Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19765 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19765 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BANDI NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto La declaratoria d’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Milano, in riforma di quella con cui il Tribunale della stessa città, in data 1 aprile 2022, aveva dichiarato COGNOME colpevole dei reati di cui all’art. 4 I. n. 110 del 1975 (capo a) e art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (capo b), ha corretto l’errore del giudice di primo grado in punto di dosimetria della pena per ciascuno dei reati (riduzione della misura di 1/3, invece che di 1/2, trattandosi di contravvenzione), rideterminandola in quella di quattro mesi e quindici giorni di arresto ed euro 600,00 di ammenda per il capo A) e di un mese di arresto per il capo B).
Ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE a mezzo del difensore di fiducia, e deduce due motivi.
2.1. Con il primo motivo eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 546 cod. proc. pen., in punto di erroneità del dispositivo relativamente a trattamento sanzioNOMErio per la contravvenzione di cui al capo A).
Lamenta la contraddittorietà tra il dispositivo contenuto nella sentenza, deposita in cancelleria il 2 maggio 2023, nel quale – coerentemente con la parte motiva del medesimo provvedimento -la pena inflitta all’imputato per la contravvenzione di cui al capo A) è rideterminata in «mesi quattro e mesi sei di arresto e euro 600 di ammenda» e il dispositivo emesso a seguito dell’udienza (, celebrata con la procedura “cartolare”) del 27 aprile 2023 e notificato in pari data, in cui si legge che la riduzione della pena è di «mesi quattro e giorni quindici di arresto», immutata la pena pecuniaria.
Richiamato un arresto di legittimità secondo cui l’omessa irrogazione, nel dispositivo di una sentenza di condanna, di una pena prevista dalla legge integrerebbe un errore di diritto e non un errore materiale, e, in quanto tale, non rettificabile né con la procedura di correzione di cui all’art. 130 cod. proc. pen. né attraverso la motivazione della sentenza medesima – poiché si tratterebbe di lacuna che determina l’incompletezza del dispositivo nei suoi elementi essenziali, a norma dell’art. 546, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 19537 del 10/02/2015, Attardi, Rv. 263638)» – il ricorrente conclude che, a fortiori, la sentenza che, come nel caso di specie, riporta tanto nel dispositivo che nella motivazione una pena non legale dev’essere considerata affetta da nullità.
2.2. Con il secondo motivo denuncia l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella interpretazione datane dalla giurisprudenza di merito e legittimità.
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La Corte territoriale avrebbe, invero, assunto una decisione contraria rispetto all’ormai consolidato insegnamento della Suprema Corte, che ritiene necessari, perché sia integrato il contestato reato, la contemporanea presenza dell’imposizione di rientrare al luogo di residenza e quella di non fare ritorno nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento. Rileva come, nel caso di specie, il provvedimento del AVV_NOTAIO difetti dell’indicazione del Comune di residenza del destinatario del provvedimento stesso, sicché la Corte di appello, cui il tema era stato devoluto, avrebbe dovuto assolvere l’imputato.
Il Sostituto Procuratore generale,, NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni che s’indicano di seguito.
Non coglie nel segno il primo motivo.
2.1. Non è superfluo premettere che la Corte territoriale ha emesso il dispositivo della decisione oggetto d’impugnazione, in dai:a 27 aprile 2023, all’esito di udienza celebrata con il rito cartolare ai sensi dell’art. 23-bis di. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, recante «disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COV1D-19».
Segnatamente il comma 3 di tale disposizione testualmente recita: «Alla deliberazione la corte di appello procede ccin le modalità di cui all’ articolo 23 comma 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137. Il dispositivo della decisione è comunicato alle parti».
Tali disposizioni non derogano in alcun modo ai principi espressi da questa Corte in punto di rapporti tra dispositivo e motivazione per il caso della loro divergenza, secondo cui – per ciò che qui interessa – «La difformità tra dispositivo letto in udienza e dispositivo in calce alla motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalme il dispositivo, ma, prevalendo il dispositivo di udienza, detta difformità è sanabil mediante il procedimento di correzione dell’errore materiale» (Sez. 6, n. 18372 del 28/03/2017, Giugovaz, Rv. 269852; Sez. 3, n. 125 del 19i/11/2008, dep. nel 2009, Bassirou, Rv. 242258).
