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Frode in commercio e prescrizione: la parola alla Corte

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per frode in commercio a carico di due imprenditori a causa della prescrizione del reato. La vicenda riguardava la vendita di tonno etichettato come proveniente da “tonnara”, ma pescato con metodi diversi. Sebbene la responsabilità penale sia estinta, la Corte ha disposto un nuovo giudizio in sede civile per valutare il risarcimento dei danni. La condanna a carico della società coinvolta è stata invece annullata definitivamente a causa di un appello inammissibile da parte della procura.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode in commercio: prescrizione e appello inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9142 del 2025, si è pronunciata su un complesso caso di frode in commercio legato alla vendita di prodotti ittici. La decisione chiarisce importanti principi sulla prescrizione del reato e sui requisiti di ammissibilità dell’appello del pubblico ministero, specialmente quando coinvolge la responsabilità di un ente. Se da un lato la prescrizione ha estinto il reato per gli imputati persone fisiche, la vicenda non si chiude del tutto, rimanendo aperta la via del risarcimento in sede civile.

I Fatti di Causa: Il Caso del Tonno “di Tonnara”

La vicenda processuale ha origine dalla contestazione, mossa a due imprenditori e alla loro società, di aver commercializzato tonno in scatola promuovendolo come pescato secondo il metodo tradizionale della “tonnara sarda”, quando in realtà era stato catturato in mare aperto con tecniche diverse (ami e palangari). Sebbene la zona di pesca (zona FAO) fosse la stessa, la differenza nel metodo era, secondo l’accusa, sostanziale e tale da ingannare il consumatore sulla qualità e l’origine del prodotto.

Il percorso giudiziario è stato altalenante:
1. In primo grado, il Tribunale aveva assolto tutti gli imputati dall’accusa di frode in commercio ritenendo che il fatto non sussistesse.
2. In appello, la Corte territoriale, su impugnazione del Pubblico Ministero, ha ribaltato la decisione, condannando i due imprenditori a sei mesi di reclusione e la società a una sanzione pecuniaria.

Contro questa sentenza di condanna, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge.

I Motivi del Ricorso e la frode in commercio

I ricorsi presentati in Cassazione si basavano su diverse argomentazioni. Gli imprenditori sostenevano che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente motivato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. Essi evidenziavano di aver utilizzato marchi regolarmente registrati, il che, a loro avviso, escludeva l’intento fraudolento. La società, dal canto suo, eccepiva l’inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero, ritenendolo generico e privo di argomentazioni specifiche sulla responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi, sebbene con esiti diversi per le persone fisiche e per la società.

Per quanto riguarda i due imprenditori, la Corte ha rilevato una grave carenza di motivazione nella sentenza d’appello riguardo alla sussistenza del dolo. I giudici di secondo grado non avevano spiegato perché, nonostante l’uso di marchi registrati, gli imputati avessero agito con la coscienza e volontà di ingannare i consumatori. Questo vizio di motivazione ha reso fondato il ricorso. Tuttavia, prima di poter procedere a un nuovo giudizio, la Cassazione ha constatato l’intervenuta prescrizione del reato. Il tempo trascorso dalla commissione dei fatti (fino a luglio 2016) ha superato il termine massimo di sette anni e mezzo, determinando l’estinzione della responsabilità penale.

Per la società, la Corte ha invece accolto il motivo relativo all’inammissibilità dell’appello originario del PM. L’atto di appello si limitava ad affermare in modo generico che il reato era stato commesso nell’interesse dell’ente, senza fornire un apparato argomentativo adeguato a sostegno. Secondo la Cassazione, un’impugnazione così formulata viola l’art. 581 del codice di procedura penale, che richiede motivi specifici. Di conseguenza, l’appello non avrebbe dovuto essere esaminato nel merito, e la sentenza di condanna contro la società è stata annullata senza rinvio perché basata su un atto processualmente invalido.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti spunti di riflessione.

In primo luogo, l’estinzione del reato per prescrizione non cancella ogni conseguenza. La Cassazione ha infatti annullato la sentenza di condanna agli effetti penali, ma ha rinviato il caso al giudice civile competente per un nuovo giudizio sulle statutuizioni civili. Ciò significa che, nonostante la fine del processo penale, le parti civili (le aziende concorrenti danneggiate) potranno ancora cercare di ottenere un risarcimento del danno in sede civile.

In secondo luogo, la decisione ribadisce il rigore con cui deve essere valutata l’ammissibilità di un’impugnazione. Un appello, specialmente quando contesta una sentenza di assoluzione, deve contenere una critica puntuale e argomentata delle ragioni del primo giudice. La genericità non è ammessa e conduce a una declaratoria di inammissibilità che travolge l’intero giudizio successivo, come accaduto nel caso della responsabilità dell’ente.

Cosa succede se un reato si prescrive dopo che una parte civile ha ottenuto una condanna al risarcimento in appello?
La sentenza penale di condanna viene annullata, estinguendo il reato. Tuttavia, le statuizioni civili non vengono cancellate automaticamente. La Corte di Cassazione, come in questo caso, annulla la sentenza con rinvio al giudice civile competente, il quale dovrà procedere a un nuovo e autonomo giudizio per decidere sulla richiesta di risarcimento del danno.

Per quale motivo l’appello del Pubblico Ministero contro la società è stato considerato inammissibile?
L’appello è stato ritenuto inammissibile perché era aspecifico. Si limitava ad affermare che il reato di frode in commercio era stato commesso nell’interesse o a vantaggio della società, senza però sviluppare un’argomentazione adeguata e coerente, né criticare in modo puntuale le ragioni dell’assoluzione di primo grado, violando così i requisiti dell’art. 581 del codice di procedura penale.

L’uso di un marchio regolarmente registrato esclude automaticamente il reato di frode in commercio?
No, la sentenza chiarisce che la legittimità formale del marchio non è di per sé sufficiente a escludere il reato. Tuttavia, la Corte d’Appello avrebbe dovuto motivare specificamente perché, nonostante l’uso di un marchio registrato, gli imputati avessero comunque agito con l’intento (dolo) di ingannare il consumatore. La mancanza di questa motivazione ha costituito uno dei vizi della sentenza annullata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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