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Frode in commercio: marchio CE e origine dei prodotti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore contro il sequestro di prodotti con marchio CE ma di origine extra-europea. La sentenza conferma che il marchio CE non attesta solo la conformità a standard di sicurezza, ma anche la provenienza europea del bene. L’apposizione del marchio su prodotti importati può quindi configurare il reato di frode in commercio, poiché inganna il consumatore sull’origine del bene, a prescindere dalla sua effettiva conformità tecnica.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode in Commercio: Il Marchio CE Non Solo Garantisce la Sicurezza, ma Anche l’Origine

Il marchio CE è universalmente riconosciuto come simbolo di conformità ai rigorosi standard di sicurezza europei. Ma cosa succede quando questo marchio viene apposto su prodotti realizzati al di fuori dell’Unione Europea? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, stabilendo un principio fondamentale per chi opera nel commercio di beni importati e chiarendo i confini del reato di frode in commercio. La decisione conferma che il marchio CE implica non solo una garanzia di qualità, ma anche una specifica provenienza geografica, la cui falsa attestazione può avere serie conseguenze penali.

I Fatti del Caso: Il Sequestro dei Palloncini

Il caso ha origine da un decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Trento nei confronti di un imprenditore. L’accusa era quella di frode in commercio (art. 515 del Codice Penale) per la detenzione, a fini di vendita, di 473 palloncini recanti il marchio CE, ma prodotti in Cina. L’imprenditore aveva impugnato il provvedimento tramite un’istanza di riesame, ma il Tribunale di Trento aveva confermato il sequestro, ritenendo sussistente il cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero la parvenza del reato.

Il Ricorso in Cassazione e la Difesa dell’Imprenditore

Contro l’ordinanza del Tribunale, l’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo diversi punti. In primo luogo, ha argomentato che il marchio CE garantisce il rispetto degli standard minimi di qualità e sicurezza, ma non necessariamente la produzione in Europa. A sostegno della sua tesi, ha evidenziato che il materiale era munito delle certificazioni richieste dalla normativa europea e aveva superato i test report previsti. Pertanto, a suo dire, non si poteva configurare il reato di frode, ma al massimo un difetto di conformità grafica del marchio apposto. Infine, ha specificato che il marchio non era quello di ‘CHINA EXPORT’, ma proprio quello della Comunità Europea.

La Decisione della Cassazione sulla Frode in Commercio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di Trento. Gli Ermellini hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato, cruciale per comprendere la portata del reato di frode in commercio in questi contesti.

Il Valore del Marchio CE: Oltre la Conformità Tecnica

Il punto centrale della decisione è l’interpretazione del significato del marchio CE. La Suprema Corte, richiamando un proprio precedente (sentenza n. 17686/2019), ha affermato che il marchio contraffatto CE, apposto su beni destinati alla vendita, integra il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio. Questo perché il marchio non solo garantisce la sussistenza di requisiti standardizzati dalla normativa comunitaria, ma induce l’acquirente a credere che il prodotto provenga dall’Europa e sia stato sottoposto a controlli alla fonte.

Irrilevanza delle Certificazioni Esterne

La Corte ha inoltre specificato che l’eventuale accertamento in concreto delle caratteristiche del prodotto – che potrebbero anche essere superiori a quelle dichiarate – è irrilevante. Il reato si configura per la lesione dell’ordine economico e della regolarità del commercio, causata dalla diffusione di beni presentati come diversi da quelli che sono in realtà (in questo caso, per origine). Di conseguenza, l’attestazione di conformità rilasciata da una società cinese è stata ritenuta inidonea a escludere il reato.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Cassazione si fonda su due pilastri. Il primo è di diritto sostanziale: il marchio CE ha una duplice valenza, attestando sia la conformità tecnica sia l’origine europea. La sua apposizione su un prodotto extra-UE inganna il consumatore sull’origine e la filiera di controllo, integrando così gli estremi della frode. Il secondo pilastro è di natura processuale: le argomentazioni della difesa riguardanti la conformità del prodotto e la validità delle certificazioni sono state considerate questioni di merito. Tali questioni non possono essere valutate in sede di legittimità, dove la Corte si limita a verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato, che in questo caso è stata giudicata pienamente adeguata.

Conclusioni: Implicazioni per gli Operatori Commerciali

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli importatori e i commercianti. L’apposizione del marchio CE è un atto che comporta precise responsabilità. Non è sufficiente che il prodotto rispetti gli standard tecnici europei; se il marchio viene utilizzato in modo da ingenerare nel consumatore la convinzione di una provenienza europea, si rischia di incorrere nel grave reato di frode in commercio. Gli operatori del settore devono quindi prestare la massima attenzione non solo alla qualità intrinseca dei prodotti importati, ma anche alla correttezza e trasparenza delle informazioni fornite ai consumatori, a partire dai marchi e dalle etichette.

Apporre un marchio CE su un prodotto extra-europeo che rispetta gli standard tecnici comunitari costituisce reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione. Il marchio CE non garantisce solo il rispetto degli standard di qualità e sicurezza, ma anche la provenienza del bene dall’Europa. Apporlo su un prodotto extra-UE può integrare il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, poiché inganna il consumatore sull’origine.

Una certificazione di conformità rilasciata da un ente del paese di produzione (in questo caso, la Cina) è sufficiente a escludere il reato?
No. La sentenza chiarisce che tale attestazione non è idonea a escludere il reato, poiché l’illecito consiste nella lesione dell’ordine economico e della regolarità del commercio, ingannando l’acquirente sull’origine del prodotto, indipendentemente dalla sua conformità tecnica.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa, relative alla conformità tecnica dei prodotti e alla validità delle certificazioni, sono state considerate questioni di merito. Queste non sono valutabili in sede di legittimità dalla Corte di Cassazione, che si occupa solo di violazioni di legge e della logicità della motivazione del provvedimento impugnato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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