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la detenzione di beni con un marchio CE contraffatto, con l’intenzione di venderli, integra il reato di tentata frode in commercio (art. 54-515 c.p.), poiché si compiono atti idonei a ingannare i futuri acquirenti.

Perché un marchio CE falso costituisce una frode in commercio?
Perché il marchio CE è un’attestazione che garantisce la conformità del prodotto a standard di sicurezza e salute europei. Un marchio falso inganna l’acquirente su qualità essenziali del bene, che sono diverse da quelle falsamente dichiarate, inducendolo in errore.

Un esperto che collabora con la polizia giudiziaria può testimoniare in processo?
Sì. La Corte ha stabilito che un esperto, qualificato come ausiliario di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 348 c.p.p., può e deve essere sentito come testimone in dibattimento. La sua testimonianza, anche se tecnica, è fondamentale e la sua esclusione costituisce un errore procedurale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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