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Frequentazione di pregiudicati: quando è reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per la violazione delle misure di prevenzione, specificamente per la frequentazione di pregiudicati. La Corte ha ritenuto che il ricorso fosse manifestamente infondato, poiché mirava a una rivalutazione dei fatti già accertati dai giudici di merito, i quali avevano correttamente evidenziato l’abitualità degli incontri e la consapevolezza del ricorrente circa i precedenti penali delle persone frequentate. La decisione conferma che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Frequentazione di Pregiudicati: La Cassazione Conferma la Condanna e Dichiara il Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21674 del 2024, ha affrontato un caso relativo al reato di frequentazione di pregiudicati da parte di un soggetto sottoposto a misure di prevenzione. Questa decisione ribadisce importanti principi sia sul merito della fattispecie criminosa, sia sui limiti del sindacato di legittimità, offrendo spunti cruciali sulla differenza tra violazione di legge e rivalutazione dei fatti.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di condanna a un anno di reclusione emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato era stato ritenuto colpevole della violazione delle prescrizioni imposte dalla misura di prevenzione cui era sottoposto, in particolare per aver intrattenuto rapporti con persone aventi precedenti penali, contravvenendo a quanto previsto dal D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia).

La difesa del condannato si basava sulla tesi che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a provare la sussistenza del reato. Nello specifico, si contestava che la condotta fosse penalmente rilevante, dato che gli incontri documentati erano stati solo due in un arco temporale di circa due anni, un numero ritenuto non idoneo a configurare l’abitualità richiesta dalla norma.

Il Ricorso in Cassazione

Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando le sue doglianze su tre motivi principali:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione sul fatto tipico: La difesa sosteneva che due soli incontri in un lungo periodo non potessero integrare il requisito dell’abitualità della frequentazione.
2. Vizio di motivazione sull’elemento psicologico: Si contestava la prova della consapevolezza, da parte del ricorrente, dei precedenti penali delle persone con cui aveva intrattenuto rapporti.
3. Errata valutazione complessiva: Il ricorso mirava, in sostanza, a ottenere una diversa lettura delle prove emerse nel corso del processo, proponendo un’interpretazione alternativa dei fatti.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Frequentazione di Pregiudicati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le doglianze manifestamente infondate. I giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente, che si integrava perfettamente con quella del giudice di primo grado.

La Cassazione ha sottolineato che i giudici di merito avevano considerato tutti gli elementi a disposizione, non limitandosi al mero conteggio degli incontri. Avevano infatti analizzato le modalità, il contesto e i collegamenti del ricorrente con noti ambienti criminali. Questi fattori, nel loro complesso, erano stati ritenuti sufficienti a dimostrare sia l’abitualità della frequentazione di pregiudicati, sia la piena consapevolezza del ricorrente riguardo allo status criminale dei suoi interlocutori.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale del giudizio di legittimità: il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per sollecitare una “diversa e alternativa lettura” del materiale probatorio. Le censure proposte dal ricorrente, secondo i giudici, non denunciavano una reale violazione di legge, ma si risolvevano in un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un’importante conferma di due principi cardine. In primo luogo, ai fini del reato di frequentazione di pregiudicati, l’abitualità non va intesa in senso puramente numerico, ma deve essere valutata nel contesto complessivo, considerando la natura dei rapporti e i legami del soggetto con ambienti criminali. In secondo luogo, la Corte di Cassazione riafferma il proprio ruolo di giudice della legge e non del fatto: un ricorso che si limiti a contestare l’interpretazione delle prove data dai giudici di merito, senza individuare vizi di legittimità, è destinato all’inammissibilità. La decisione ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della cassa delle ammende, a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Quando la frequentazione di pregiudicati diventa reato per un soggetto sottoposto a misure di prevenzione?
Diventa reato quando gli incontri non sono meramente occasionali ma denotano un’abitualità, valutata non solo sul numero degli episodi ma anche sul contesto, sulle modalità e sui collegamenti del soggetto con ambienti criminali, e quando il soggetto è consapevole dei precedenti penali delle persone frequentate.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come il numero di incontri avvenuti?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o fornire una diversa lettura dei fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non condurre un nuovo giudizio di merito.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come nel caso di specie, al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver proposto un’impugnazione priva dei requisiti di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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