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Finalità di spaccio: quando la detenzione è reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso in materia di stupefacenti, ribadendo che la finalità di spaccio non si desume solo dalla quantità, ma da un insieme di indizi. Nel caso specifico, la presenza di un bilancino di precisione, il confezionamento delle dosi e la mancata dichiarazione di essere consumatore sono stati elementi decisivi per confermare la condanna.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Finalità di Spaccio: Oltre la Quantità, Contano gli Indizi

La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e la finalità di spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i principi guida che i giudici devono seguire per accertare la reale destinazione della droga. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene la quantità sia un fattore rilevante, non è l’unico né sempre il più decisivo. Per stabilire la responsabilità penale, è necessaria una valutazione globale di tutte le circostanze del caso concreto.

I Fatti del Caso

Il procedimento trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. La decisione era stata presa in primo grado dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato ha quindi presentato ricorso per cassazione, lamentando una motivazione carente e illogica da parte dei giudici di merito proprio in merito alla ritenuta finalità di spaccio della sostanza detenuta. Secondo la difesa, non erano stati forniti elementi sufficienti per escludere che la droga fosse destinata a un uso puramente personale.

Il Ricorso in Cassazione e la Valutazione della Finalità di Spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Il primo punto critico evidenziato dai giudici è stata l’aspecificità dei motivi. L’imputato, infatti, si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata. La giurisprudenza consolidata, ricorda la Corte, considera inammissibili i ricorsi che non si correlano specificamente alle ragioni della decisione che si intende contestare.

Gli Indizi Concreti Oltre il Dato Ponderale

Superato l’aspetto procedurale, la Corte è entrata nel merito della questione, riaffermando i criteri per accertare la finalità di spaccio. Si è precisato che il solo dato ponderale, ovvero la quantità di sostanza rinvenuta, e l’eventuale superamento dei limiti tabellari non sono sufficienti a creare una presunzione assoluta di spaccio. Il giudice ha il dovere di effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente valorizzato una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, tra cui:

* Il numero di involucri in cui era suddivisa la sostanza.
* Il rinvenimento di un bilancino di precisione sporco di polvere bianca.
* La presenza di altri materiali per il confezionamento delle dosi.
* La modalità di detenzione degli involucri, trovati addosso al ricorrente.
* La circostanza che l’imputato non avesse mai dichiarato né prospettato di essere un consumatore nel corso del giudizio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Suprema Corte ha sottolineato come la motivazione della sentenza d’appello fosse logica, congrua e in linea con i principi giuridici consolidati. La decisione dei giudici di merito non era basata unicamente sulla quantità della droga, ma su un’analisi combinata di tutti gli elementi raccolti, che nel loro insieme disegnavano un quadro inequivocabile di un’attività destinata alla vendita e non al consumo personale. La detenzione di strumenti come il bilancino di precisione e il materiale per il confezionamento, unita alla suddivisione della sostanza in dosi, costituisce un forte indicatore della finalità di spaccio. La Corte ha inoltre ribadito che, sebbene il possesso di una quantità superiore ai limiti di legge non sia una prova decisiva di per sé, può legittimamente concorrere, unitamente ad altri elementi, a fondare una conclusione di colpevolezza.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento giurisprudenziale fondamentale: l’accertamento della finalità di spaccio richiede un approccio multifattoriale. Non esistono scorciatoie probatorie basate sulla sola quantità. È l’insieme delle circostanze (modalità di confezionamento, strumenti posseduti, comportamento dell’imputato) a dover essere attentamente vagliato dal giudice per distinguere il consumatore dallo spacciatore. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi specifici e critici e ribadisce l’importanza di una valutazione completa e razionale di tutti gli indizi disponibili nel processo penale.

Quando un ricorso per cassazione viene considerato inammissibile per aspecificità?
Un ricorso è considerato inammissibile per aspecificità quando si limita a riprodurre le medesime ragioni già discusse e respinte nei gradi di giudizio precedenti, senza confrontarsi in modo critico e argomentato con le motivazioni della decisione impugnata.

Il superamento della quantità massima di droga detenibile per uso personale costituisce prova automatica di spaccio?
No. Secondo la Corte, il solo dato quantitativo e l’eventuale superamento dei limiti tabellari non determinano alcuna presunzione di destinazione della droga a un uso non personale. È solo uno degli elementi che il giudice deve valutare.

Quali elementi, oltre alla quantità, sono decisivi per provare la finalità di spaccio?
Elementi decisivi includono le modalità di presentazione e confezionamento della sostanza (es. suddivisione in dosi), il rinvenimento di strumenti per la pesatura e il confezionamento (es. bilancino di precisione), nonché altre circostanze dell’azione, come il fatto che l’imputato non si sia mai dichiarato consumatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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