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Finalità di spaccio: i criteri della Cassazione

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La Corte conferma che la finalità di spaccio si desume da indizi come l’ingente quantitativo, la suddivisione in dosi e la detenzione in luoghi diversi, respingendo la tesi dell’uso personale.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Finalità di Spaccio: Quando la Detenzione di Droga non è Uso Personale

Determinare la linea di confine tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e la finalità di spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, la n. 9048 del 2024, offre un’importante occasione per riepilogare i criteri utilizzati dai giudici per distinguere le due fattispecie. La decisione sottolinea come una serie di elementi oggettivi possa condurre a una condanna per spaccio, anche quando l’imputato sostiene la tesi dell’uso personale.

I Fatti del Caso: La Difesa dell’Uso Personale

Il caso ha origine da un ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte di Appello di Napoli alla pena di un anno di reclusione e 1000 euro di multa per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990. L’imputato sosteneva che la droga rinvenuta fosse destinata al suo consumo personale e che la motivazione della sentenza d’appello fosse viziata, sia riguardo alla qualificazione del fatto sia per quanto concerne il trattamento sanzionatorio.

Nello specifico, le forze dell’ordine avevano trovato in suo possesso un quantitativo complessivo di 72,30 grammi di hashish, dai quali sarebbero state ricavabili oltre 550 dosi medie singole. La sostanza non era in un unico blocco, ma era già suddivisa in nove ‘stecche’ ben confezionate e detenuta in luoghi diversi: una parte all’interno del suo veicolo e un’altra parte presso la sua abitazione. A complicare il quadro difensivo, era stata accertata anche una cessione di droga a un’altra persona, la quale aveva confermato di acquistare saltuariamente hashish dall’imputato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno stabilito che le censure mosse dal ricorrente non rientravano tra quelle ammissibili in sede di legittimità. Il ricorso, infatti, non denunciava una violazione di legge o un vizio logico manifesto della motivazione, ma si limitava a proporre una diversa valutazione delle prove e una ricostruzione dei fatti alternativa, attività riservata esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

Le Motivazioni: Indizi Plurimi per la Finalità di Spaccio

La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte di Appello fosse congrua, esauriente e logicamente ineccepibile. I giudici di secondo grado avevano correttamente inferito la finalità di spaccio da una pluralità di elementi sintomatici, la cui valutazione complessiva non lasciava spazio a dubbi. Questi elementi erano:

* Il significativo quantitativo: 72,30 grammi di hashish sono stati considerati un quantitativo ingente, difficilmente compatibile con un consumo puramente personale.
* La suddivisione in dosi: Il fatto che la sostanza fosse già frazionata in nove ‘stecche’ preconfezionate è stato interpretato come un chiaro indizio della preparazione per la vendita al dettaglio.
* Le modalità di detenzione: La conservazione della droga in luoghi diversi (auto e casa) è stata vista come un’ulteriore conferma di un’attività organizzata e non di una semplice detenzione per consumo.
* La prova della cessione: L’accertata vendita a un terzo, corroborata dalla dichiarazione dell’acquirente, ha fornito la prova diretta dell’attività di spaccio.

La Corte di Cassazione ha ribadito che, di fronte a una motivazione così precisa e circostanziata, basata su un’analisi approfondita delle risultanze processuali, il suo ruolo non è quello di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

L’Importanza della Valutazione del Giudice di Merito

Questa ordinanza conferma un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità della Cassazione non è un ‘terzo grado’ di merito. La Corte non può riesaminare le prove, ma solo verificare che il giudice che ha emesso la sentenza abbia seguito un percorso logico-giuridico corretto e non contraddittorio. Se la motivazione è solida, come in questo caso, le conclusioni a cui giunge sono insindacabili.

Le Conseguenze dell’Inammissibilità del Ricorso

La declaratoria di inammissibilità ha comportato per il ricorrente non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione è prevista dall’art. 616 del codice di procedura penale quando il ricorso è proposto per motivi non consentiti dalla legge e senza che vi sia colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Le Conclusioni: Criteri Oggettivi e Limiti del Ricorso in Cassazione

In conclusione, la decisione in esame ribadisce che la finalità di spaccio viene accertata sulla base di un’analisi complessiva di indizi oggettivi e non sulla mera dichiarazione dell’imputato. La quantità della sostanza, le modalità di confezionamento e di detenzione, e l’esistenza di prove di cessione a terzi sono elementi chiave che i giudici di merito valutano per distinguere il consumo personale dall’attività illecita. Per chi intende ricorrere in Cassazione, è fondamentale comprendere che non è sufficiente proporre una diversa lettura dei fatti, ma è necessario individuare specifici vizi di legge o palesi illogicità nella motivazione della sentenza impugnata.

Quali elementi indicano la finalità di spaccio invece dell’uso personale?
Secondo la sentenza, la finalità di spaccio è indicata da una pluralità di elementi, tra cui: il significativo quantitativo di sostanza stupefacente (in questo caso, 72,30 grammi di hashish), la suddivisione della stessa in porzioni già confezionate (9 stecche), la detenzione in luoghi diversi (veicolo e abitazione) e la prova di un’effettiva cessione a terzi.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi proposti non rientravano in quelli consentiti dalla legge. L’imputato non ha contestato una violazione di legge o un vizio logico della motivazione, ma ha cercato di ottenere una nuova valutazione delle prove e una diversa ricostruzione dei fatti, attività che sono di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non della Corte di Cassazione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per il ricorrente?
La dichiarazione di inammissibilità comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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