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Finalità di spaccio: quando la quantità è decisiva

Un soggetto condannato per detenzione di 102,15 grammi di marijuana ricorre in Cassazione, sostenendo che la finalità di spaccio fosse stata dedotta solo dalla quantità. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, confermando che il dato quantitativo, unito a elementi indiziari come il tentativo di disfarsi della sostanza e l’assenza di giustificazioni economiche, è sufficiente a provare l’intenzione di cedere a terzi la droga e a escludere la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Finalità di spaccio: Come si Prova l’Intenzione di Vendere Droga?

La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e per spaccio è una delle questioni più delicate nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20350/2024) torna ad affrontare il tema, chiarendo come la finalità di spaccio possa essere provata anche in assenza di prove dirette, come la cessione materiale della sostanza. Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per la detenzione di oltre 100 grammi di marijuana.

I Fatti del Caso: Detenzione di Marijuana e la Condanna in Appello

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte di Appello di Messina alla pena di otto mesi di reclusione e 1200 euro di multa. L’accusa era di aver detenuto, con l’intenzione di cederla a terzi, una quantità complessiva di 102,15 grammi di marijuana, suddivisa in due involucri. La Corte territoriale, pur riqualificando il fatto come ipotesi di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) e concedendo le attenuanti generiche, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputato.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa Basata sulla Mancanza di Prove Dirette

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Mancanza di prova sulla finalità di spaccio: La difesa sosteneva che la condanna si basasse unicamente sul dato quantitativo della sostanza, senza altri elementi concreti che provassero l’intenzione di vendere.
2. Errata valutazione dell’ipotesi lieve: Secondo il ricorrente, il giudice non avrebbe considerato che la droga non era suddivisa in dosi e che non era stato trovato materiale per il confezionamento, elementi che avrebbero dovuto far propendere per una condotta occasionale.
3. Mancato riconoscimento della non punibilità: Si lamentava l’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), negata dal giudice sulla base della presunta non occasionalità della condotta.

La Valutazione della Cassazione sulla finalità di spaccio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che le censure sollevate dall’imputato riguardassero valutazioni di merito, non sindacabili in sede di legittimità se la motivazione della sentenza impugnata è logica e completa, come nel caso di specie.

Oltre la Quantità: Gli Indizi Plurimi e Concordanti

La Corte ha sottolineato che la decisione della Corte d’Appello non si fondava solo sulla quantità di droga detenuta. La finalità di spaccio era stata logicamente desunta da un insieme di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti:
* Il dato ponderale: Un quantitativo di oltre 100 grammi è stato ritenuto incompatibile con un uso personale, anche in considerazione della rapida deperibilità della marijuana.
* Il comportamento dell’imputato: Alla vista dei militari, l’uomo aveva tentato di disfarsi della sostanza lanciandola fuori dal finestrino dell’auto.
* La mancanza di risorse economiche: Il ricorrente non aveva fornito alcuna prova di possedere risorse finanziarie lecite per giustificare l’acquisto di una simile quantità di stupefacente.
* Il contesto: Nell’auto erano presenti altri soggetti già noti alle forze dell’ordine.

Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno permesso al giudice di superare ogni ragionevole dubbio e di escludere l’ipotesi alternativa dell’uso personale.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

Anche il motivo relativo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto è stato respinto. La Corte ha ritenuto adeguata la motivazione del giudice di merito, che aveva evidenziato come dalla sostanza sequestrata fosse possibile ricavare ben 645 dosi singole. Tale dato, secondo la Corte, suggerisce un’attività criminale potenzialmente protratta nel tempo, incompatibile con la ‘condotta occasionale’ che costituisce uno dei presupposti per l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ribadisce un principio fondamentale del processo penale: la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono di competenza esclusiva del giudice di merito. Il controllo della Cassazione è limitato alla coerenza logica e alla correttezza giuridica della motivazione. In questo caso, la Corte d’Appello ha costruito un percorso argomentativo solido, inferendo la finalità di spaccio non da un singolo elemento, ma da una pluralità di indizi che, letti congiuntamente, conducevano a una conclusione univoca. La sentenza applica correttamente la regola di giudizio dell’ ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’, dimostrando come l’ipotesi accusatoria fosse l’unica plausibile a fronte delle alternative prospettate, prive di riscontri oggettivi. La motivazione sottolinea che il comportamento dell’imputato e la sua situazione economica e sociale sono elementi di contesto pienamente utilizzabili per interpretare il dato oggettivo del possesso della sostanza. Analogamente, la decisione di escludere la particolare tenuità del fatto è stata giustificata non in astratto, ma sulla base di un dato concreto: l’elevato numero di dosi ricavabili, indice di una offensività non trascurabile e di una condotta non meramente episodica.

Le conclusioni

Questa sentenza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che la prova della finalità di spaccio può essere raggiunta per via indiziaria. La difesa non può limitarsi a contestare la mancanza della prova della ‘cessione’ fisica, ma deve essere in grado di offrire una spiegazione alternativa credibile e supportata da elementi concreti, specialmente di fronte a quantitativi ingenti. In secondo luogo, il comportamento tenuto al momento del controllo di polizia assume un’importanza cruciale: un tentativo di fuga o di occultamento della prova viene quasi inevitabilmente interpretato come un forte indizio di colpevolezza. Infine, la pronuncia chiarisce che per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., il giudice deve valutare non solo l’azione in sé, ma anche la sua potenzialità offensiva e la sua collocazione in un eventuale piano criminoso più ampio, che il numero di dosi può contribuire a rivelare.

La sola quantità di sostanza stupefacente è sufficiente a dimostrare la finalità di spaccio?
No, non da sola, ma è un indizio di primaria importanza. La Corte ha chiarito che un quantitativo significativo, oggettivamente incompatibile con l’uso personale, unito ad altri elementi indiziari (come il comportamento dell’imputato), è sufficiente a fondare una condanna per spaccio.

Quali altri elementi, oltre alla quantità, ha considerato la Corte per confermare la condanna?
La Corte ha valorizzato un insieme di circostanze, tra cui: il tentativo dell’imputato di sbarazzarsi della droga alla vista delle forze dell’ordine, la mancata dimostrazione di possedere risorse economiche lecite per l’acquisto della sostanza e la presenza in auto di altri soggetti noti alla polizia giudiziaria.

Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La sua applicazione è stata esclusa perché la quantità di stupefacente detenuta, da cui si potevano ricavare 645 dosi, è stata ritenuta indicativa di un’attività potenzialmente destinata a protrarsi nel tempo. Tale scenario è stato giudicato incompatibile con il requisito della ‘condotta occasionale’ richiesto dalla norma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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