Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14803 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 20/11/1982
avverso la sentenza del 12/09/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso –
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 12 settembre 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Palmi di condanna, ex art. 442 cod. proc. pen., di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’ art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (commesso in San Pietro Caridà 1’11 maggio 2023) alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione e euro 30.000,00 di multa.
Nelle sentenze di merito i fatti sono stato descritti nel modo seguente. Nella data su indicata, nel corso di una perquisizione di iniziativa effettuata dalla polizi giudiziaria presso l’abitazione di NOME COGNOME sita in INDIRIZZO nel comune di San Pietro di Cariddà, erano stati rinvenuti:
nella camera da letto del fratello una macchina per il sottovuoto termosaldante, una bilancia elettronica digitale e una busta di plastica per il confezionamento;
alle spalle del fienile, insistente sul terreno di proprietà del medesimo nucleo famigliare, due involucri di plastica contenenti canapa indiana del peso netto di 948 grammi.
Nel corso della stessa perquisizione addosso al fratello era stata trovata la somma di 1.050.00 euro.
Le analisi tecniche effettuate sulla sostanza confermarono trattarsi di marijuana con un principio attivo pari a 86.382 milligrammi.
Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e in specie degli artt. 192 comma 2 e 533 cod. proc. pen. e dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 in relazione alla sussistenza della finalità di spaccio. La Corte di appello a tale fine avrebbe valorizzato: il quantitativo della sostanza detenuta, senza considerare che tale quantitativo era compatibile con l’uso personale prolungato nel tempo, secondo quanto ammesso dallo stesso imputato; le modalità della custodia, quanto invece l’occultamento in un casolare era del tutto compatibile con l’esigenza di riservatezza personale; il deterioramento del materiale plastico di confezionamento, ovvero un elemento privo di qualsivoglia valenza indiziaria.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 99 cod. pen. e il vizio di motivazione in relazione alla contestazione dell recidiva. La Corte di Appello non aveva fornito adeguata motivazione sulla concreta significatività dei precedenti rispetto al nuovo reato, in quanto non aveva spiegato quali fossero tali precedenti, non aveva spiegato in che senso tali precedenti fossero manifestazione di maggiore pericolosità sociale e non aveva considerato,
come sarebbe stato necessario, il notevole lasso temporale trascorso tra le pregresse condanne e il fatto per cui si procede.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 62 bis cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di Appello ha confermato tale diniego, con motivazione apparente e stereotipata, senza considerare l’ammissione della responsabilità dell’imputato, la modesta gravità del fatto e il comportamento processuale collaborativo.
2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione all’art. 85 d.P.R. n. 309/90. La Corte di appello ha confermato l’applicazione delle pene accessorie del divieto di espatrio e del ritiro della patente di guida senza fornir adeguata motivazione in ordine alla necessità di tali misure, nonostante il loro carattere facoltativo.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
5.11 primo motivo, con cui si contesta la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla finalità illecita della detenzione, è inammissibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, la destinazione della sostanza stupefacente a fini diversi dall’autoconsumo non configura una causa di non punibilità, ma è elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, sicché non è onere dell’imputato darne la prova, mentre grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (Sez. 6, n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614; v. anche Sez. 6, n. 11025 del 2013, Rv. 255726, quanto alla rilevanza del parametro della capacità patrimoniale, anche ai fini della precostituzione di scorte per uso personale). Si è anche affermato che la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, debba essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (tra le tante, Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272463).
Nel caso in disamina la Corte d’Appello, in continuità con la sentenza di primo grado, ha desunto la finalità illecita della detenzione in modo ragionevole da plurimi indici, rilevando che:
– la versione dell’imputato per cui la sostanza rinvenuta costituiva il raccolto di una coltivazione per uso personale da lui curata nel mese di luglio dell’anno antecedente, non fosse verosimile, posto che GLYPH il materiale plastico di confezionamento si presentava non deteriorato come invece avrebbe dovuto essere se fosse stato esposto agli agenti atmosferici per almeno dieci mesi;
-il quantitativo e le modalità di confezionamento deponevano univocamente per la destinazione a terzi della sostanza;
lo stesso imputato aveva ammesso di cedere talvolta ad acquirenti trovati in rete “qualche canna”.
La prova, dunque, è stata desunta in maniera logica, dalla convergenza di più elementi, primo fra tutti la stessa ammissione del ricorrente, tutti indicativi del illiceità della detenzione della sostanza stupefacente.
A fronte di tale percorso argomentativo, coerente con i dati riportati e non illogico nelle inferenze tratte da tali dati, GLYPH la censura del ricorrente appare avversativa, limitandosi a reiterare gli stessi argomenti, GLYPH già adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte.
Il secondo motivo, con cui si censura il riconoscimento della recidiva, GLYPH è anch’esso inammissibile.
Va ricordato che in tema di recidiva ritualmente contestata, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l’aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale (Sez. U, n.35738 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247839; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044, Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251690, da ultimo Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275319, in motivazione). Nel caso di specie, il ricorrente non si confronta con il percorso argomentativo della Corte di Appello con cui, in conformità ai principi richiamati, si è spiegato che COGNOME era stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile il 4 febbraio 2020 per uguale titolo di reato commesso nello stesso luogo il 5 ottobre 2017 e che la commissione di un reato della stessa indole a distanza di poco più di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza e a meno di un biennio dall’esecuzione della pena per tale titolo di reato valeva a dimostrare l’assenza di qualsivoglia resipiscenza.
Il terzo motivo, incentrato sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato.
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli al disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691). Peraltro il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01) e anche solo sulla base dei precedenti penali ez. 5 n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01).
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte si è confrontata con le ragioni poste a fondamento della richiesta dell’imputato, ma con argomenti giuridicamente corretti, li ha valutati come irrilevanti. I giudici hanno rilevato c la scelta dell’imputato di rendere dichiarazioni nel corso del processo non vale a rendere il comportamento processuale “collaborativo”, specie quando, come nel caso di specie, dette dichiarazioni siano state ritenute inverosimili e ha valorizzato, di contro, in senso ostativo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, i precedenti penali, sintomatici di spiccata capacità a delinquere.
Il quarto motivo, incentrato sull’applicazione delle pene accessorie ex art. 85 d.P.R. n. 309/90, è inammissibile.
L’art. 85 d.P.R. n. 309/90, rubricato “pene accessorie” prevede che in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 73 il giudice possa disporre il divieto espatrio e la revoca della patente di guida per un tempo non superiore a tre anni. Si tratta di pena accessoria di natura facoltativa e non obbligatoria, con la conseguenza che il giudice è tenuto a motivare in ordine all’esercizio del suo potere (sez. 3, n. 10081 del 21/11/2019, dep. 2020, Radoman, Rv. 278537; Sez. 6, n. 41727 del 18/11/2010, De COGNOME, Rv. 248812; Sez. 6, 43308 del 29/10/2009, COGNOME, Rv. 245025).
Nel caso in esame la Corte di Appello ha assolto all’onere di motivazione, evidenziando che le pene accessorie in esame erano necessitate dalla personalità dell’imputato, gravato da un precedente specifico e che tali precedente, unitamente alle modalità del fatto oggetto di contestazione, era indicativo del suo perdurante inserimento nel contesto degli stupefacenti.
Il motivo in esame appare la mera riproduzione di quello formulato in sede di impugnazione della sentenza di primo grado e non si confronta con il percorso motivazionale della sentenza impugnata.
9. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n.
186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2025.