Frode con Documento Falso: Quando un Atto Falsificato Diventa Truffa?
La distinzione tra l’uso di un atto falso e una vera e propria truffa è un tema cruciale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, stabilendo che la presentazione in giudizio di un documento contraffatto per ottenere un ingiusto profitto costituisce una frode con documento falso. Questo articolo analizza la decisione, spiegando perché la condotta è stata qualificata come truffa e non come semplice uso di atto falso.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine da un’azione giudiziaria intrapresa da un soggetto per ottenere il pagamento di una somma di denaro. Per supportare la sua richiesta, l’individuo ha presentato al Tribunale un documento denominato “copia accettazione lavori”, relativo a una fattura. Tale documento, tuttavia, era stato falsificato: la firma apposta, apparentemente riconducibile alla controparte, non era mai stata da questa sottoscritta. Sulla base di questa documentazione contraffatta, l’imputato era riuscito a ottenere un decreto ingiuntivo, ossia un ordine di pagamento provvisoriamente esecutivo.
I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva
Condannato in appello per il reato di truffa ai sensi dell’art. 640 del codice penale, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione. La difesa ha sostenuto principalmente due argomenti:
1. Insussistenza del reato di truffa: Secondo la difesa, mancavano gli elementi soggettivi e oggettivi del reato di truffa.
2. Errata qualificazione giuridica: La condotta avrebbe dovuto, al più, essere riqualificata come uso di atto falso da parte di privato (art. 489 c.p.), un reato peraltro non più previsto dalla legge in quella specifica forma.
In sostanza, la difesa mirava a dimostrare che l’azione del suo assistito non configurava gli “artifici e raggiri” tipici della truffa, ma si limitava all’utilizzo di un documento non autentico.
La Decisione della Cassazione sulla Frode con Documento Falso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno ritenuto i motivi del ricorso infondati e, in parte, non consentiti in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nel precedente grado di giudizio, senza sollevare critiche specifiche e argomentate contro la sentenza impugnata. Inoltre, la richiesta di riqualificare il reato implicava una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione.
Le Motivazioni della Corte
Nel motivare la propria decisione, la Cassazione ha chiarito in modo inequivocabile perché la condotta in esame costituisce una frode con documento falso. Le motivazioni principali sono le seguenti:
1. La sussistenza degli artifici e raggiri: La Corte ha stabilito che la produzione stessa del documento contraffatto, recante una firma falsa, integra pienamente gli “artifici e raggiri” richiesti dall’art. 640 c.p. Tale azione era finalizzata a ingannare il giudice, inducendolo in errore sulla legittimità del credito vantato, per conseguire un profitto ingiusto, rappresentato dalla somma indicata nel decreto ingiuntivo.
2. La consapevolezza dell’imputato: L’elemento soggettivo del reato (il dolo) è stato ritenuto palese. L’imputato era pienamente consapevole di utilizzare un documento non veritiero per attestare circostanze false. L’assenza di qualsiasi spiegazione plausibile sulla provenienza del documento falsificato ha ulteriormente rafforzato la prova della sua malafede.
3. Corretta qualificazione del reato: La Corte ha affermato che la qualificazione della condotta come truffa è giuridicamente corretta e logica. Quando l’uso del documento falso è il mezzo attraverso cui si realizza l’inganno per ottenere un profitto illecito, il reato configurabile è quello di truffa. Questa fattispecie, più grave, assorbe quella minore dell’uso di atto falso. Pertanto, la possibilità di una riqualificazione è stata esclusa.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: l’utilizzo di documenti falsi all’interno di un procedimento giudiziario per trarre in inganno il giudice e ottenere un vantaggio economico indebito non è una mera irregolarità, ma una vera e propria truffa. La falsificazione non è fine a se stessa, ma è lo strumento essenziale per perpetrare l’inganno. Questa pronuncia consolida l’orientamento giurisprudenziale che tutela la corretta amministrazione della giustizia e sanziona con severità chi tenta di manipolarla a proprio vantaggio attraverso l’inganno documentale. Per i cittadini e le imprese, ciò significa che la presentazione di qualsiasi documento in sede legale deve essere improntata alla massima correttezza, poiché le conseguenze di una falsificazione possono essere molto gravi.
Presentare un documento con firma falsa in tribunale per ottenere un pagamento è reato di truffa?
Sì, secondo questa ordinanza, la presentazione in giudizio di un documento con firma falsa per indurre in errore un giudice e ottenere un provvedimento favorevole (come un decreto ingiuntivo) integra pienamente gli artifici e raggiri del reato di truffa previsto dall’art. 640 del codice penale.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché si limitava a ripetere argomenti già respinti in appello, senza una critica specifica alla sentenza, e perché chiedeva una nuova valutazione dei fatti (come la riqualificazione del reato), attività non consentita alla Corte di Cassazione, che giudica solo la corretta applicazione della legge.
Qual è la differenza tra il reato di truffa e l’uso di atto falso in questo caso specifico?
In questo caso, l’uso del documento falso non era fine a se stesso, ma era lo strumento utilizzato per commettere l’inganno e ottenere un profitto ingiusto. La condotta rientra quindi pienamente nella fattispecie della truffa (art. 640 c.p.), che è considerata più grave e assorbe il reato minore di uso di atto falso (art. 489 c.p.).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8186 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8186 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN NOME COGNOME il 11/06/1966
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
a
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
Letta la richiesta della difesa dell’imputato finalizzata ad ottenere la trattazione in pubblica udienza del ricorso;
considerato che con due connessi motivi di ricorso la difesa dell’imputato deduce violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla configurabilità del reato di truffa in ordine alla ricorrenza degli elementi soggettivo ed oggettivo e segnala che la condotta in contestazione al COGNOME dovrebbe essere, al più, riqualificata nella violazione dell’art. 489, comma 2, cod. pen. (peraltro non più prevista dalla legge come reato);
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art 640 co. 1 cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, nella parte in cui rileva che: a) la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di truffa appare indubbia e incontestabile, posto che l’imputato era ben consapevole di attestare, mediante la produzione di documentazione contraffatta, circostanze non veritiere; b) l’aver prodotto un documento contraffatto e mai firmato dalla persona offesa, oltre ad integrare gli artifici e raggiri richiesti dal reato di t ha altresì consentito all’imputato di conseguire un ingiusto profitto consistente nella somma di cui al decreto ingiuntivo n. 684/15 del 17.7.2015;
che, in ogni caso l’imputato non ha fornito alcuna ragionevole indicazione circa le ragioni per le quali aveva la disponibilità di un atto contraffatto così lasciand intendere la consapevolezza della natura dell’atto;
che, per tale ragione, il ricorso deve considerarsi non specifico ma soltanto apparente, in quanto omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta la mancata riqualificazione del reato di cui all’art. 640 cod. pen. nel delitto di cui all’art. 489 pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quell adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridic ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, evidenziando che: a) la mancata riqualificazione del reato di truffa nel delitto di cui all’art. 489 cod. pen. si giustifica
in ragione del fatto che dalla documentazione acquisita in atti e dalle dichiarazioni dei testi è emerso chiaramente che l’imputato, al fine di ottenere dal tribunale di Fermo il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 684/2015, produceva un documento – “copia accettazione lavori di cui alla fattura 2/15” – accertato falso, in quanto recante una firma apparentemente riferibile alla persona offesa, ma da quest’ultima mai sottoscritto; b) tale condotta è qualificabile in termini di artific raggiri ed integra dunque il reato di cui all’art. 640 cod. pen.;
che alla luce della ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito corretta è la qualificazione della condotta dell’imputato come violazione dell’art. 640 cod. pen. il che esclude la possibilità di riqualificazione della stessa;
che, infine, non ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta di trattazione in pubblica udienza del ricorso;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.