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Fini di spaccio: quando il ricorso è inammissibile

Un soggetto, condannato per detenzione di cocaina ai fini di spaccio dopo essere stato sorpreso a nascondere 29 dosi, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un vizio di motivazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che il suo ruolo non è quello di rivalutare le prove, ma di controllare la correttezza giuridica e la logicità della sentenza. La finalità dello spaccio è stata correttamente desunta da elementi come il frazionamento della sostanza e l’azione di occultamento.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fini di spaccio: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile

L’accertamento dei fini di spaccio nella detenzione di sostanze stupefacenti rappresenta uno dei nodi cruciali di molti processi penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire un aspetto fondamentale del processo: i limiti del ricorso davanti alla Suprema Corte. Quando una condanna si basa su elementi indiziari, fino a che punto l’imputato può contestare la valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito? La decisione in esame chiarisce che il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio, ma deve limitarsi a censure di legittimità.

I Fatti del Caso: Detenzione e Occultamento di Stupefacenti

Il caso trae origine da un controllo di polizia durante il quale un uomo veniva sorpreso mentre occultava, dietro una recinzione, alcuni involucri che aveva estratto dalle tasche dei pantaloni. All’interno degli involucri veniva rinvenuta cocaina, dalla quale era possibile ricavare ben 29 dosi. Sulla base di questi elementi, l’uomo veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti a fini di spaccio.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: un presunto vizio di motivazione e la violazione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”. In sostanza, la difesa sosteneva che le conclusioni dei giudici non fossero adeguatamente supportate dalle prove.

Il Ricorso e la Prova dei Fini di Spaccio

La difesa dell’imputato ha tentato di smontare l’impianto accusatorio evidenziando l’esito negativo della perquisizione personale e la mancata indagine sui telefoni cellulari, elementi che, a suo dire, avrebbero potuto escludere l’attività di spaccio. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, qualificando il ricorso come inammissibile.

Gli Elementi Sintomatici della Cessione a Terzi

I giudici di legittimità hanno confermato la validità del ragionamento della Corte d’Appello. La finalità dello spaccio non necessita sempre di una prova diretta, come la flagranza di una cessione. Essa può essere desunta da elementi “sintomatici”, ovvero indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso specifico, due elementi sono stati ritenuti decisivi:

1. Il frazionamento della sostanza: La suddivisione della cocaina in 29 dosi è stata considerata un chiaro indicatore di una destinazione non personale, ma rivolta alla vendita al dettaglio.
2. L’azione di occultamento: Il gesto di nascondere la droga dietro una recinzione è stato interpretato come una modalità tipica di chi svolge attività di spaccio per evitare di essere trovato in possesso di quantitativi ingenti durante un controllo.

La Valutazione dei Fatti è Riservata al Giudice di Merito

La Corte ha sottolineato che il ricorso per Cassazione non è la sede per proporre una rilettura alternativa delle prove o una diversa ricostruzione dei fatti. Il compito della Suprema Corte non è decidere se l’imputato sia colpevole o innocente, ma verificare se la sentenza impugnata sia immune da errori giuridici e da vizi logici palesi e macroscopici. Proporre una diversa interpretazione degli indizi, come ha fatto la difesa, si traduce in un mero dissenso rispetto alla valutazione del giudice, il che non è consentito in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nella netta distinzione tra il giudizio di merito e il giudizio di legittimità. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’analisi e l’apprezzamento delle prove (siano esse testimonianze, perizie o indizi) sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. Il controllo della Cassazione è “estrinseco”, volto a verificare la congruità e la logicità della motivazione, non a sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente. Il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato perché la sentenza impugnata aveva fornito una spiegazione logica e coerente delle ragioni per cui riteneva provati i fini di spaccio, valorizzando il frazionamento e l’occultamento e spiegando perché l’esito negativo della perquisizione non fosse rilevante. Le censure dell’imputato si risolvevano, quindi, in un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo esame del merito della vicenda.

Le Conclusioni

Questa pronuncia conferma un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio. Per chi affronta un’accusa di detenzione a fini di spaccio, ciò significa che la battaglia probatoria va combattuta e vinta nelle aule del tribunale e della Corte d’Appello. In Cassazione, è possibile far valere solo vizi di legalità o motivazioni palesemente illogiche o contraddittorie. Una volta che il giudice di merito ha costruito un percorso argomentativo coerente e plausibile basato sulle prove disponibili, come in questo caso, la condanna diventa difficilmente attaccabile davanti alla Suprema Corte.

Quali elementi possono provare i ‘fini di spaccio’ anche senza cogliere una persona nell’atto di vendere la droga?
Secondo questa ordinanza, elementi indiziari come il frazionamento della sostanza in numerose dosi e le modalità di occultamento della stessa (ad esempio, nasconderla in un luogo pubblico) sono sufficienti a dimostrare l’intenzione di cederla a terzi.

È possibile contestare in Cassazione il modo in cui un giudice ha valutato le prove?
No, il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per chiedere una nuova e diversa valutazione delle prove. È ammesso solo per denunciare errori di diritto o vizi logici evidenti e macroscopici nella motivazione della sentenza, non per proporre una propria ricostruzione dei fatti alternativa a quella del giudice.

Perché l’esito negativo di una perquisizione personale non è stato considerato decisivo per escludere lo spaccio?
Perché l’imputato era già stato colto in flagrante mentre compiva l’azione principale del reato, ovvero l’occultamento della sostanza stupefacente già suddivisa in dosi. La Corte ha ritenuto che questo fatto, unito al frazionamento, fosse una prova così forte da rendere irrilevante la circostanza che l’imputato non avesse addosso altro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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