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Fine di profitto rapina: anche morale e non economico

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 9494/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per rapina. L’imputato sosteneva che il fine di profitto dovesse essere esclusivamente patrimoniale. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato, affermando che nel reato di rapina il fine di profitto può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non economica o meramente morale, che l’agente si prefigge di ottenere.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Fine di Profitto nella Rapina: Basta un Vantaggio Morale

L’ordinanza n. 9494 del 2024 della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su un elemento fondamentale del reato di rapina: il fine di profitto rapina. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato, ovvero che il profitto perseguito dall’autore del reato non deve necessariamente avere una natura economica o patrimoniale. Anche un’utilità puramente morale o una qualsiasi soddisfazione personale può integrare questo requisito. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti implicazioni di questa pronuncia.

Il Caso in Esame

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano per il reato di rapina. L’unico motivo di doglianza sollevato dalla difesa riguardava l’interpretazione del concetto di “profitto”. Secondo la tesi difensiva, non si poteva parlare di rapina perché mancava un fine di profitto con connotazione patrimoniale, sostenendo che l’azione non era stata mossa da un interesse economico.

La Questione Giuridica sul fine di profitto rapina

Il cuore della questione sottoposta alla Corte di Cassazione era quindi la corretta interpretazione del dolo specifico del reato di rapina, ossia il “fine di profitto”. L’imputato cercava di limitare l’ambito di applicazione della norma, sostenendo che solo un vantaggio economico tangibile potesse configurare tale elemento. Questa interpretazione, se accolta, avrebbe escluso dalla fattispecie di rapina tutte quelle condotte violente o minacciose finalizzate a sottrarre un bene per scopi diversi dall’arricchimento, come la vendetta, la ritorsione o il conseguimento di una soddisfazione puramente personale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno spiegato in modo inequivocabile che la tesi del ricorrente si poneva in netto contrasto con la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito che il fine di profitto rapina può concretarsi in qualsiasi utilità, anche non economica o meramente morale, e in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di trarre dalla propria azione. Non è necessario che il vantaggio sia immediato o che abbia un valore di mercato. L’elemento cruciale è che la condotta criminosa, caratterizzata da violenza o minaccia, sia finalizzata a impossessarsi della cosa mobile altrui per ottenere un tornaconto personale, di qualunque natura esso sia. A supporto della propria decisione, la Corte ha citato precedenti specifici che confermano questa linea interpretativa (Cass. n. 37861/2023 e n. 23177/2019), dimostrando la coerenza e la stabilità dell’orientamento.

Le Conclusioni

La pronuncia conferma un’interpretazione estensiva del concetto di profitto nel reato di rapina, garantendo una tutela più ampia alla vittima. Ciò significa che la legge punisce non solo chi agisce per un guadagno economico, ma anche chi, attraverso la violenza o la minaccia, sottrae un bene per soddisfare un capriccio, un desiderio di vendetta, un piacere sadico o qualsiasi altra utilità di natura non patrimoniale. Questa decisione consolida la protezione della libertà personale e della sicurezza individuale, riconoscendo che il danno subito dalla vittima di una rapina va oltre la mera perdita economica, coinvolgendo la sfera psicologica e fisica della persona.

Che cosa si intende per ‘fine di profitto’ nel reato di rapina secondo la Cassazione?
Secondo la Corte, il ‘fine di profitto’ non è limitato a un vantaggio economico, ma include qualsiasi tipo di utilità, soddisfazione o godimento, anche di natura puramente morale o non patrimoniale, che l’autore del reato intende ottenere dalla sua azione.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la tesi difensiva, secondo cui il profitto dovesse avere necessariamente una connotazione patrimoniale, è stata considerata ‘manifestamente infondata’ e in diretto contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente a seguito della decisione?
Oltre a vedere il suo ricorso respinto, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa emersa nella proposizione di un ricorso palesemente infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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