Frequentazione pregiudicati: la Cassazione stabilisce i limiti
La violazione del divieto di frequentazione pregiudicati è una questione delicata che si colloca al confine tra la libertà personale e le esigenze di sicurezza pubblica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su quando una serie di incontri possa trasformarsi da casuale a penalmente rilevante. Analizziamo insieme la vicenda per comprendere i criteri utilizzati dai giudici e le implicazioni per chi è sottoposto a misure di prevenzione.
I fatti del caso: tre incontri sono sufficienti?
Il caso riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado alla pena di un anno di reclusione per aver violato la prescrizione che gli imponeva di non associarsi abitualmente con soggetti pregiudicati. La difesa dell’imputato sosteneva che i contatti contestati, avvenuti in tre occasioni e in un arco temporale molto breve, fossero meramente occasionali e privi della necessaria offensività per costituire reato. Inoltre, veniva addotta la possibile ignoranza da parte dell’imputato riguardo ai precedenti penali delle persone frequentate.
La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, ritenendo che la ripetitività degli incontri, uno dei quali avvenuto all’interno di un’autovettura in compagnia di due dei soggetti, fosse sufficiente a dimostrare un’associazione non fugace e, quindi, penalmente rilevante.
La violazione di legge e il vizio di motivazione
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la tesi difensiva, i giudici di merito avrebbero erroneamente interpretato il concetto di ‘abitualità’, attribuendo un significato illecito a incontri sporadici che, data la loro natura e il breve lasso di tempo, non potevano essere considerati una violazione della prescrizione.
La valutazione della frequentazione pregiudicati da parte della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e generico. I giudici hanno sottolineato come il ricorrente si sia limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata. Questo approccio rende il ricorso un mero tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito, compito che esula dalle competenze della Corte di Cassazione.
le motivazioni: la ripetitività come prova dell’abitualità
La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello congrua, logica e conforme ai principi giurisprudenziali. Il punto centrale della decisione risiede nel concetto di abitualità. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Cassazione ha ribadito che la ripetitività degli incontri, anche se avvenuti in un periodo di tempo limitato, è un elemento chiave per dimostrare l’esistenza di un legame non occasionale. Il fatto che gli incontri non fossero fugaci, ma implicassero una certa stabilità (come trovarsi insieme in un’auto), rafforza la tesi dell’abitualità.
La Corte ha inoltre precisato che il suo ruolo non è quello di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma di verificare la presenza di vizi logici o giuridici nella motivazione. In questo caso, non è stata riscontrata alcuna illogicità o contraddittorietà. La richiesta del ricorrente di una diversa valutazione della gravità degli incontri è stata quindi respinta, in quanto rappresenta un’istanza di riesame dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.
le conclusioni: la condanna e le implicazioni pratiche
L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: per integrare il reato di violazione delle prescrizioni sulla frequentazione pregiudicati, non è necessario un lungo periodo di tempo o un numero elevato di incontri. Ciò che conta è la dimostrazione di un legame che vada oltre la mera casualità, e anche pochi episodi ravvicinati possono essere sufficienti a provarlo, specialmente se le circostanze denotano una certa familiarità tra i soggetti.
Quanti incontri con pregiudicati sono necessari per commettere il reato?
Secondo la Corte, non esiste un numero minimo predefinito. Nel caso specifico, tre incontri avvenuti in un breve arco temporale e in modo non fugace sono stati ritenuti sufficienti per dimostrare l’abitualità della condotta e, quindi, integrare il reato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché manifestamente infondato e generico. Il ricorrente si è limitato a ripetere le argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza contestare specificamente le motivazioni della sentenza impugnata e chiedendo, di fatto, un nuovo giudizio sui fatti, che non è consentito in sede di Cassazione.
Cosa significa che la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti?
Significa che il ruolo della Corte di Cassazione (giudizio di legittimità) non è quello di stabilire come sono andati i fatti o di valutare nuovamente le prove, ma solo di controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4895 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4895 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a ACIREALE il 18/11/1977
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro la sentenza emessa in data 10 giugno 2024 con cui la Corte di appello di Catania, confermando la sentenza di primo grado, lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione per il reato di cui agli artt. 99 cod. pem e 75, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, commesso accompagnandosi in tre occasioni a soggetti pregiudicati, ed ha respinto l’affermazione della non abitualità di tale condotta e della possibile ignoranza, da parte dell’imputato, dei pregiudizi penali di tali soggetti;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere la Corte ritenuto sussistente la violazione della prescrizione di associarsi abitualmente con soggetti pregiudicati benché la sua condotta si sia limitata a tre occasionali incontri compiuti in un brevissimo arco temporale, circostanza che rende tale comportamento privo della necessaria offensività;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile per la sua manifesta infondatezza e genericità, dal momento che il ricorrente si limita a ripetere il contenuto del motivo di merito del suo appello, senza confrontarsi con la sentenza impugnata, che ha esaminato detto motivo e lo ha ritenuto infondato, con una motivazione congrua e non illogica, nonché conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, affermando che proprio la ripetitività degli incontri, avvenuti in un brevissimo arco temporale e in modo non fugace, bensì in un caso addirittura venendo egli sorpreso su un’auto in compagnia di due di tali soggetti, la dimostrazione di una sua abitualità ad associarsi con costoro (vedi Sez. 1, n. 14149 del 20/02/2020, Rv. 278942);
ritenuto, altresì, che il ricorso sia inammissibile perché non indica alcuna palese illogicità o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, ma chiede a questa Corte una diversa valutazione circa la rilevanza penale e la gravità degli incontri contestati, in contrasto con i principi giurisprudenziali, secondo cui la Corte di legittimità può solo verificare la sussistenza di uno dei vizi previsti dall’art. 606 cod. proc. pen., ma non può sostituire alla valutazione espressa dal giudice di merito, se non viziata, una propria, diversa valutazione dei fatti o della loro gravità (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente