Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28007 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28007 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Bologna, in riforma parziale di quella con la quale il Tribunale della stessa città, in data 23 luglio 2021, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati, unificati dalla continuazione, di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 2 e 6, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (per avere fatto ritorno nel comune di Castel San Pietro Terme nonostante il provvedimento emesso dal AVV_NOTAIO di Bologna il 19/11/2018, notificato all’interessato il 4/12/2018, che gliene faceva divieto per un periodo di 3 anni; fatti accertati in Castel San Pietro Terme il 10/04/2019, il 07/05/2019 ed il 26/03/2019) ha, previa correzione materiale dell’intestazione della sentenza con indicazione delle tre contravvenzioni contestate, ridotto la pena inflitta a mesi tre di arresto.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Lamenta in primo luogo la Difesa che dalla copia, in atti, del provvedimento del AVV_NOTAIO di Bologna n. 424/2018 RGMP del 19/11/2019, solo parzialmente intelleggibile, non emergerebbe la data della relativa notifica, potendosi leggere solo l’anno, il 2018, ed il luogo della notifica, Casalecchio di Reno.
Sotto altro profilo la Difesa censura la mancata disapplicazione dell’atto amministrativo non essendo in esso specificato in quale categoria di pericolosità sia stato ricondotto il COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura violazione di legge, in particolare dell’art. 81 cpv. cod. pen., e vizio di motivazione. Si duole il ricorrente che non sua stata riconosciuta l’unicità della condotta, avendo i Giudici di merito applicato la continuazione tra i reati contestati, trattandosi di reato permanente.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
La Difesa ha depositato una memoria con cui ulteriormente argomenta ed insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
In premessa, quanto alla deduzione inerente il fatto che dalla copia del provvedimento del AVV_NOTAIO non sarebbe evincibile la data della notifica all’imputato, si osserva come lo stesso ricorrente affermi essere visibile l’anno della notifica, il 2018, a fronte di violazioni contestate commesse nel 2019: in ogni caso, come correttamente osservato dal Procuratore generale in seno alla sua requisitoria, si tratta di doglianza non proposta con i motivi di appello, e pertanto inammissibile in questa sede.
Quanto al secondo profilo sollevato con il primo motivo di ricorso, si ricorda come, per pacifica giurisprudenza (Sez. F, n. 54155 del 27/07/2018, COGNOME, Rv. 274649-01; Sez. 1, n. 44221 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 260897-01; Sez. 1, n. 248 del 13/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238767-01), il sindacato del giudice in ordine al foglio di via obbligatorio, adottato dal AVV_NOTAIO, non può tradursi nella rivalutazione del giudizio di pericolosità espresso dal provvedimento, dovendo soltanto riguardare la verifica della conformità di quest’ultimo alle prescrizioni di legge, tra le quali rientr l’obbligo di motivazione, plausibile e non apparente, sugli elementi di fatto da cui viene desunto il giudizio di pericolosità.
La sentenza impugnata si è rettamente attenuta al principio, avendo verificato che l’atto amministrativo, recasse una puntuale enunciazione dei suddetti indici di pericolosità del COGNOME (soggetto gravato da 136 iscrizioni nel casellario giudiziale, sottoposto innumerevoli volte al foglio di via obbligatorio, di cui violava ripetutamente le prescrizioni), ed in particolare la dedizione dell’imputato alla commissione di reati contro il patrimonio, individuando la propria base operativa abituale in aree di servizio autostradali, con turbativa all’ordine ed alla sicurezza pubblici determinate dalla frequente richiesta di intervento della RAGIONE_SOCIALE, così distolta dai suo compiti istituzionali primari, onde fosse da escludere l’evidenza di abuso del potere discrezionale questorile.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente deduce l’unicità del reato e l’erronea applicazione della continuazione tra le tre violazioni riscontrate, è inammissibile in quanto non risulta sollevato nel corso del giudizio di appello. Non possono, infatti, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugNOME con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.
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Il motivo è peraltro anche manifestamente infondato: se infatti corretto è il punto di partenza da cui muove il ricorrente nell’argomentare la deduzione, ovvero la natura permanente del reato contestato, cionondimeno, si osserva come nel caso che ci occupa non risulta che il COGNOME, venditore abusivo, abbia neppure allegato la circostanza, di fatto, di non essersi allontaNOME da Castel San Pietro tra una violazione e l’altra.
3. Deve infine osservarsi come i contestati reati non siano prescritti.
I reati sono stati commessi il 26/03/2019, 10/04/2019, 07/05/2019, e quindi al termine massimo di cinque anni, previsto per i reati contravvenzionali, vanno aggiunti i periodi di sospensione, nella misura massima di un anno e sei mesi ciascuno, a decorrere dalla sentenza di primo grado e da quella di appello, contemplati dall’art. 159 cod. pen. nella formulazione vigente all’epoca dei fatti (c.d. riforma Orlando, entrata in vigore il 3 agosto 2017), norma da intendersi come più favorevole rispetto a quella, introdotta con la L. n. 3/2019 (c.d. riforma Bonafecle, in vigore dal 01/01/2020), che aveva sancito la sospensione della prescrizione sine die dopo la pronuncia di primo grado (cfr. sez. 1, n. 2629 del 29/09/2023, dep. 2024, Falco, Rv. 285724 – 01).
Dunque, dalla sentenza di condanna di primo grado, emessa il 23/07/2021, si è avuta la sospensione del termine di prescrizione nei limiti di un anno e sei mesi; ed un’ulteriore sospensione sino ad un massimo di un anno e sei mesi ha cominciato a decorrere dopo l’emissione della sentenza d’appello, del 30/06/2023, con la conseguenza che ad oggi il termine massimo prescrizionale non risulta ancora maturato.
4. L’impugnazione va, pertanto, rigettata.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 aprile 2024