LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Frode in commercio: marchio CE e tentativo di reato

La Cassazione Penale conferma che la vendita di prodotti con un marchio CE contraffatto (China Export) integra il tentativo di frode in commercio. È sufficiente la detenzione della merce per la vendita, anche in magazzino, per configurare il reato, senza necessità di una trattativa in corso. L’appello dell’imprenditore è stato dichiarato inammissibile.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode in commercio e marchio CE: quando la detenzione in magazzino è reato?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7273/2024, ha fornito importanti chiarimenti sulla configurabilità del reato di frode in commercio in forma tentata. Il caso riguardava la vendita di giocattoli con un marchio CE ingannevole, che imitava quello di conformità europea ma indicava in realtà “China Export”. La decisione sottolinea che per integrare il tentativo non è necessaria una trattativa di vendita in corso, essendo sufficiente la detenzione della merce destinata alla commercializzazione, anche se conservata in magazzino.

I fatti di causa: la scoperta della merce contraffatta

Durante un’ispezione presso un esercizio commerciale, le autorità avevano rinvenuto oltre 3000 giocattoli esposti per la vendita e altri 600 circa detenuti nel magazzino. Tutti i prodotti recavano un marchio “CE” non conforme alle Direttive Europee. Tale marchio, noto come “China Export”, si distingue da quello di conformità europea per una distanza minima e quasi impercettibile tra le due lettere. L’imprenditore è stato condannato per tentata frode nell’esercizio del commercio, ai sensi degli artt. 56 e 515 del codice penale.

I motivi del ricorso: la difesa dell’imprenditore

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali argomentazioni:

1. Inidoneità del marchio a ingannare: Secondo la difesa, il marchio “China Export” non sarebbe stato idoneo a indurre in errore i consumatori, i quali avrebbero potuto consapevolmente scegliere prodotti provenienti dalla Cina.
2. Errata qualificazione del fatto: Si contestava la configurabilità del tentativo di reato, sostenendo che la merce in magazzino non era destinata alla vendita e che non vi era alcuna contrattazione in atto.

Le motivazioni della Cassazione sulla frode in commercio

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. Le motivazioni della Suprema Corte si sono concentrate su due aspetti fondamentali.

La decettività del marchio CE “China Export”

I giudici hanno affermato che la decettività del marchio “China Export” è intrinseca. La somiglianza quasi perfetta con il marchio di Conformità Europea è sufficiente a ingenerare nel consumatore la convinzione che il prodotto rispetti gli standard di sicurezza e qualità previsti dall’Unione Europea. L’apposizione del marchio CE ufficiale non è un semplice simbolo di provenienza, ma una certificazione che costituisce un “essenziale elemento qualitativo” del prodotto. Pertanto, la sua contraffazione, anche se grossolana, integra un tentativo di inganno verso l’acquirente.

La configurabilità del tentativo di frode in commercio

La Corte ha ribadito un principio consolidato: per il tentativo di frode in commercio non è necessaria l’esistenza di una trattativa finalizzata alla vendita. È sufficiente accertare che un prodotto, diverso per origine, qualità o provenienza da quanto dichiarato, sia destinato alla vendita. La condotta penalmente rilevante si concretizza già con la detenzione della merce. In questo contesto, anche la semplice presenza di prodotti con false indicazioni in un magazzino collegato all’attività commerciale è considerata un atto idoneo e diretto in modo non equivoco a commettere il reato, in quanto dato pacifico della successiva immissione nella rete distributiva.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza in esame conferma un orientamento rigoroso in materia di tutela del consumatore e lealtà commerciale. Le conclusioni che se ne possono trarre sono due:

1. Massima attenzione ai marchi: Gli operatori commerciali devono prestare la massima attenzione alla conformità dei marchi apposti sui prodotti, specialmente quelli che certificano sicurezza e qualità come il marchio CE. La somiglianza con marchi ingannevoli come “China Export” non è tollerata e viene considerata un atto fraudolento.
2. Il magazzino non è una zona franca: La detenzione di merce non conforme nel magazzino aziendale non esclude la responsabilità penale. Se è provato che tali beni sono destinati alla vendita, si configura il tentativo di frode, anche in assenza di esposizione diretta al pubblico o di trattative di vendita.

Il marchio ‘CE’ che sta per ‘China Export’ è considerato ingannevole?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la marcatura CE (China Export) è ingannevole perché, a causa della sua somiglianza con il marchio di Conformità Europea, è sufficiente a generare nel consumatore la convinzione che il prodotto rispetti gli standard e i requisiti essenziali del mercato europeo.

Per commettere il tentativo di frode in commercio è necessario che ci sia una trattativa di vendita in corso?
No, per la configurabilità del tentativo di frode in commercio non è necessaria l’esistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita. È sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto con caratteristiche diverse da quelle dichiarate.

La merce con marchio contraffatto tenuta in magazzino può integrare il reato?
Sì, anche la mera detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, qualità o provenienza a quella dichiarata può configurare il tentativo di frode in commercio, poiché è considerata un dato indicativo della successiva immissione di tali prodotti nella rete distributiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati