Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31169 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31169 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/05/2023 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’incompetenza per territorio del Tribunale di Milano in favore di quello di Bergamo o, in subordine, di rigettare il ricorso, come da memoria scritta depositata; uditi i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il delitto di finanziamento illegale di partiti politici, previsto e punito dall’art. 7, commi 2 e 3, legge n. 195 del 1974.
La vicenda riguarda un finanziamento di quarantamila euro, erogato da “RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE, società di primario livello nazionale nel settore della grande distribuzione, all’associazione “Più RAGIONE_SOCIALE“, presieduta da COGNOME, all’epoca altresì presidente del consiglio di amministrazione dell’emittente radiofonica “RAGIONE_SOCIALE” e responsabile amministrativo del partito politico “RAGIONE_SOCIALE“.
È incontroverso che, dopo aver ricevuto il relativo bonifico bancario, tale associazione abbia operato essenzialmente due sole disposizioni bancarie: una, dell’importo di diecimila euro, in favore di “RAGIONE_SOCIALE“; l’altra, di trentamila euro, a beneficio di “RAGIONE_SOCIALE, società di servizi, concessionaria della pubblicità su quell’emittente radiofonica ed interamente partecipata da “RAGIONE_SOCIALE, le cui quote appartengono per il 99,9% al partito “RAGIONE_SOCIALE” e per lo 0,1% al fondatore di quest’ultimo, il sen. NOME COGNOME; presidente del consiglio di amministrazione della stessa, anche in questo caso, è – o almeno lo era all’epoca – COGNOME.
È altresì indiscusso che l’iniziativa di procedere a tale erogazione sia stata del socio di riferimento di “RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME; che la prestazione sia stata preceduta da contatti diretti tra COGNOME ed il direttore affari generali della società, NOME COGNOME; che essa sia stata poi deliberata dall’amministratore delegato della stessa, NOME COGNOME; e che la stessa sia stata regolarmente appostata nel relativo bilancio societario, alla voce delle erogazioni liberali.
Secondo i giudici del merito, l’erogazione avrebbe avuto quale esclusivo destinatario finale la “RAGIONE_SOCIALE“, costituendo nient’altro che altrettanti schermi tutti i vari soggetti intermedi citati, e sarebbe stata perciò effettuata in violazion del dovere di trasparenza, e non di mera pubblicità, che deve intendersi sotteso alla suddetta disposizione incriminatrice.
Avverso tale decisione ricorre l’imputato, con atto dei propri difensori, rassegnando sei doglianze.
2.1. La prima consiste nella violazione della legge processuale regolatrice della competenza territoriale.
La Corte d’appello l’ha individuata nel Tribunale di Milano, perché ha ritenuto che il reato si sia consumato con l’approvazione del bilancio della società, avvenuta nella sede della stessa, situata in tale città, non potendosi attribuire rilevanza decisiva alla dazione della somma (accreditata presso un istituto bancario di Seriate, nel circondario del Tribunale di Bergamo); inoltre, hanno rilevato quei giudici, anche l’accordo tra COGNOME e COGNOME è avvenuto a Milano, nella sede del partito “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
Obietta il ricorso come la Corte distrettuale non abbia risolto la questione se la legge n. 195 del 1974 tipizzi un reato plurisoggettivo a concorso necessario o,
piuttosto, due reati distinti ed autonomi, l’uno del percipiente, l’altro dell’erogatore del finanziamento, ed altresì come abbia alla fine offerto una duplice soluzione alternativa, che, se effettivamente tale, lascerebbe ampi spazi di discrezionalità per l’interprete, con conseguente frustrazione della aspettative di prevedibilità da parte del soggetto agente. Ritiene, invece, la difesa – ribadendolo anche con un motivo aggiunto, successivamente depositato in cancelleria – che l’elemento qualificante della fattispecie, perché comune a tutte le condotte ed alle ricostruzioni teoriche di essa, vada individuato nella ricezione delle somme, non, invece, nell’accordo, ma nemmeno nella redazione ed approvazione del bilancio, che, in ipotesi, potrebbe anche mancare del tutto.
Insiste, pertanto, affinché la Corte dichiari l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in favore di quello di Bergamo, annullando la sentenza impugnata ed adottando le statuizioni consequenziali.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 521, cod. proc. pen., perché il fatto ritenuto in sentenza sarebbe diverso da quello contestato.
Secondo l’imputazione, recepita nella sentenza di primo grado, l’accordo era intervenuto tra COGNOME e COGNOME, l’associazione “RAGIONE_SOCIALE” costituiva un’articolazione politico-organizzativa della “RAGIONE_SOCIALE” ed il contributo non era stato iscritto nel bilancio di “RAGIONE_SOCIALE” come finanziamento a partiti.
Per la sentenza d’appello, invece, l’accordo è avvenuto tra COGNOME e COGNOME (il quale, peraltro, in tal caso non avrebbe potuto essere escusso come testimone, come invece è avvenuto); la qualificazione o meno di “Più RAGIONE_SOCIALE” come articolazione di partito è irrilevante, non essendo essa la reale destinataria delle somme erogate; il reato sarebbe integrato per il solo fatto della ricezione di parte di queste ultime da “M.C.”, soggetto tuttavia neppure citato nel capo d’imputazione, non essendo necessario verificare se quest’ultima le avesse o meno effettivamente riversate al partito; il reato si sarebbe perfezionato già con la delibera dell’amministratore delegato COGNOME, fatto anche questo non previsto nel capo d’imputazione e che avrebbe impedito l’escussione anche di COGNOME come semplice testimone.
2.3. Il terzo motivo consiste nella violazione della fattispecie incriminatrice, trattandosi di finanziamenti non corrisposti ad articolazioni politico-organizzative di un partito politico, così potendo definirsi solo quegli enti che presentino un raccordo istituzionale con esso (si citano, in proposito, precedenti questa Corte).
Tale, invece, non sarebbe l’associazione “RAGIONE_SOCIALE“, ma nemmeno la società “RAGIONE_SOCIALE“, poiché le società partecipate dai partiti politici non rientrano nel novero dei soggetti indicati, con elencazione tassativa, tra i destinatari di eventuali finanziamenti illegali dal citato art. 7 e dal successivo art. 4, legge n. 659 del 1981: di tali società, infatti, non si occupa il d.l. n. 149 del 2013, in tema di abolizion
del finanziamento pubblico diretto dei partiti, mentre l’art. 8, legge n. 2 del 1997, che regola la contribuzione volontaria agli stessi, prevede soltanto che ai rendiconti di questi ultimi siano allegati i bilanci delle imprese partecipate.
2.4. Con il quarto motivo si deducono violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza, là dove ha ritenuto che l’iscrizione a bilancio dell’erogazione, pur corretta dal punto di vista contabile, non consentiva di farne emergere la reale destinazione alla “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto ciò non risultava dalla deliberazione dell’amministratore delegato COGNOME, né vi era allegata adeguata documentazione di supporto.
Obietta il ricorso: che, anzitutto, siffatta censura finisce per attingere la deliberazione dell’amministratore, diversamente da quella che è la contestazione; che, secondo le regole di redazione dei bilanci stabilite dagli organismi di settore in applicazione della disciplina civilistica, nella scheda di bilancio non sono previste l’indicazione della denominazione dei beneficiari di liberalità né l’allegazione di documentazione contabile; che nessuna società ha inserito in detta scheda il nome dei partiti destinatari di liberalità; che l’accordo tra COGNOME e COGNOME non prevedeva a chi “RAGIONE_SOCIALE” potesse o dovesse destinare le somme ricevute, né ciò poteva essere consentito, sicché non sarebbe stato possibile per l’amministratore delegato COGNOME indicare nella sua delibera tale altrui destinazione ulteriore; che quell’associazione ha quindi legittimamente disposto di dette somme, senza che ne sia derivato alcun arricchimento per la “RAGIONE_SOCIALE“.
Rileva, in proposito, la difesa ricorrente che, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, la ratio sottesa alla fattispecie incriminatrice non è quella della pubblicità del finanziamento dei partiti, che non può essere soddisfatta né da una corretta deliberazione degli organi di amministrazione dei soggetti economici, né dalla regolare appostazione di bilancio; la ragione della sanzione va individuata, piuttosto, nell’esigenza di evitare che i partiti ricevano finanziamenti occulti, perché effettuati con fondi non iscritti a bilancio o dissimulati da fittizie prestazion corrispettive, e di assicurare, in tal modo, la correttezza della vita democratica ed economica.
2.5. Vizi di motivazione, fino al punto del travisamento della prova, vengono dedotti – con il quinto motivo – in ordine alla ritenuta dimostrazione dell’esistenza di un accordo per finanziare il partito “RAGIONE_SOCIALE“.
In sintesi, le obiezioni difensive sul punto possono così declinarsi: a) la fattispecie incriminatrice presuppone che il contributo, oltre a non essere correttamente deliberato ed iscritto a bilancio, pervenga al partito, mentre la sentenza ha ritenuto superfluo accertare se ciò sia effettivamente avvenuto nello specifico; b) pur trattandosi – secondo i giudici d’appello – di un reato a concorso necessario, vi è incertezza assoluta su chi, per conto di “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe
concorso con COGNOME: il capo d’imputazione, infatti, indica COGNOME (tuttavia deceduto circa tre mesi dopo l’erogazione del contributo e prima dell’approvazione del bilancio), la sentenza invece sostiene che a trattare sarebbe stato il dirigente COGNOME, ma poi afferma che il reato si sarebbe consumato già con la deliberazione dell’amministratore delegato COGNOME, purtuttavia escludendo che questi abbia mai avuto contatti con il ricorrente; né è dato sapere chi avrebbe provveduto alla redazione ed approvazione del bilancio, che costituirebbe, sempre secondo quei giudici, il momento consumativo del reato.
Il riferimento alla “RAGIONE_SOCIALE” – prosegue il ricorso – compare una sola volta nelle dichiarazioni di COGNOME, allorché questi riferisce del proposito, manifestatogli da COGNOME, di voler «aiutare in qualche modo» quel partito. Null’altro, dunque, se non che una semplice intenzione di costui: perché in nessun documento della società si parla di destinatari diversi da “RAGIONE_SOCIALE” o “RAGIONE_SOCIALE“; perché è stato lo stesso COGNOME, poi, a dare l’assenso al versamento in favore di “RAGIONE_SOCIALE“; perché, secondo quanto riferito da tutti i dirigenti di “RAGIONE_SOCIALE” escussi in dibattimento, giammai COGNOME ha indicato il partito quale possibile beneficiario di quelle somme; perché, infine, collide logicamente con la ritenuta destinazione di esse ad “ingraziarsi” quel partito politico la circostanza per cui l’ammontare di 150.000 euro, originariamente indicato da COGNOME, fosse stato poi ridotto a 40.000 su indicazione di COGNOME, giustificata da «ragioni commerciali», ovvero – secondo le dichiarazioni di quest’ultimo – dalla necessità di mantenere una proporzione con gli investimenti pubblicitari del gruppo su “RAGIONE_SOCIALE“.
In proposito, l’osservazione della Corte d’appello, per cui quest’ultima sarebbe stata un’acuta macchinazione a scopo dissimulatorio, si presenta manifestamente illogica; mentre addirittura paradossale è la considerazione – operata da quei giudici – per cui la negazione, da parte dell’imputato, della destinazione di quell’elargizione alla “RAGIONE_SOCIALE” costituisca prova della natura occulta di essa, anziché una legittima esplicazione del proprio diritto di difesa.
2.6. L’ultimo motivo consiste nella mancanza di motivazione in punto di dolo.
Il percettore del finanziamento, perché sia consapevole della natura illegale dello stesso, dev’essere a conoscenza dell’assenza di una deliberazione del competente organo sociale o della mancata appostazione in bilancio. Nello specifico, invece, COGNOME sapeva che il contributo era stato istruito e deliberato dai competenti organi di “RAGIONE_SOCIALE“, ha rilasciato a quest’ultima la relativa ricevuta, ha verificato la provenienza del bonifico bancario da quest’ultima e l’accredito sul conto corrente di “Più RAGIONE_SOCIALE“, mentre la sentenza non spiega perché egli dovesse sapere di come sarebbe stato esposto in bilancio un contributo regolarmente documentato.
Ha depositato memoria scritta il AVV_NOTAIO generale, chiedendo di dichiarare l’incompetenza per territorio del Tribunale di Milano in favore di quello di Bergamo o, in subordine, di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che sia fondato il primo motivo di ricorso, in tema di competenza per territorio, da ciò conseguendo l’assorbimento dei restanti, in quanto attinenti ai contenuti della decisione.
L’art. 7, legge 2 maggio 1974, n. 195, al comma 2, vieta «i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, in favore di partiti o articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge».
Quindi, al successivo comma 3, stabilisce che «chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero senza che sia intervenuta la deliberazione dell’organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, è punito, per ciò solo, con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge».
Tali disposizioni debbono essere lette unitamente a quelle dell’art. 12, commi 7, 8 e 12, dl. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13 (“Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”), che stabiliscono precisi limiti quantitativi specifici vincoli formali per le erogazioni liberali dei privati in favore dei part politici, al dichiarato scopo di «garantire la tracciabilità dell’operazione e l’esatta identificazione soggettiva e reddituale del suo autore e a consentire all’amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli», prevedendo, in caso di violazione, delle specifiche sanzioni amministrative, «fermo restando quanto previsto dall’art. 7 della legge 2 maggio 1974 n. 195».
Da tali ultime disposizioni si ricava, dunque, che l’obiettivo del legislatore non è semplicemente quello della tracciabilità dei finanziamenti ai partiti politici, ma piuttosto quello della trasparenza degli stessi o – se si preferisce, per evitare equiRAGIONE_SOCIALE lessicali – della loro pubblicità, ovvero – forse ancor meglio – della loro ostensione, in modo da garantire la possibilità, per i cittadini, di verificare chi ed
in quale misura effettivamente abbia fornito un sostegno finanziario ad un dato partito.
Ne discende che le operazioni di finanziamento elusive di tale obbligo di trasparenza, tra le quali vanno indubbiamente annoverate le “triangolazioni” come quelle che si sarebbero verificate nel caso di specie, in cui l’erogazione al partito politico viene dissimulata dalla destinazione immediata di essa ad enti solo formalmente distinti da quello, debbono ritenersi finanziamenti «comunque vietati dalla legge», secondo la clausola di chiusura del citato art. 7, comma 1 (costituiscono espressione del medesimo principio, tra altre, Sez. 6, n. 28796 del 15/09/2020, Carrai, Rv. 279630; Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Fitto, Rv. 271281)
Tale ricostruzione della fattispecie ha ovviamente una ricaduta immediata sull’individuazione del tempo e del luogo di commissione del reato, nel senso che a tal fine, in casi come quello in scrutinio, risulta necessaria e sufficiente la corresponsione e la correlativa ricezione delle somme irregolarmente erogate.
Non può trovare applicazione, infatti, lo schema elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte per i reati di corruzione (in cui l’esecuzione delle prestazioni oggetto del patto corruttivo sposta il momento consumativo dall’uno alle altre), perché, a differenza di quanto accade per quelle fattispecie, il citato art. 7, comma 1, punisce esclusivamente le condotte di corresponsione-ricezione del finanziamento e non anche la relativa promessa: di qui, l’irrilevanza del semplice accordo ai fini della perfezione del reato.
Ma, per altro verso, qualora si tratti di finanziamento – per così dire soggettivamente simulato, perché erogato, cioè, ad un soggetto diverso dal partito politico, ma che di quest’ultimo è solo uno schermo, l’eventuale iscrizione di esso nel bilancio della società non gli farebbe perdere la connotazione d’illiceità: con l’effetto che, in casi come questo, l’adozione del bilancio finisce per risultare un post factum irrilevante ai fini del perfezionamento della fattispecie (diversamente, invece, da quanto accadrebbe, ad esempio, nell’ipotesi, rientrante nella medesima previsione incriminatrice ma del tutto differente da quella in esame, di un finanziamento direttamente e palesemente erogato in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, per il quale l’omessa iscrizione in bilancio è un elemento costitutivo del reato).
Dev’essere perciò enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di finanziamento illecito ai partiti politici, in caso di finanziamento o contributo effettuato in favore degli stessi, di loro articolazioni politico-organizzative o dei gruppi parlamentari, sebbene formalmente erogato a soggetto giuridico diverso da essi ma che ne rappresenta semplicemente uno schermo, il reato di cui all’art.
7, legge 2 maggio 1974, n. 195, si perfeziona nel momento e nel luogo in cui il finanziamento od il contributo corrisposto venga ricevuto da tale soggetto giuridico”.
È in quel momento, infatti, che il partito politico, il gruppo parlamentare o gli altri enti realmente destinatari dell’erogazione acquisiscono la disponibilità effettiva del finanziamento, in ragione del fatto che l’ente immediatamente percettore, seppur formalmente distinto da essi, è integralmente sottoposto al loro controllo, costituendone perciò un semplice paravento.
In applicazione di tale principio all’ipotesi di causa, il luogo del commesso reato, decisivo per stabilire l’autorità giudiziaria competente per territorio per lo svolgimento del processo, a mente dell’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., va dunque individuato in quello in cui è avvenuto l’accredito bancario delle somme corrisposte da “RAGIONE_SOCIALE” all’associazione “RAGIONE_SOCIALE“, potendo ritenersi esse, sin da quel momento, entrate di fatto nella disponibilità del partito politico “RAGIONE_SOCIALE“.
Poiché tale accredito, per dato di fatto incontroverso, è avvenuto presso un istituto di credito operante in Seriate, e quindi nel territorio della circoscrizione de Tribunale di Bergamo, è quest’ultimo il giudice competente.
La sentenza impugnata e, con essa, quella di primo grado, in quanto pronunciata da giudice incompetente, debbono essere perciò annullate senza rinvio, con trasmissione degli atti del procedimento al Pubblico ministero presso il Tribunale di Bergamo, per le sue determinazioni.
Va precisato che, alla data della presente decisione, il reato non è ancora estinto per prescrizione, pur con l’anticipo del relativo momento consumativo al 13 giugno 2016, data di esecuzione del bonifico bancario effettuato da “Esse lunga”.
Il termine di prescrizione, secondo la disciplina normativa allora vigente ed applicabile ratione temporis, è pari infatti, con le proroghe di legge, a sette anni e sei mesi da quella data; ad esso vanno però aggiunti i periodi durante i qu li il processo è rimasto sospeso ex lege o a causa di impedimenti dell’imputato o dei suoi difensori ovvero su loro richiesta, per complessivi 175 giorni (77 durante il primo grado: v. sent. Trib., pag. 1; e 98 in Cassazione, dal 7 febbraio scorso ad oggi).
Ne consegue che detto termine è destinato a spirare il 5 giugno 2024.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e la sentenza del Tribunale di Milano in data 14/03/2022, dichiarando l’incompetenza del Tribunale di Milano e la competenza del Tribunale di Bergamo e disponendo la trasmissione degli atti al AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo per l’ulteriore corso. Così deciso in Roma, il 15 maggio 2024.