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Frode carosello: responsabilità del procacciatore

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla responsabilità penale di un soggetto accusato di aver partecipato a una complessa frode carosello, reclutando prestanome per società fittizie. La sentenza analizza i confini del concorso di persone nel reato, distinguendo le responsabilità a seconda del ruolo concreto svolto. La Corte ha parzialmente annullato con rinvio la condanna, a causa dell’inutilizzabilità di alcune prove testimoniali, e ha annullato senza rinvio per altri capi d’imputazione a seguito di una riqualificazione del reato che ha violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Il caso chiarisce il ruolo di gestore di fatto delle società cartiere e le conseguenze procedurali di una non corretta valutazione delle prove nel contesto di una frode carosello.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frode Carosello: la responsabilità di chi recluta i prestanome

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta il complesso tema della frode carosello, delineando con precisione i contorni della responsabilità penale per chi, pur non gestendo direttamente la società beneficiaria della frode, svolge un ruolo cruciale nella sua attuazione, come quello di reclutare i prestanome per le società “cartiere”. La pronuncia offre importanti spunti di riflessione sul concorso di persone nei reati tributari e sui limiti di utilizzabilità di alcune prove nel processo penale.

I fatti del caso: una complessa frode sull’IVA

Il caso esaminato trae origine da una complessa operazione di evasione dell’IVA, realizzata attraverso il classico schema della frode carosello. Al centro del meccanismo vi era una società italiana che, per abbattere il proprio debito IVA, utilizzava fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse da diverse società “cartiere”. Queste ultime, a loro volta, erano formalmente intestate a dei prestanome.

L’imputato nel procedimento era stato condannato in primo e secondo grado per aver concorso in vari reati tributari, tra cui la dichiarazione fraudolenta, l’emissione di fatture false e l’omessa dichiarazione. Secondo l’accusa, il suo ruolo consisteva nell’aver reperito i soggetti disposti a fare da prestanome per le società cartiere, consentendo così al meccanismo fraudolento di operare.

La questione della responsabilità nella frode carosello

La difesa dell’imputato ha contestato la sua responsabilità, sostenendo che il suo ruolo si fosse limitato a quello di mero “procacciatore” dei prestanome, senza un coinvolgimento diretto nella gestione delle società cartiere né nei rapporti con la società beneficiaria della frode. Inoltre, sono state sollevate questioni procedurali cruciali, come l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai prestanome, in quanto sentiti come testimoni anziché come indagati di reato connesso.

La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma aveva confermato la responsabilità dell’imputato, pur con alcune riqualificazioni dei reati. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione.

La distinzione dei ruoli e le prove a carico

La Corte di Cassazione ha analizzato in modo distinto le varie accuse. Per quanto riguarda il coinvolgimento nella gestione di alcune società cartiere, i giudici hanno ritenuto che le prove raccolte (tra cui le dichiarazioni di un coimputato e le stesse ammissioni dell’interessato) fossero sufficienti a dimostrare un ruolo ben più attivo di quello di semplice procacciatore. L’imputato non si limitava a mettere in contatto i prestanome con gli ideatori della frode, ma gestiva di fatto le società, percependo un compenso mensile per questa attività. Questo lo qualificava come amministratore di fatto, pienamente responsabile per i reati commessi da tali entità, come l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali.

La frattura probatoria e l’annullamento parziale

Per altre accuse, invece, la Corte ha riscontrato una “frattura decisiva nel processo inferenziale”. La Corte d’Appello aveva dichiarato inutilizzabili le deposizioni di uno dei prestanome, ma aveva ugualmente confermato la condanna basandosi esclusivamente sulle accuse di un coimputato, senza i necessari riscontri esterni. L’inutilizzabilità della testimonianza chiave ha fatto venir meno il supporto probatorio, rendendo la condanna per i reati connessi a quella specifica società cartiera (emissione di fatture false) priva di fondamento. Di conseguenza, per questi capi, la sentenza è stata annullata con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello.

La riqualificazione del reato e la violazione del diritto di difesa

Un punto di particolare interesse giuridico riguarda la riqualificazione del reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2 D.Lgs. 74/2000) in quello di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000). La Corte d’Appello aveva operato questa modifica poiché le dichiarazioni fiscali della società beneficiaria erano state presentate oltre il termine di 90 giorni dalla scadenza, rendendole “omesse” ai fini penali. Tuttavia, la Cassazione ha stabilito che questa riqualificazione ha violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza. I due reati tutelano il bene giuridico in modi diversi (uno è commissivo, l’altro omissivo) e presentano elementi costitutivi differenti. Modificando l’accusa in questo modo, si è di fatto impedito alla difesa di interloquire e difendersi su un’ipotesi di reato completamente diversa. Per questo motivo, la condanna relativa a questi capi è stata annullata senza rinvio.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sulla base di consolidati principi di diritto penale sostanziale e processuale. In primo luogo, ha riaffermato che la responsabilità per i reati tributari commessi da una società ricade non solo sull’amministratore di diritto, ma anche su chi, di fatto, esercita la gestione (criterio funzionalistico). Se un soggetto costituisce e gestisce società cartiere tramite prestanome, risponde dei reati da queste commessi. In secondo luogo, ha ribadito la necessità di riscontri esterni, individualizzanti e oggettivi per le dichiarazioni di un coimputato, specialmente quando altre fonti di prova vengono dichiarate inutilizzabili. L’assenza di tali riscontri rende il quadro probatorio insufficiente per una condanna. Infine, ha censurato la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sottolineando che una riqualificazione del fatto in un reato con una struttura completamente diversa lede il diritto di difesa dell’imputato.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante promemoria sulla necessità di un’analisi rigorosa delle prove e del ruolo effettivo di ciascun partecipe in una complessa frode carosello. Non basta provare l’esistenza di un meccanismo fraudolento, ma è indispensabile dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio e nel rispetto delle regole processuali, il contributo causale di ogni singolo concorrente. La decisione evidenzia come le garanzie procedurali, come l’utilizzabilità delle prove e il diritto di difesa, siano fondamentali per assicurare un giusto processo, anche di fronte a reati di grave allarme sociale come le frodi fiscali.

Qual è la responsabilità di chi recluta prestanome in una frode carosello?
La sua responsabilità non si limita a quella di un mero complice. Se, oltre a reclutare i prestanome, il soggetto gestisce di fatto le società cartiere (ad esempio, occupandosi dei conti correnti o degli adempimenti burocratici), viene considerato un amministratore di fatto e risponde direttamente dei reati commessi da tali società, come l’omessa dichiarazione fiscale.

Quando le dichiarazioni di un coimputato possono essere utilizzate contro un altro?
Le dichiarazioni di un coimputato possono essere utilizzate come prova solo se supportate da altri elementi di riscontro esterni, che ne confermino l’attendibilità. Se le uniche prove a supporto di tali dichiarazioni vengono dichiarate inutilizzabili (come nel caso di una testimonianza acquisita in violazione delle norme procedurali), le sole accuse del coimputato non sono sufficienti per fondare una sentenza di condanna.

Cosa accade se un reato viene riqualificato in appello in un’ipotesi del tutto diversa?
Se la riqualificazione trasforma un reato commissivo (es. dichiarazione fraudolenta) in uno omissivo (es. omessa dichiarazione), con elementi costitutivi differenti, si verifica una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Questo lede il diritto di difesa, poiché l’imputato non ha avuto modo di difendersi dalla nuova accusa. In tal caso, la Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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