Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14308 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14308 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/11/2023
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME COGNOME, nato a San Giuseppe Jato il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza in data 23/02/2023 della Corte di appello di Palermo, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, letta per il ricorrente la memoria dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 23 febbraio 2023 la Corte di appello di Palermo ha rigettato l’incidente di esecuzione presentato da NOME COGNOME avverso l’ingiunzione alla demolizione emessa in data 29 ottobre 2020 dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo, in esecuzione della sentenza di condanna della Corte di appello di Palermo in data 26 marzo 1998, divenuta irrevocabile il 20 aprile 1999.
Il ricorrente lamenta la violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 31, comma 3, ultimo periodo, legge n. 47 del 1985, e dell’art. 39 legge n.
724 del 1994 nonché per travisamento della prova con riferimento alla ritenuta insussistenza della legittimità RAGIONE_SOCIALE istanze di condono presentate da NOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
E’ pacifico in giurisprudenza che non è ammessa la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli art. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall’art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, quando si tratti di un unico immobile e non siano individuati distinti titoli in relazione a un frazionamento reale del cespite. Il frazionamento dei permessi a costruire in sanatoria per eludere il limite dei 750 mc è illegittimo e determina la disapplicazione degli atti amministrativi (si vedano, tra le più recenti, Sez. 3, n. 30455 del 02/08/2022, PG in proc. COGNOME, non mass.; n. 2253 del 04/07/2023, NOME, non mass.; n. 37047 del 03/07/2023, NOME, non mass.; n. 27977 del 04/04/20.1[9, Caputo, Rv. 276084-01; Sez. 4, n. 10017 del 03/03/2021, PG in proc. COGNOME, Rv. 280700; si veda altresì, Sez.3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282887 – 01, che ha ribadito lo stesso principio per il condono del d.l. 30 novembre 2003, n. 269, conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato che l’immobile è stato abusivamente realizzato dal ricorrente su un terreno che gli era pervenuto per donazione; che le domande di sanatoria erano state presentate a nome suo, della madre e della zia, ma i permessi erano stati rilasciati solo a lui che era l’unico proprietario dell’intero fabbricato; che la relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria era unica e relativa all’intero edificio; che le due donne non erano nella disponibilità del cespite neanche pro quota e, per giunta, erano domiciliate in altro Comune. Ha, quindi, concluso che vi era stata un’unica istanza in sanatoria, artificiosamente frazionata, superando il limite della cubatura.
Il ricorrente ha censurato la decisione adducendo elementi di fatto inconsistenti: ha sostenuto che il suo dante causa gli aveva assegnato l’immobile per intero, sebbene diviso in tre distinte unità abitative, a condizione di attribuire il diritto di abitazione alla madre e alla zia.
Tuttavia, non risulta formalizzata la costituzione del diril:to di abitazione e le signore, per giunta, risiedevano in un altro Comune.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che i soggetti legittimati alla richiesta del condono e della sanatoria edilizia (art. 31, legge n. 47 del 1985, art. 39 I. n. 724 del 1994, art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001) sono il proprietario e tutti coloro i quali abbiano una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale,
o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2022, n. 1827 che richiama le sentenze sez. IV, 19 luglio 2021, n. 5407, e 30 agosto 2018, n. 5115; sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776; sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818). Pertanto, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando il titolo di proprietà o altro titolo e la relativa idoneità eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919; Sez. IV, n. 4818 del 2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990).
Nel caso in esame, come detto, la Corte territoriale ha accertato che il ricorrente era l’esclusivo proprietario dell’intero fabbricato, mentre le signore non avevano alcuna relazione con il cespite, né formale né sostanziale. Il ricorrente ha giustificato la circostanza del rilascio della sanatoria a suo nome per il fatto che, nelle more, la madre era deceduta e la zia era invalida, ma non ha allegato elementi di giudizio idonei a confutare la restante parte del ragionamento della Corte di appello, basato sull’assenza di documentazione in merito alla costituzione formale del diritto di abitazione e sull’inidoneità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni sostitutive di terzi estranei a ribaltare il dato formale della residenza RAGIONE_SOCIALE signore in altro Comune. La circostanza, rappresentata sempre dai terzi, che i lavori erano stati originariamente commissionati (e pagati) dalle due signore e dal dante causa del ricorrente si appalesa del pari inidonea a costituire un titolo legittimante la richiesta dei condoni da parte RAGIONE_SOCIALE signore, a fronte del titolo di proprietà esclusiva del ricorrente, che imponeva maggior rigore nella rappresentazione dei fatti legittimanti le richieste e una diversa formalizzazione RAGIONE_SOCIALE istanze.
In definitiva, il ricorso consiste nella prospettazione di circostanze, per giunta non adeguatamente provate, alternative rispetto a quelle accertate dalla Corte territoriale e mira a una rivalutazione del fatto che è preclusa al giudice di legittimità allorché la decisione, come nella fattispecie, sia coerente con i dati probatori acquisiti nel processo e non manifestamente illogica o contraddittoria.
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Così deciso, il 2 novembre 2023
Il Consigliere estensore