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Formazione lavoratori: inammissibile ricorso vago

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro condannato per la violazione delle norme sulla formazione dei lavoratori. La Corte ha stabilito che il ricorso mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e ha confermato la decisione del Tribunale basata sulla mancanza di prove documentali che attestassero l’effettiva erogazione della formazione obbligatoria.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Formazione Lavoratori: Ricorso Respinto per Genericità delle Prove

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di sicurezza sul lavoro: la formazione lavoratori non può essere dimostrata con affermazioni generiche o verbali, ma richiede prove documentali concrete. Il caso in esame ha visto un datore di lavoro ricorrere contro una condanna per non aver adempiuto agli obblighi formativi previsti dal D.Lgs. 81/2008. L’esito è stato una declaratoria di inammissibilità, che conferma la validità della decisione del giudice di merito e sottolinea i limiti del giudizio di legittimità.

I Fatti del Processo

Un datore di lavoro era stato condannato dal Tribunale di Asti al pagamento di una pena pecuniaria per la violazione degli articoli 37 e 55 del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro. La contestazione riguardava la mancata o insufficiente formazione e addestramento di un proprio dipendente.

Contro questa sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione sia riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale sia in relazione alla misura della sanzione applicata. In sostanza, il ricorrente cercava di presentare una lettura alternativa delle prove raccolte durante il processo di primo grado.

Inammissibilità e Adeguata Formazione Lavoratori

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali. In primo luogo, ha evidenziato come la censura sulla responsabilità penale fosse finalizzata a ottenere una nuova valutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. Il giudizio della Cassazione, infatti, non è un terzo grado di merito, ma si limita a controllare la corretta applicazione del diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Anche la seconda censura, relativa alla sanzione, è stata giudicata inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il Tribunale aveva scelto di applicare la sola pena pecuniaria, confermando un importo già definito in un precedente decreto penale opposto e ritenuto congruo in base alle condizioni soggettive dell’imputato.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda sulla solidità della motivazione del Tribunale. Quest’ultimo aveva basato la condanna su elementi chiari e inequivocabili: l’assenza totale di documentazione che comprovasse la partecipazione del lavoratore a specifici corsi di formazione. Di fronte a questa mancanza, le dichiarazioni del datore di lavoro e dei testimoni sono state ritenute vaghe e insufficienti. Essi avevano menzionato che “forse” i corsi si erano tenuti, senza però fornire dettagli concreti.

Inoltre, è stato chiarito che una generica “istruzione fornita verbalmente al lavoratore” non può in alcun modo sostituire i percorsi formativi strutturati e certificati richiesti dalla legge. La formazione lavoratori deve essere un processo tracciabile e documentato, non un semplice passaggio di informazioni informali. L’onere della prova di aver adempiuto a tale obbligo grava interamente sul datore di lavoro.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio cardine della giurisprudenza in materia di sicurezza sul lavoro: la prova della formazione deve essere rigorosa e documentale. Non è sufficiente affermare di aver istruito un dipendente; è necessario dimostrarlo con attestati, registri di presenza e programmi dettagliati. Per le aziende, questa decisione serve come monito sull’importanza di una gestione meticolosa e documentata di tutti gli obblighi formativi. Per i legali, conferma che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di merito, se la sua motivazione è logica e priva di vizi giuridici. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Perché il ricorso del datore di lavoro è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché tendeva a ottenere una diversa lettura delle prove e una rivalutazione dei fatti, attività che non è consentita in sede di Cassazione. La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata fosse logica e priva di vizi.

Quali prove sono necessarie per dimostrare l’avvenuta formazione dei lavoratori?
Secondo la decisione, non sono sufficienti affermazioni generiche o istruzioni verbali. È necessaria una documentazione formale che comprovi la frequenza e il completamento dei corsi di formazione obbligatori, come attestati di partecipazione o registri firmati.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila Euro) in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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