Fini di spaccio: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile
L’accertamento dei fini di spaccio nella detenzione di sostanze stupefacenti rappresenta uno dei nodi cruciali di molti processi penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire un aspetto fondamentale del processo: i limiti del ricorso davanti alla Suprema Corte. Quando una condanna si basa su elementi indiziari, fino a che punto l’imputato può contestare la valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito? La decisione in esame chiarisce che il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio, ma deve limitarsi a censure di legittimità.
I Fatti del Caso: Detenzione e Occultamento di Stupefacenti
Il caso trae origine da un controllo di polizia durante il quale un uomo veniva sorpreso mentre occultava, dietro una recinzione, alcuni involucri che aveva estratto dalle tasche dei pantaloni. All’interno degli involucri veniva rinvenuta cocaina, dalla quale era possibile ricavare ben 29 dosi. Sulla base di questi elementi, l’uomo veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti a fini di spaccio.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: un presunto vizio di motivazione e la violazione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”. In sostanza, la difesa sosteneva che le conclusioni dei giudici non fossero adeguatamente supportate dalle prove.
Il Ricorso e la Prova dei Fini di Spaccio
La difesa dell’imputato ha tentato di smontare l’impianto accusatorio evidenziando l’esito negativo della perquisizione personale e la mancata indagine sui telefoni cellulari, elementi che, a suo dire, avrebbero potuto escludere l’attività di spaccio. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, qualificando il ricorso come inammissibile.
Gli Elementi Sintomatici della Cessione a Terzi
I giudici di legittimità hanno confermato la validità del ragionamento della Corte d’Appello. La finalità dello spaccio non necessita sempre di una prova diretta, come la flagranza di una cessione. Essa può essere desunta da elementi “sintomatici”, ovvero indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso specifico, due elementi sono stati ritenuti decisivi:
1. Il frazionamento della sostanza: La suddivisione della cocaina in 29 dosi è stata considerata un chiaro indicatore di una destinazione non personale, ma rivolta alla vendita al dettaglio.
2. L’azione di occultamento: Il gesto di nascondere la droga dietro una recinzione è stato interpretato come una modalità tipica di chi svolge attività di spaccio per evitare di essere trovato in possesso di quantitativi ingenti durante un controllo.
La Valutazione dei Fatti è Riservata al Giudice di Merito
La Corte ha sottolineato che il ricorso per Cassazione non è la sede per proporre una rilettura alternativa delle prove o una diversa ricostruzione dei fatti. Il compito della Suprema Corte non è decidere se l’imputato sia colpevole o innocente, ma verificare se la sentenza impugnata sia immune da errori giuridici e da vizi logici palesi e macroscopici. Proporre una diversa interpretazione degli indizi, come ha fatto la difesa, si traduce in un mero dissenso rispetto alla valutazione del giudice, il che non è consentito in sede di legittimità.
Le Motivazioni
La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nella netta distinzione tra il giudizio di merito e il giudizio di legittimità. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’analisi e l’apprezzamento delle prove (siano esse testimonianze, perizie o indizi) sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. Il controllo della Cassazione è “estrinseco”, volto a verificare la congruità e la logicità della motivazione, non a sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente. Il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato perché la sentenza impugnata aveva fornito una spiegazione logica e coerente delle ragioni per cui riteneva provati i fini di spaccio, valorizzando il frazionamento e l’occultamento e spiegando perché l’esito negativo della perquisizione non fosse rilevante. Le censure dell’imputato si risolvevano, quindi, in un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo esame del merito della vicenda.
Le Conclusioni
Questa pronuncia conferma un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio. Per chi affronta un’accusa di detenzione a fini di spaccio, ciò significa che la battaglia probatoria va combattuta e vinta nelle aule del tribunale e della Corte d’Appello. In Cassazione, è possibile far valere solo vizi di legalità o motivazioni palesemente illogiche o contraddittorie. Una volta che il giudice di merito ha costruito un percorso argomentativo coerente e plausibile basato sulle prove disponibili, come in questo caso, la condanna diventa difficilmente attaccabile davanti alla Suprema Corte.
Quali elementi possono provare i ‘fini di spaccio’ anche senza cogliere una persona nell’atto di vendere la droga?
Secondo questa ordinanza, elementi indiziari come il frazionamento della sostanza in numerose dosi e le modalità di occultamento della stessa (ad esempio, nasconderla in un luogo pubblico) sono sufficienti a dimostrare l’intenzione di cederla a terzi.
È possibile contestare in Cassazione il modo in cui un giudice ha valutato le prove?
No, il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per chiedere una nuova e diversa valutazione delle prove. È ammesso solo per denunciare errori di diritto o vizi logici evidenti e macroscopici nella motivazione della sentenza, non per proporre una propria ricostruzione dei fatti alternativa a quella del giudice.
Perché l’esito negativo di una perquisizione personale non è stato considerato decisivo per escludere lo spaccio?
Perché l’imputato era già stato colto in flagrante mentre compiva l’azione principale del reato, ovvero l’occultamento della sostanza stupefacente già suddivisa in dosi. La Corte ha ritenuto che questo fatto, unito al frazionamento, fosse una prova così forte da rendere irrilevante la circostanza che l’imputato non avesse addosso altro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18775 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18775 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2022 della CORTE APPELLO di GENOVA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Rilevato che, con un unico motivo di ricorso, COGNOME il vizio di motivazione sub specie di violazione della regola codicistica dell’onere della prova e il mancato rispetto del canone di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, con riferimento i 1) ér~ i GLYPH Clt” all’affermazione di responsabilità per il reato di detenzione illecitn -fini di spaccio;
Ritenuto che tale unico motivo è da qualificarsi come inammissibile: a) sia perché volto a prefigurare una rivalutazione e comunque un’alternativa rilettura RAGIONE_SOCIALE fonti probatorie, per definizione estranea al sindacato di questa Corte ed avulso da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito; b) perché manifestamente infondato in quanto inerente ad asseriti vizi motivazionali non emergenti dal provvedimento impugnato (segnatamente, per come emerge dalla chiara motivazione della sentenza impugnata, per essere stato colto l’imputato dalla PG mentre occultava dietro una recinzione alcuni involucri, estratti dalla tasche dei pantaloni, al cui interno s accertava la presenza di stupefacente del tipo cocaina, da cui erano ricavabili 29 dosi; la sentenza ha fornito anche una spiegazione, non manifestamente illogica, RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui non assumeva rilievo la circostanza dell’esito negativo della perquisizione e sulla mancanza di indagini sui telefoni in uso al ricorrente, desumendo la finalità di spaccio dall’elemento sintomatico del frazionamento dello stupefacente e dall’azione occultatrice);
Ritenuto, pertanto, che le censure prospettano una critica risolventesi nel mero dissenso del ricorrente rispetto all’approdo valutativo operato dalla Corte d’appello, non consentito in questa sede, con conseguente giudizio di manifesta infondatezza; che, in particolare, deve, a tal proposito, essere ribadito che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame RAGIONE_SOCIALE prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità del motivazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Il controllo di legittimità sulla motivazione è, infatti diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un
concreto apprezzamento del materiale probatorio e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l’interpretazione e la consistenza degli indizi e RAGIONE_SOCIALE prove sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato: ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti ne’ su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente (Sez. 6, n. 1762 del 15/05/1998 – dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923);
Ritenuto, conclusivamente, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso il 10 marzo 2024
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Il Presidente