La Finalità di Spaccio: Quando la Detenzione non è per Uso Personale
Nel diritto penale, distinguere tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e detenzione con finalità di spaccio è cruciale, poiché le conseguenze legali sono drasticamente diverse. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 43014/2024) ribadisce quali elementi i giudici possono utilizzare per determinare questa intenzione e chiarisce i limiti del ricorso in sede di legittimità.
I Fatti del Caso: Dalla Corte d’Appello alla Cassazione
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un individuo contro la sentenza della Corte d’Appello di Bari, che lo aveva condannato per detenzione di stupefacenti. L’imputato contestava la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove, sostenendo che non fosse stata dimostrata la destinazione della sostanza allo spaccio. La difesa mirava a rimettere in discussione l’interpretazione del materiale probatorio già vagliato nei gradi di merito.
Il Ricorso e la Decisione di Inammissibilità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato un principio fondamentale del nostro ordinamento: la Corte di Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare i fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Poiché il ricorso si concentrava esclusivamente sulla richiesta di una nuova valutazione delle prove, invadeva un campo di competenza esclusivo della Corte d’Appello. Di conseguenza, la Cassazione non ha potuto fare altro che respingerlo.
Le Motivazioni della Suprema Corte sulla Finalità di Spaccio
Le motivazioni della decisione si fondano sulla coerenza e adeguatezza del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata fosse esente da vizi logici e basata su corretti criteri di inferenza. La finalità di spaccio era stata motivatamente desunta da una serie di elementi fattuali convergenti, che, letti nel loro insieme, non lasciavano spazio a interpretazioni alternative.
Gli elementi considerati decisivi sono stati:
* Il dato ponderale: la quantità della sostanza detenuta.
* La suddivisione in più involucri: la preparazione in dosi pronte per la vendita.
* Le modalità di occultamento: il modo in cui la sostanza era stata nascosta.
* La disponibilità di materiale per il confezionamento: il possesso di bilancini, bustine o altro materiale utile a preparare le dosi.
La Corte ha stabilito che questi elementi, considerati nel loro complesso, costituiscono argomenti non illogici a sostegno della tesi accusatoria, rendendo la motivazione della Corte d’Appello incensurabile in sede di legittimità.
Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Decisione
Questa ordinanza riafferma un principio cardine: la prova della finalità di spaccio può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti. Non è necessaria la prova diretta della cessione a terzi. Inoltre, chiarisce che un ricorso in Cassazione basato unicamente sulla contestazione della valutazione delle prove, senza evidenziare vizi logici manifesti nella motivazione, è destinato all’inammissibilità.
Come conseguenza diretta dell’inammissibilità, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della cassa delle ammende, a conferma della temerarietà del ricorso proposto.
Quali elementi possono dimostrare la finalità di spaccio di una sostanza stupefacente?
Secondo la Corte, la finalità di spaccio può essere desunta da una pluralità di elementi di fatto, tra cui il dato ponderale (la quantità), la suddivisione in più involucri, le modalità di occultamento e la disponibilità di materiale per il confezionamento (es. bilancini, bustine).
È possibile contestare la valutazione delle prove fatta dal giudice d’appello con un ricorso in Cassazione?
No, la ricostruzione dei fatti e la valutazione del materiale probatorio sono di competenza esclusiva dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione può contestare solo vizi di legittimità, come l’errata applicazione della legge o una motivazione manifestamente illogica, ma non può chiedere una nuova valutazione delle prove.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, il cui importo è determinato equitativamente dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43014 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43014 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CORATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il motivo unico dedotto concernendo la ricostruzione e la valutazione del fatto, nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, investe profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza della Corte di appello di Bari che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, esente da vizi logici, perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza e convergente con quello del Tribunale, in rapporto alle ragioni della ritenuta finalità di spaccio della detenzione;
ritenuto che l’accertamento della destinazione allo spaccio è stata motivatamente desunta da una pluralità di elementi di fatto, costituiti dal dato ponderale, dalla suddivisione in più involucri, dalle modalità di occultamento, dalla disponibilità del materiale necessario al confezionamento, quindi sulla base di argomenti non illogici;
ritenuto che da quanto precede deriva la inammissibilità del ricorso dalla quale consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 25 ottobre 2024
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