Corollario di tale principio è quello secondo cui perfino l’omessa trascrizione, sull’originale della sentenza, del dispositivo letto in udienza non integra la nullità cui all’art. 546, comma 3, cod. proc. pen. – che va, invece, riferita all’ipotesi
cui il dispositivo difetti totalmente – trattandosi di mera omissione grafica d parte dell’estensore del provvedimento, sanabile con la procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 cod. proc. pen.» (Sez. 2, 4969del 01/12/2022, dep. 06/02/2023, COGNOME, Rv. 284053; Sez. 6, n. 12308 del 3/3/2008, COGNOME, Rv. 239329).
2.2. Venendo al caso che ci occupa, la circostanza che, quanto al capo a) di imputazione, la sentenza depositata rechi un dispositivo e una motivazione non coerenti con il dispositivo notificato alla parte non produce alcuna nullità, poiché il dispositivo letto in udienza è in realtà corrispondente al contenuto della motivazione, dovendosi dunque applicare il suindicato principio, in forza del quale la difformità tra dispositivo letto in udienza e dispositivo in calce al motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo e che, prevalendo il dispositivo di udienza, ta difformità è sanabile mediante il procedimento di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza.
Posto che il motivo di ricorso è, dunque, manifestamente infondato, ma che dall’esame degli atti – consentito al Collegio in relazione alla natura processuale del vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220093) non risulta che la Corte di appello vi abbia già provveduto, l’errore materiale può essere rettificato in questa sede, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.
E, invero, nel giudizio di legittimità, i casi di rettificazione elencati nell 619, commi 1 e 2, cod. proc. pen. non sono tassativi ed è quindi suscettibile di rettificazione ogni altro erroneo enunciato contenuto nella sentenza impugnata, del quale sia palese e pacifica la riconoscibilità, qualora non comporti la necessità dell’annullamento (Sez. 1, n. 35423 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260279. In motivazione, la Corte ha precisato che questa regola discende dai principi dell’economia, dell’efficienza processuale e della massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto e attività non essenziale).
Il principio è stato recentemente ripreso da Sez. IJ., n. 24701 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283754, nella cui motivazione si è precisato che «Con specifico riguardo all’art. 619 cod. proc. pen., le Sezioni Unite hanno infatti individuato la ratio della norma nell’esigenza di evitare l’annullamento della decisione impugnata in tutte le occasioni nelle quali si possa rimediare a errori o cadute di attenzione del giudice a quo lasciando inalterato il contenuto decisorio essenziale della sentenza impugnata (Sez. U, n. 9973 del 24/06/1998, Kremi, Rv. 211072). La Suprema Corte ha peraltro sottolineato in altre decisioni che la norma in esame, nel prevedere la rettificazione nel giudizio di legittimità, costituisce disposizione speciale e derogatoria della più generale disciplina della
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correzione di errori materiali dettata dall’art. 130 cod. proc. pen., nella parte i cui consente alla Corte di cassazione di procedere direttamente alla correzione anche in presenza della condizione ostativa posta dall’art. 130 cod. proc. pen. nel precludere tale facoltà al giudice competente a conoscere dell’impugnazione, ove la stessa sia dichiarata inammissibile (Sez. 3, n. 30236 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650; Sez. 3, n. 19627 del 04/03/2003, Rv. 224846; Sez. 1, n. 2149 del 27/11/1998, dep. 1999, Rv. 212532). A prescindere da quest’ultimo aspetto, l’art. 619 cod. proc. pen. riprende pertanto dall’art. 130 cod. proc. pen. il fondamento definitorio dell’errore che giustifica la mera correzione in luogo dell’annullamento. Questi tratti fondamentali sono stati nitidamente delineati, ancora dalle Sezioni Unite, nella definizione dell’errore correggibile quale divergenza evidente e casuale fra la volontà del giudice e il correttivo mezzo di espressione, della quale costituiscono manifestazioni tipiche l’errore linguistico e quello immediatamente rilevabile dal contesto interno della sentenza (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426). Il limite dell’errore rilevabile con la procedura di correzione e, nel giudizio di legittimità, di rettificazione, rispetto vizio che impone viceversa l’annullamento della sentenza impugnata, viene a esserne ricostruito, in negativo, nell’ininfluenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata; e, in positivo, nell’evidente divergenza fra il dato testuale e l’effettiva volontà del decidente».
