Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44061 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44061 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari nel procedimento a carico di
COGNOME NOME nato in Germania il 12/08/1992
NOME COGNOME nato a Bari il 27/02/1989
COGNOME NOME nato a Andria il 18/11/1991
COGNOME NOMECOGNOME nato a Andria il 11/06/1979
avverso la sentenza del 22/11/2023 della Corte di assise di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; uditi i difensori, Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME che si riporta alla memoria depositata in Cancelleria e che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del Procuratore Generale; Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso ci Procuratore Generale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di assise di appello di Bari, in riforma della sentenza emessa il 20 ottobre 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari e della sentenza emessa il 28 ottobre 2022 dalla Corte di assise di Trani, che avevano condannato, la prima, all’esito di giudizio abbreviato, gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME e, la seconda, a seguito di giudizio ordinario, gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME per il delitto di cui agli artt. 81, 110 e 270-quinquies.1 cod. pen., assolveva tutti gli imputati con la formula “il fatto non sussiste”.
Agli imputati era stato contestato di aver, in concorso tra loro e con altre persone, erogato in più occasioni, denaro destinato a sostenere l’attività di organizzazioni combattenti antigovernative in Siria e a finanziare soggetti jihadisti appartenenti ed affiliati all’autoproclamatosi Stato Islamico.
In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria, gli imputati, attraverso il circuit money transfer operator, da un centro servizi di Andria avevano inviato tra il 19 dicembre 2016 e il 13 febbraio 2019 somme di danaro a svariati collettori esteri per metterle a disposizione dei combattenti e militanti jihadisti.
L’indagine aveva preso l’avvio da una segnalazione di Eurojust in relazione a finanziamenti emersi in Francia a favore di combattenti di associazioni antigovernative in Siria, destinati ad un soggetto situato in Libano, identificato i NOME COGNOME. Tra i versamenti risultanti a favore di tale nominativo erano stati indicati anche quelli effettuati dagli imputati COGNOME e COGNOME da un centro di money transfer sito in Andria.
Dalle indagini francesi era emerso che i versamenti fatti in Francia a favore di NOME COGNOME erano destinati a soggetti impegnati in Siria in associazioni di stampo terroristico.
Le indagini svolte in Italia avevano portato ad individuare ulteriori e numerose transazioni effettuate dagli imputati, privi peraltro di redditi, da medesimo centro con modalità analoghe e tempistiche ravvicinate in favore di numerosi soggetti stranieri residenti in zone caratterizzate da alto rischio di terrorismo.
Erano state quindi disposte intercettazioni che avevano consentito di acquisire ulteriori elementi di prova.
Mentre il giudizio abbreviato celebrato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva accertato la responsabilità degli imputati in ordine a tutti i versamenti indicati nel capo di imputazione, quello ordinario riguardante NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva limitato la loro responsabilità solo ad alcuni versamenti.
Avverso le suddette sentenze avevano proposto appello gli imputati e anche il Pubblico ministero con riferimento alla seconda sentenza.
All’udienza del 22 novembre 2022, la Corte di assise di appello di Bari aveva disposto la riunione dei due procedimenti.
1.2. La Corte di appello riteneva che non vi fosse la prova che i versamenti, effettuati dagli imputati in concorso tra loro presso il centro servizi di Andria di c al capo di imputazione, fossero diretti a collettori di finanziamenti di organizzazioni terroristiche islamiche operanti in Siria.
In primo luogo, la Corte di assise di appello rilevava che in ordine ai versamenti effettuati a NOME COGNOME a differenza dell’indagine francese, nessun accertamento era stato condotto in Italia per stabilire sia la effettiva destinazione delle somme a lui versate sia la identità del soggetto destinatario (i versamenti addebbiati agli imputati erano tra l’altro di due anni successivi rispetto a quelli oggetto delle indagini francesi).
Risultava in particolare che con quel nome vi erano nella stessa città libanese numerosi individui con attività compatibili con quelle di interesse di Terlizzi, non esercitabili in Italia (quali la vendita on line di congegni elettronici per autovetture utilizzabili per furti di autovetture).
Secondo il giudice di appello, in ogni caso non poteva escludersi che lo stesso NOME COGNOME fosse collettore di danaro anche per altri traffici illeciti, tenuto conto altresì che gli stessi inquirenti avevano assunto che gli imputati fossero avulsi da contesti ideologici del terrorismo islamico e che si erano prestati a fare da intermediari per soli motivi di lucro su indicazioni fornite da altro soggetto, non individuato.
A ciò andava aggiunto che i versamenti verso NOME COGNOME erano soltanto due, rispetto ai restanti riguardanti altri soggetti sparsi in molteplici Stati.
Anche in ordine a questi altri destinatari non era stata condotta alcun’indagine per stabilire se fossero collettori di finanziamenti in favore di attività terroristi (erano infatti soggetti estranei alle indagini francesi), la loro identità e professione, nonché i legami con ambienti quantomeno simpatizzanti del terrorismo islamico o con soggetti coinvolti in tali associazioni.
COGNOME inoltre aveva fornito una spiegazione alternativa dei versamenti in questione, che era stata ritenuta dai primi giudici non rilevante in quanto la prova offerta dalla difesa (mail per acquisti per dispositivi per auto o altro) era relati ad un periodo temporale diverso e smentiva la stessa tesi difensiva della prassi di cancellare le mail per acquisti di materiale illecito.
Secondo la Corte di assise di appello, i primi giudici non avevano tuttavia considerato che le operazioni riguardavano un fornitore di vecchia data del Terlizzi e che la difesa aveva chiesto di disporre sull’utenza mobile e sulla ril
accertamenti tecnici per stabilire la corrispondenza dei versamenti effettuati con operazioni commerciali indicate dall’imputato. Accertamenti che non sono stati effettuati sulla mail, nonostante la messa a disposizione del browser web da parte della difesa.
Risultava inoltre comprovato che COGNOME fosse dedito a furti d’auto (avvalendosi di congegni elettronici).
Altro dato valorizzato dai primi giudici, ma smentito dagli atti, era, secondo i Giudici dell’appello, la cifra tonda dei versamenti, ritenuta incompatibile con acquisti commerciali (risultavano anche somme diverse).
Parimenti, non dirimente era il ricorso da parte degli imputati a rimesse frazionate, in quanto era modalità ben compatibile con il commercio on line quando siano utilizzate somme superiori a 1.000 euro tramite agenzie di trasferimento di denaro (come dimostravano sia le mail prodotte dalla difesa sia le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, queste ultime prodotte dalla difesa in sede di appello per avvalorare il meccanismo di acquisto on line di congegni elettronici).
La Corte territoriale inoltre riteneva infondato l’altro dato utilizzato dai prim giudici, ovvero che gli imputati nelle captazioni avessero collegato le indagini nei loro confronti ai versamenti in esame: risultava in primo luogo che era stata la polizia giudiziaria nell’ascoltare a sommarie informazioni Terlizzi a fare domande sui versamenti tramite money transfer; inoltre andava considerata una conversazione registrata del 14 aprile 2021 tra Terlizzi e COGNOME in cui gli imputati attribuivano i controlli a “pacchi”, ovvero a circostanze non compatibili con l’ipotesi accusatoria. A tal riguardo la Corte dell’appello evidenziava come la difesa avesse individuato il corriere che aveva consegnato i pacchi al Terlizzi, ma il primo giudice, sollecitato ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., non aveva ritenuto necessario esaminarlo.
Parimenti, la Corte di assise di appello riteneva privo di rilevanza quanto riscontrato dal primo giudice con riferimento a COGNOME: le fotografie attenzionate sul suo profilo Facebook erano in realtà postate da soggetti aventi amicizia con il predetto (e neppure condivise da COGNOME) e nessuno dei soggetti ritratti era effettivamente appartenente al terrorismo islamico siriano. In ogni caso erano stati gli inquirenti stessi ad escludere interessi ideologici nelle condotte contestate, in quanto motivate soltanto da ritorno economico.
Quanto poi alla circostanza che le captazioni davano atto dell’esistenza di un ignoto soggetto che finanziava la spedizione del danaro, la Corte rilevava che le dazioni in quel contesto era collegate al pacco giacente e ad una autovettura di dubbia provenienza, così da non consentire di ritenere, in assenza di altri elementi, quel soggetto il finanziatore primario di un’organizzazione terroristica.
Neppure infine poteva ritenersi sproporzionata la reazione degli imputati all’esito delle perquisizioni, tenuto conto che l’attività di commercio indicata dalle difese (disturbatori di frequenze) era illecita in Italia.
Trattandosi di commercio al nero, era verosimile che gli imputati non avessero lasciato traccia dei pagamenti.
1.3. Sulla base di questi elementi la Corte dell’appello riteneva non corretto il diniego di attività istruttorie chieste dalla difesa per dimostrare una lettura alternativa per accertamenti sollecitati sin dalle indagini preliminari.
Secondo la Corte, risultava non provato non solo l’elemento oggettivo del reato (la effettiva destinazione dei versamenti), ma anche quello soggettivo, ovvero il dolo specifico in ordine alla destinazione delle somme in esame.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Travisamento della prova.
La sentenza impugnata è incorsa in più vizi del travisamento della prova: segnatamente, nell’escludere che NOME COGNOME sia lo stesso indicato dalle autorità francesi, quale ricettore dei versamenti destinati al finanziamento di terroristi islamici; nel ritenere equivoci gli elementi indiziari indicati nelle sentenze d condanna; nonché nel ritenere veritiera la tesi alternativa presentata dalla difesa.
2.1.1. La identificazione di NOME COGNOME
La Corte di assise di appello non ha considerato le evidenze che dimostravano l’esatta identificazione del NOME COGNOME destinatario dei versamenti di cui all’imputazione: era lo stesso soggetto delle indagini francesi.
In tal senso, vi era la nota della Procura francese che indicava il soggetto da loro identificato come quello destinatario anche delle operazioni italiane, la informativa della Guardia di Finanza che conteneva le generalità di NOME COGNOME desunte da notizie fornite dal centro di Andria, nonché la deposizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria, che confermava l’avvenuta identificazione.
In particolare, all’informativa di polizia giudiziaria era allegato il file de Western Union che conteneva i dati identificativi di NOME COGNOME per i due versamenti oggetto della imputazione.
A conferma che fosse lo stesso soggetto vi era anche la circostanza che costui riceveva le rimesse di danaro francesi ed italiane presso la medesima agenzia libanese.
Una volta dimostrato il travisamento, non è condivisibile l’ulteriore argomentazione della sentenza impugnata sulla possibilità che costui fosse collettore di danaro anche per altri commerci illeciti.
Agli atti, come risulta dalla tabella dell’informativa di polizia giudiziaria sul ricezioni riguardanti NOME COGNOME emerge soltanto che questi riceveva solo denaro con importi frazionati per finanziare il terrorismo islamico, mentre non vi sono altre causali.
2.1.2. La equivocità degli elementi indiziari.
Un elemento valorizzato in primo grado era stato l’allarme degli imputati in occasione delle perquisizioni eseguite nei loro confronti per delitti in materia di stupefacenti, ma dagli stessi da subito correlato ai versamenti eseguiti.
In primo luogo, la Corte di appello ha travisato che la informazione sui versamenti fosse stata indotta da domande degli inquirenti: tale informazione era stata data in occasione delle s.i.t. del 20 giugno 2019, mentre la intercettazione che dava atto della preoccupazione degli imputati era dell’Il giugno precedente.
Inoltre, la Corte di appello ha ritenuto che tale reazione potesse essere spiegata con i traffici illeciti degli imputati per acquisto di congegni da utilizza per furti di autovetture.
Peraltro, era stato proprio COGNOME nel suo esame, a dichiarare che non c’era nulla di male in quello che facevano (ritenendo quindi regolare l’acquisto di quei congegni).
Altro elemento travisato è relativo al profilo Facebook. La Corte di appello si è limitata a considerare la detenzione di fotografie, mentre era stato indicata in primo grado come elemento indiziario la pronta eliminazione da parte di COGNOME delle immagini con i combattenti e delle amicizie, a seguito delle perquisizioni. Né poteva dirsi dirimente che i soggetti ritratti fossero effettivi appartenenti terrorismo islamico.
Ancora risulta travisato il dato della esistenza dell’ignoto finanziatore. La Corte di appello, nell’esaminare la conversazione registrata del 14 aprile 2021, ha glissato sul passaggio in cui COGNOME, amico fidato di Terlizzi, gli chiedeva dove avesse preso il danaro da inviare, suscitando la reazione di questi, che bruscamente interrompeva la comunicazione.
2.1.3. La tesi difensiva.
La Corte dell’appello ha ritenuto rilevante la spiegazione alternativa offerta dalla difesa in ordine alle operazioni di versamento di danaro (ovvero che erano operazioni compatibili con acquisti on line di apparecchiature illecite per autovetture).
La Corte, tuttavia, non ha considerato che il dato offerto dalla difesa riguardava due sole operazioni commerciali, tra l’altro diverse da quelle oggetto di contestazione.
Da un lato l’analisi della Corte si è basata su una consulenza tecnica dichiarata inutilizzabile per violazione del contraddittorio e solo successivamente acquisita con il consenso del P.M.
Dall’altro le operazioni attenzionate si presentavano diverse.
Con riferimento alla operazione riguardante la ditta Simon RAGIONE_SOCIALE, l’importo era frazionato tra più destinatari (nei versamenti delle imputazioni era sempre unico il destinatario), erano presenti i destinatari (mai indicati in quelle operazion delle imputazioni); l’agenzia di spedizione non era quella comune a tutte le spedizioni delle imputazioni; il mittente era diverso (NOME COGNOME; non era indicata l’agenzia di riscossione in Libano; non è dato conoscere l’importo complessivo con o senza decimali; l’acquisto riguardava un’operazione del tutto lecita (acquisto di un device per la Toyota).
Inoltre, i dati forniti dalla difesa erano parziali (sia le ricevute che le mail e allegati). La durata delle trattative e le informazioni richieste per i pagamenti sono distoniche rispetto alla asserita e immotivata stabilità dei rapporti commerciali tra Terlizzi e la ditta in questione.
Quanto all’altra operazione di acquisto con mister COGNOME, si tratta di prova irrilevante, stante l’assoluta diversità. Andava considerata la datazione, successiva alle perquisizioni del giugno 2019. Già la Corte di assise aveva avanzato dubbi sulla genuinità delle mail prodotte. In ogni caso si trattava di documentazione incompleta.
La Corte di appello ha infine omesso di valutare un dato probatorio certo emergente dalla deposizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria COGNOME ovvero la assoluta mancanza di riscontri all’asserita attività di acquisto/vendita di accessori durante il periodo in contestazione. Un’attività anche in nero non è per questo “invisibile”. Lo stesso COGNOME, richiesto in sede di esame di indicare qualche persona a cui aveva venduto i pezzi acquistati on line non aveva saputo rispondere.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione complessiva del materiale probatorio.
La Corte di appello ha applicato un metodo di valutazione del materiale probatorio errato, in quanto volto alla confutazione atomistica di ogni singolo indizio, senza apprezzare la complessiva convergenza degli indizi al risultato probatorio.
Inoltre, la Corte ha omesso di confrontarsi con ulteriori dati indiziari presenti in atti:
la effettuazione dei versamenti dalla stessa agenzia, compiacente nel consentire la non tracciabilità degli stessi attraverso le modalità utilizzate dai senders;
le reticenze emerse nel corso dell’interrogatorio di COGNOME e dell’esame di COGNOME e COGNOME nonché le giustificazioni dagli stessi addotte e clamorosamente smentite dalle indagini delegate al riscontro. Nessun apprezzamento è stato espresso dalla Corte di appello con riferimento all’attendibilità soggettiva (tutti gl imputati subito dopo le perquisizioni avevano avvertito la necessità di incontrarsi di nascosto, evitando di parlare per telefono, chiedevano al COGNOME delucidazioni difensive, che pianificava strategie da seguire) e alla genuinità (COGNOME aveva consegnato a COGNOME prima dell’interrogatorio un papello; COGNOME si era assunto l’onere di procurare a tutti gli avvocati e sostenerne le spese, per assicurare una corale GLYPH difesa), GLYPH alla GLYPH spontaneità GLYPH (COGNOME GLYPH e GLYPH NOME COGNOME depositavano contemporaneamente in Procura manoscritti dal contenuto fotocopia e asseritannente non concordati), linearità (COGNOME aveva dichiarato nelle prime s.i.t. di non conoscere COGNOME, mentre aveva accusato COGNOME di avergli commissionato l’acquisto di chiavi da codificare, la completezza delle dichiarazioni degli imputati;
la coincidenza temporale tra il danaro inviato, sempre con le medesime modalità, in Daghestain e il drammatico attentato terroristico avvenuto pochi giorni dopo; nonché la conservazione delle relative ricevute da parte del Terlizzi per diversi mesi a fronte di molteplici operazioni analoghe.
Tali transazioni sono state trattate solo per l’appello del P.M. ma erano state oggetto di condanna da parte del Giudice per le indagini preliminari.
I versamenti effettuati in Russia tra il 29 gennaio e il 30 gennaio 2018 si presentano artatamente frammentati e relativi alla stessa cifra (euro 978), alcuni nella stessa giornata, effettuati con documenti di identità di soggetti ignari.
2.3. Carenza di motivazione.
Il Giudice dell’appello non si è confrontato con le motivazioni delle sentenze di condanna, valorizzando piuttosto i rilievi difensivi e travisando numerosi dati i nd izia ri.
2.4. Violazione di legge per la commistione probatoria di materiale relativo a regimi diversi.
La motivazione effettua una illegittima confusione del materiale probatorio sottoposto a regime diverso (rito ordinario e rito abbreviato).
In particolare, l’interrogatorio di COGNOME era utilizzabile solo nel ri abbreviato: il Giudice per le indagini preliminari trae da tale atto il “timor manifestato” per indagini di droga. Argomento non analizzato dalla Corte di appello
che ha abbracciato la tesi difensiva del timore per operazioni di acquisto di accessori auto on line.
Gli esami di COGNOME e COGNOME non potevano essere utilizzati nel rito abbreviato e la Corte non ha operato alcuna distinzione.
Solo nel processo ordinario è stata affrontata la mancata assunzione del corriere, come sino stati sentiti alcuni testi, sono state prodotte ulterior consulenze di parte, che è stato anche sentito, è stata prodotta documentazione non presente nel fascicolo del P.M. (come la vicenda giudiziaria che vedeva COGNOME coinvolto nel tentativo di furto di un’autovettura) o atti allegati all’appello d COGNOME (le ricerche su fonti aperte sul nominativo di NOME COGNOME).
I difensori di Terlizzi hanno presentato, in vista dell’udienza pubblica, una memoria con cui hanno evidenziato profili di inammissibilità o comunque di infondatezza del ricorso.
La difesa ha contestato che la Corte di appello sia incorsa nel travisamento della prova con riferimento alla identificazione di NOME COGNOME (tale identificazione non risulta da alcun atto processuale), all’allarme seguito alle perquisizioni (trattandosi piuttosto di censura nel merito), al profilo Facebook (il dato travisato non è di univoca lettura), all’esistenza dell’ignoto finanziatore (il “quello” del captazioni altro non era che COGNOME; non vi è traccia alcuna di questo personaggio nelle indagini; in ogni caso la censura trascura il dato distonico del pacco giacente in dogana).
Si osserva come li percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale in ordine alla valutazione della tesi alternativa sia perfettamente logico, persuasivo ed insuscettibile di censure, come anche sia giuridicamente corretta la valutazione della prova indiziaria e la motivazione sulla riforma.
Generica e comunque infondata è secondo la difesa l’ultima censura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo deduce una serie di travisamenti della prova in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado.
Secondo un principio di diritto consolidato, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso/ .
o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (tr tante, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
Quindi, da un lato, il travisamento della prova deve avere ad oggetto un errore definito e non opinabile (stante la irrilevanza di presunti errori commessi nella valutazione del “significato” probatorio di una determinata evidenza, cfr. ex multis, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018 Rv. 272406); dall’altro lato, l’errore deve essere potenzialmente decisivo ai fini della decisione.
Ebbene, tutti gli errori dedotti dall’Ufficio ricorrente non presentano queste essenziali caratteristiche.
2.1. Quanto alla mancata identificazione di NOME COGNOME, al di là della fondatezza dell’assunto del ricorrente (non risultando tra l’altro allegata al ricorso la nota che darebbe atto delle indagini effettuate presso il centro servizi di Andria), resta il dato assorbente che la Corte di assise di appello non ha ritenuto dirimente la ipotizzata identità tra i due soggetti, in quanto, tenuto conto anche della distanza temporale tra i versamenti francesi e quelli provenienti da Andria, NOME COGNOME poteva essere anche collettore di pagamenti di diversa matrice illecita.
Le diverse argomentazioni spese dal ricorrente su tale punto finiscono per coinvolgere le valutazioni sulla tenuta della ipotesi accusatoria ed esorbitare quindi il sindacato di legittimità in tema di travisamento della prova.
2.2. Anche in ordine alla “induzione” da parte degli agenti dell’allarme riscontrato negli imputati nelle captazioni il presunto errore dedotto dal ricorrente non ha portata disarticolante.
La Corte di assise di appello infatti ha comunque ritenuto l’allarme che le perquisizioni avevano creato negli imputati non rilevante per dimostrare la finalità dei versamenti effettuati dagli imputati, in quanto la medesima reazione era pur sempre compatibile anche con l’attività di commercio illecita riferita da Terlizzi.
2.3. Quanto al significato della reazione tenuta dagli imputati, non siamo in presenza di un errore non opinabile e definito, ma della valutazione della fondatezza della tesi difensiva sulla attività di commercio svolta da Terlizzi e quindi del significato delle evidenze facenti parte del compendio probatorio.
2.4. In ordine all’ignoto finanziatore, indicato nella registrazione del 14 aprile 2021, la deduzione del ricorrente non si confronta con il dato dirimente, rilevato dalla Corte di assise di appello dalla medesima conversazione – ovvero che i conversanti avevano fatto riferimento ad un “pacco” presente alla dogana – che risultava distonico rispetto alla tesi accusatoria.
2.5. Anche alla luce delle considerazioni che precedono, neppure appare dirimente l’errore omissivo della Corte di assise di appello in ordine alla cancellazione del profilo Facebook.
2.6. Fuoriesce dal perimetro del vizio del travisamento della prova anche la deduzione riguardante la valutazione della spiegazione alternativa offerta dalla difesa in ordine alle operazioni di versamento di danaro, ovvero che le stesse si presentavano compatibili con acquisti on line di apparecchiature illecite per autovetture.
2.7. In ordine a tale ultimo tema, va aggiunto che il ricorrente, oltre a dedurre il travisamento, contesta anche la motivazione della sentenza impugnata, quanto alla tenuta logica del ragionamento giustificativo esposto.
Peraltro, il ricorrente non si confronta con le argomentazioni della Corte di assise di appello, là dove ha riscontrato gravi carenze nell’accertamento della fondatezza della tesi difensiva.
II secondo motivo contesta, da un lato, il metodo di valutazione del materiale probatorio, in quanto volto alla confutazione atomistica di ogni singolo indizio, senza apprezzare la complessiva convergenza degli indizi al risultato probatorio; e, dall’altro lato, l’omessa considerazione di dati indiziari presenti negli atti.
Entrambe le censure sono infondate.
3.1. Quanto al metodo di analisi del compendio indiziario, va rammentato il consolidato principio di diritto, secondo cui, per la valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (tra tante, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605).
La Corte di appello ha correttamente applicato questa regola di diritto, verificando preliminarmente la “certezza” e l’intrinseca valenza dimostrativa di alcuni di essi di alcuni dati posti alla base del giudizio di condanna, per poi confrontare questi dati con la tesi difensiva, che aveva introdotto una ipotesi
antagonista, ritenuta plausibile ed idonea a neutralizzare la portata probatoria degli elementi indiziari.
E’ appena il caso di aggiungere al riguardo che il dubbio idoneo ad introdurre un’ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello «ragionevole», ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (tra tante, Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, Rv. 281647).
Secondo questo consolidato orientamento, in presenza di un dubbio «ragionevole» si impone un confronto con le emergenze processuali, nel senso che per convalidare sul piano logico l’affermazione di responsabilità è necessario che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana.
Ebbene, nel caso in esame, la tesi difensiva era risultata non solo plausibile, ma aveva trovato anche riscontri negli atti (le mail prodotte dalla difesa; il riferimento al “pacco” presente in dogana).
Come già rilevato, il ricorrente non si confronta piuttosto con le lacune, addebitate dalla Corte di appello al giudizio di primo grado, nel non aver dato seguito a taluni accertamenti pur sollecitati dalla difesa, a sostegno della tesi difensiva.
3.2. In ordine al secondo profilo, va osservato che il nucleo centrale del ragionamento che ha portato alla riforma del giudizio di condanna è che era provato che gli imputati avessero effettuato i versamenti contestati, evidentemente sotto la regia di Terlizzi, per operazioni illecite, la cui natura non poteva essere, in modo univoco, identificata con quella indicata nella imputazione.
La tesi accusatoria non aveva infatti superato il dubbio ragionevole introdotto dalla ipotesi antagonista sulla natura illecita di altro tipo dei versamenti (acquist di materiale in Italia vietato), come dimostrava anche il riferimento al “pacco” in dogana nelle registrazioni.
In tale prospettiva – e considerato il dato non risolutivo per la Corte di appello relativo a NOME COGNOME – tutte le anomalie dei versamenti, l’allarme suscitato dalle perquisizioni, la necessità degli imputati di incontrarsi di nascosto, evitando di parlare per telefono, la richiesta a COGNOME di delucidazioni difensive, l pianificazione da parte di questi di strategie da seguire, la difesa concertata e economicamente sostenuta da COGNOME, il riferimento all’ignoto finanziatore, la
effettuazione dei versamenti dalla stessa agenzia, venivano a perdere, anche in una lettura congiunta, la solidità e l’univoco significato del giudizio di primo grado.
Inoltre, il ricorrente, più che riferirsi alle motivazioni del giudizio di pri grado, cerca sostegno in atti sottoposti alla lettura del giudice di legittimità.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce che il Giudice dell’appello non si sarebbe confrontato con le motivazioni delle sentenze di condanna, valorizzando piuttosto i rilievi difensivi e travisando numerosi dati indiziari.
In caso di riforma della condanna di primo grado con una sentenza di assoluzione, è stato affermato che il giudice di appello deve confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272430, in motivazione).
Ciò premesso, il motivo non può essere accolto.
Il ricorrente infatti denuncia, più che la carente valutazione delle ragioni poste alla base delle statuizioni di condanna, la diversa valutazione di elementi indiziari che comunque sono stati tutti presi in considerazione dalla Corte di appello, con motivazione non apparente o manifestamente illogica.
Così per la figura di NOME COGNOMEsul ruolo di questa persona, come osservato in precedenza, la Corte di appello ha motivato); così per le modalità dei versamenti effettuati dagli imputati con modalità sovrapponibili con quelle dei versamenti francesi (erano ritenute infatti modalità compatibili con la tesi alternativa, che rendeva plausibile il ricorso a versamenti frazionati, tramite money transfer); così sulle cifre decimali dei versamenti (la Corte di appello ha osservato che non tutti versamenti prevedevano tale modalità); così l’utilizzazione della stessa agenzia libanese per alcuni versamenti (dato ritenuto di per sé non idoneo a neutralizzare la tesi alternativa); così la incapacità economica degli imputati (la Corte di appello ha affrontato tale aspetto, a pag. 16, là dove ha ritenuto COGNOME dotato di una sua capacità economica – evidentemente tratta da attività illecite – tanto da voler assumere le spese delle difese dei coimputati); così l’allarme suscitato tra i coimputati (tema anch’esso affrontato dalla Corte di appello, come già osservato); così il guadagno che COGNOME e gli altri avrebbero tratto dalle operazioni (tale aspetto era compatibile con la tesi alternativa); così la questione relativa al profilo Facebook (anch’esso ritenuto dalla Corte di appello non idoneo a depotenziare la—-, / tesi difensiva).
L’ultimo motivo contesta la commistione probatoria di materiale relativo a regimi diversi.
Il motivo sconta peraltro la genericità delle deduzioni.
Da un lato, va rilevato che anche nel giudizio abbreviato di primo grado erano state acquisite talune prove utilizzate nel giudizio ordinario a sostegno della tesi difensiva (in particolare, cfr. pagg. 11 e 14 della sentenza di primo grado del Giudice dell’udienza preliminare, che davano atto dell’acquisizione della relazione tecnica dell’ing. COGNOME nonché delle mail del coimputato COGNOME). Il ricorrente avrebbe pertanto dovuto specificare nel ricorso la insufficienza di tali prove a sorreggere il ragionamento giustificativo anche per gli imputati COGNOME e COGNOME.
Sotto altro verso, la sentenza impugnata ha inoltre riscontrato, oltre alla mancanza di prova dell’elemento oggettivo del reato, anche il difetto assoluto di prova di quello soggettivo, caratterizzato per la fattispecie criminosa in esame dal dolo specifico.
Questa argomentazione – che il ricorrente non considera – risulta pertinente in particolare per la posizione di COGNOME e COGNOME, risultando accertato in entrambe le sentenze di primo grado il ruolo subordinato (di tipo esecutivo) di costoro rispetto a quello di Terlizzi nell’esecuzione delle operazioni di versamento. Era emersa infatti nella sentenza del Giudice dell’udienza preliminare la incapacità economica dei due imputati di far fronte ai versamenti a loro riferibili (pag. 14) e le captazioni avevano dato atto di compensi versati a COGNOME, riferiti a tali operazioni, e della esecuzione da parte di quest’ultimo di ordini provenienti da COGNOME negli affari relativi ai pagamenti. E’ lo stesso Giudice dell’udienza preliminare, a pag. 16 della sentenza di primo grado, ad attribuire a COGNOME il ruolo di “reclutatore” di soggetti da coinvolgere nelle operazioni di trasferimento e, a pag. 18, ad evidenziare come COGNOME, al quale gli altri imputati avevano chiesto lumi sull’accaduto dopo le perquisizioni, si fosse assunto la responsabilità e l’onere di pagare l’avvocato per tutti.
La Corte di appello ha poi evidenziato come fosse stato proprio COGNOME (pag. 12 della sentenza impugnata) a chiedere a Terlizzi contezza dei pagamenti effettuati e della notizia del “pacco” fermo in dogana, dimostrando in ogni caso di essere all’oscuro della finalità dell’attività a cui si era prestato per conto del primo
5. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va rigettato.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 09/1Q/2024.