Ed è ciò che è accaduto nel caso che ci occupa, sicché, nella sentenza impugnata, la previsione della pena di «mesi quattro e mesi sei di arresto» per il capo a) dell’imputazione è sostituita con la pena di «mesi quattro, giorni quindici di arresto ed euro 600,00 di ammenda».
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E’, invece,Vil secondo motivo di ricorso.
3.1. Secondo una recente e ormai consolidata esegesi dell’art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, cui il Collegio intende dare continuità, «le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio, con conseguenza che la mancanza di una delle due prescrizioni determina l’illegittimità del provvedimento, rilevabile dal giudice penale al fine disapplicarlo per difformità dalla fattispecie tipica, con la conseguente insussistenza del reato di cui all’art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159» (ex pluribus Sez. 1 n. 34556 del 18/04/2023, NOME, Rv. 285058; Sez. 1, n. 24163 del 11/03/2022, COGNOME, Rv. 283403; Se -2:. 1, n. 14023 del 17/02/2022, Ciurar, Rv. 282851).
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L’accertata inscindibilità nel provvedimento del divieto di rientro della persona (in difetto di autorizzazione, o prima del termine imposto) nel comune dal quale la medesima è estromessa e dell’ordine di fare ritorno nel luogo di residenza dal quale la persona si è allontanata – si è inoltre chiarito – comporta l’ulteriore conseguenza che la norma istitutiva della misura di prevenzione personale in esame non possa trovare concreta applicazione nei confronti di colui il quale sia privo di residenza, intesa come effettiva e abituale dimora, sia pure per un tempo limitato, nel territorio nazionale.
Considerata, invero, la ratio dell’istituto – costituita dal perseguimento dell’obiettivo di far ritornare la persona pericolosa nel comune in cui il soggetto risiede e in cui può meglio esplicarsi il controllo di pubblica sicurezza nei suoi confronti – la stessa non si rinviene quando sia del tutto mancante il luogo di residenza in cui destinare il medesimo con la misura coercitiva del foglio di via.
Il divieto di fare rientro nel territorio di allontanamento presuppone che sia sussistente e, quindi, conosciuto un diverso comune nel quale il soggetto destinatario del foglio di via abbia diritto di soggiornare e dal quale non possa essere allontaNOME (Sez. 1, n. 13975 del 05/03/2020, COGNOME, Rv. 278821 Sez. 1, n. 37816 del 05/04/2019, COGNOME NOME, n. m.). La Corte ha, altresì, escluso la possibile rilevanza della normativa in tema di ordinamento anagrafico della popolazione residente che, con riferimento alle persone senza fissa dimora né domicilio, prescrive l’iscrizione d’ufficio nei registri anagrafici del comune di nascita, trattandosi di disposizione dettata da ragioni di natura amministrativa non rispondente alla finalità di controllo sottesa alla misura di prevenzione (Sez. 1 n. 40832 del 25/06/2019, NOME COGNOME, Rv. 277480).
3.2. Venendo al caso in esame, risulta dalla lettura del provvedimento del AVV_NOTAIO di Milano in data 18 maggio 2020 riprodotto nel ricorso ai fini della sua auto sua autosufficienza, nonché versato in atti – che il ric:orrente è soggetto privo di fissa dimora e domiciliato presso la Casa comunale per le già indicate ragioni di natura amministrativa.
L’assenza dell’indicazione nel provvedimento, per la mancanza della sua sussistenza, dell’effettivo Comune di residenza della persona destinataria dell’atto ne ha determiNOME la sua invalidità, perché esso è risultato carente di uno dei suoi elementi essenziali.
L’atto, pertanto, doveva (e deve) essere incidenter tantum disapplicato dal giudice penale e l’inosservanza del provvedimento emesso dal AVV_NOTAIO di Milano il 18 maggio 2020 resta priva di rilievo penale.
Ne deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo b), perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio della sentenza impugnata, in relazione al reato di cui al capo b), perché il fatto non sussiste.
Rettifica la sentenza impugnata limitatamente al capo a) nel senso che la previsione della pena di mesi quattro e mesi sei di arresto» per il capo a) dell’imputazione è sostituita con la pena di mesi quattro, giorni quindici di arresto ed euro 600,00 di ammenda.
Così deciso il 1° dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente