Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4543 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4543 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a DESENZANO DEL GARDA il 31/05/1965
avverso la sentenza del 22/03/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale si riporta alla memoria in atti e conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento di questi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 marzo 2024, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del locale Tribunale che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, dichiarata fallita il 27 gennaio 2015, distratto la somma di euro 15.000.000 rilasciando, con atto del 27 luglio 2011, una fideiussione a beneficio della collegata srl RAGIONE_SOCIALE, cagionando così alla fallita un danno patrimoniale di rilevante gravità.
La pena irrogata era di anni quattro di reclusione (con la diminuzione del rito semplificato) ed era seguita la condanna dell’imputato a risarcire di danni cagionati al fallimento della predetta srl, costituitosi parte civile, danno da liquidarsi in separato giudizio civile.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte osservava quanto segue.
Era, innanzitutto, infondata l’eccezione di nullità degli atti, derivante dall’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini a seguito della ritrasmissione degli atti al pubblico ministero, avendo la pubblica accusa formulato la nuova richiesta di rinvio a giudizio sempre per la medesima condotta (il rilascio della fideiussione, in un primo tempo contestata come operazione di manifesta imprudenza ai sensi dell’art. 217 legge fall.), pur diversamente qualificata (come condotta distrattiva, appunto).
Quanto al merito, la Corte territoriale considerava che già il solo rilascio di una fideiussione, da parte della fallita RAGIONE_SOCIALE, che all’epoca era già in profonda crisi finanziaria e sottocapitalizzata, a favore di RAGIONE_SOCIALE (una newco riconducibile al medesimo gruppo RAGIONE_SOCIALE) senza alcun corrispettivo, configurasse, a mente della giurisprudenza di legittimità, una condotta idonea ad integrare il contestato delitto di bancarotta patrimoniale.
La Corte annotava inoltre come:
la fideiussione rilasciata dalla fallita (a firma dell’imputato, non munito del relativo potere) costituisse la garanzia che la beneficiata RAGIONE_SOCIALE aveva offerto ad altra società del gruppo RAGIONE_SOCIALE (in concordato preventivo, ottenuto proprio in prospettiva della ricordata cessione), per l’acquisto del ramo d’azienda relativo al noto marchio calzaturiero (Valleverde, appunto);
RAGIONE_SOCIALE (una newco sostanzialmente priva di patrimonio proprio e che, pertanto, aveva potuto concepire l’acquisto del ramo d’azienda solo grazie alla fideiussione della fallita) non avesse versato il dovuto corrispettivo così che Spes
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RAGIONE_SOCIALE, in concordato preventivo, aveva agito nei confronti del fideiussore ottenendo un decreto ingiuntivo per euro 6.843.137,60.
Tutto ciò premesso in fatto, la Corte d’appello osservava come la fideiussione senza corrispettivo fosse stata rilasciata nel solo, eventuale (non poi realizzatosi) interesse delle altre società dei gruppo, la venditrice del ramo d’azienda RAGIONE_SOCIALE e l’acquirente RAGIONE_SOCIALE, non determinando pertanto vantaggio alcuno alla fallita (ed ai suoi creditori) e, anzi, in concreto, finendo per cagionare alla stessa un danno (ampiamente prevedibile essendo la beneficiata priva dei mezzi necessari per versare il corrispettivo dell’acquisto del ramo d’azienda) rilevantissimo, i quasi 7 milioni di euro del decreto ingiuntivo.
Così da concretare il contestato atto spoliativo, e da non potersi derubricare, come invocato dalla difesa, la condotta in una delle ipotesi previste dall’art. 217 legge fall.
La Corte distrettuale concludeva poi nel senso che il rilevante importo dell’azionato decreto ingiuntivo configurasse l’aggravante contestata (ai sensi dell’art. 219, comma 1, legge fall.) e che la gravità oggettiva e soggettiva della complessiva condotta giustificasse la misura della pena inflitta (peraltro inferiore alla media edittale).
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOME articolando le proprie censure in otto motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge conseguente al mancato rinnovo della notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. a seguito della regressione del procedimento per la contestazione di un fatto nuovo.
Il Giudice per l’udienza preliminare aveva rimesso gli atti al pubblico ministero in relazione al capo B della rubrica (unico oggetto del presente processo), ritenendo che la contestata condotta, relativa al rilascio della fideiussione per euro 15.000.000 a favore di RAGIONE_SOCIALE non costituisse un’ipotesi di operazione di manifesta imprudenza, punibile ai sensi dell’art. 217 legge fall., ma la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale punita dall’art. 216, comma 1 n. 1, della medesima legge.
Il pubblico ministero aveva riformulato, nei termini indicati dal giudice, l’imputazione e, nonostante tale novità, non aveva provveduto a notificare al prevenuto un nuovo avviso di conclusione delle indagini, ex art. 415 bis cod. pen., limitandosi a richiederne il rinvio a giudizio per il rilascio della fideiussione a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il nuovo Gup, davanti al quale era stata eccepita l’assenza dell’avviso e che aveva proceduto a decidere il processo in rito abbreviato, aveva ritenuto tale
eccezione priva di fondamento, non avendo il pubblico ministero contestato un fatto nuovo ma essendosi limitato a dare una nuova qualificazione giuridica alla medesima condotta.
Anche la Corte d’appello aveva rigettato la medesima eccezione, riformulata nel gravame, considerando, ancora, come il fatto concreto contestato fosse rimasto immutato.
Tutto ciò premesso, il ricorrente eccepiva l’erroneità di tali argomentazioni posto che era, invece, evidente, la diversità di struttura, oggettiva e soggettiva, del reato di bancarotta fraudolenta, oggetto della seconda richiesta di rinvio a giudizio, rispetto a quello di bancarotta semplice, contestato nella prima richiesta.
Se ne doveva, pertanto concludere, che la mancata notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen., tempestivamente eccepita, determinava la nullità degli atti processuali ad essa successivi, fino alla sentenza d’appello impugnata.
2.2. Con il secondo, terzo e quarto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato.
La garanzia fideiussoria era stata rilasciata per consentire a RAGIONE_SOCIALE di acquistare il ramo di azienda di spa RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) in concordato preventivo, al fine di rilanciare il settore calzaturiero in cui erano inserite sia la fallita sia la beneficiata.
RAGIONE_SOCIALE infatti, aveva presentato un piano concordatario che era stato approvato, che prevedeva la ricordata cessione, ma che non si era potuto attuare propria per l’inadempienza al pagamento del corrispettivo da parte di RAGIONE_SOCIALE
A seguito di tale inadempimento RAGIONE_SOCIALE in concordato si era avvalsa della garanzia fideiussoria nei confronti della fallita.
Tuttavia, doveva considerarsi che tale operazione era inserita nella logica del gruppo RAGIONE_SOCIALE a cui facevano capo tutte le ricordate società (la fallita fideiubente, la beneficiata e la venditrice del ramo d’azienda), e, in tale contesto non poteva definirsi distrattiva, perché volta alla complessiva valorizzazione del marchio e della relativa attività nel settore calzaturiero.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, la Corte l’aveva dedotto dalla consapevolezza, in capo all’imputato, di incerti vantaggi, delle difficoltà finanziarie, della aleatorietà dell’operazione, tutti indici estranei al dolo generico, di mera spoliazione del patrimonio sociale, del contestato delitto.
2.3. Con il quinto e sesto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata derubricazione della condotta nelle gradate
ipotesi di causazione del dissesto a seguito di un’operazione di manifesta imprudenza, o di aggravamento del dissesto, punite dall’art. 217, comma 1 nn. 2 e 3, legge fai!.
In assenza, infatti, del dolo di depauperamento del patrimonio della società, si sarebbe dovuta ricondurre la condotta consumata ad una delle ricordate ipotesi. Del resto, la stessa Corte aveva considerato come il vantaggio per la fallita fosse solo ipotetico e del tutto aleatorio.
L’esito nefasto della complessiva operazione era possibile ma non era certo voluto dall’imputato; era pertanto avvenuto solo per colpa.
2.4. Con il settimo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta configurabilità dell’aggravante del danno patrimoniale rilevante.
La Corte l’aveva dedotto dal decreto ingiuntivo per 6.843.135,60 emesso a carico della fallita per l’impegno fideiussorio, senza però porlo in rapporto con il dissesto, al fine appunto di accertarne la rilevanza.
2.5. Con l’ottavo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla misura della pena, considerando, ancora una volta, la gravità della condotta e ciò al fine di irrogare una sanzione discosta dal minimo edittale.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato una memoria in cui ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
Il primo motivo è manifestamente infondato per l’assorbente ragione derivante dalla scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato.
Si è infatti affermato come l’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari determini una nullità a regime intermedio della richiesta di rinvio a giudizio, la quale (come le altre ipotesi di nullità a regime intermedio: Sez. 3, n. 20922 del 31/03/2021, D., Rv. 281631 – 01, in tema di traduzione di atti del processo; Sez. 3, n. 19454 del 27/03/2014, COGNOME, Rv. 260377 – 01, in tema di vizi della notifica del decreto di citazione a giudizio) rimane sanata dalla presentazione da parte dell’imputato della richiesta di giudizio abbreviato (Sez. 3,
n. 7336 del 31/01/2014, COGNOME, Rv. 258813 – 01; Sez. 6, n. 25153 del 04/05/2010, COGNOME, Rv. 247777 – 01).
Peraltro, può anche ricordarsi come si sia, in precedenti pronunce (Sez. 5, n. 48888 del 07/11/2022, Ariis, Rv. 283872 – 01), affermato che, nel caso di regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, a seguito di ordinanza ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen., non è dovuta la rinnovazione dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., se, rispetto alla fase procedimentale anteriore alla regressione, non sia intervenuto un “quid novi” in relazione al quale l’imputato avrebbe diritto di calibrare diversamente l’esercizio del diritto di difesa.
E, nella fattispecie concreta giudicata con la sentenza citata, si era passati dalla contestazione dell’uso di un atto falso alla più grave ipotesi del concorso nella sua contraffazione, restando pertanto fermo l’oggetto della condotta (la falsità dell’atto) pur modificandosi il profilo della stessa (dal mero utilizzo al concorso nella sua formazione). Una modifica che qui non era neppure avvenuta posto che la medesima condotta di prestazione di garanzia era stata soltanto diversamente qualificata.
Resta comunque la assorbente preclusione determinata dalla scelta del rito.
Sono infondati anche i motivi – dal secondo al quarto – relativi alla ritenuta sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ascritto al ricorrente.
La Corte di merito aveva già, infatti, correttamente ricordato come la giurisprudenza di questa Corte di legittimità sia nel senso che anche il mero rilascio di una fideiussione, del tutto privo di corrispettivo economico, costituisca una non consentita diminuzione del patrimonio della società di poi fallita.
In tal senso si ricorda:
Sez. 5, n. 9316 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281020 – 01, secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la concessione di una garanzia fideiussoria, senza corrispettivo (e per una finalità estranea all’oggetto sociale), che determina di per sé ed automaticamente un pregiudizio economico per la società fallita;
Sez. 5, n. 6462 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 231393 – 01, in cui si precisa che, in tema di bancarotta fraudolenta, integra la distrazione rilevante ai sensi dell’art. 216, comma primo, n. 1, legge fall. la prestazione di fideiussioni che costituiscano uno strumento anomalo ai fini dell’attività sociale, con il quale l’amministratore della società determina, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo ai danni dei creditori;
Sez. 5, n. 32467 del 16/04/2013, COGNOME, Rv. 256779 – 01, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, integra distrazione la prestazione di una
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garanzia fideiussoria od ipotecaria quando si tratta di attività estranea all’oggetto sociale, posta in essere senza corrispettivo economico e che determina un pregiudizio economico per la società fallita.
Che la fideiussione prestata dalla fallita RAGIONE_SOCIALE a favore di RAGIONE_SOCIALE fosse del tutto estranea all’attività della stessa lo si era poi dedotto dal fatto che la stessa non era una società finanziaria, non era la holding del gruppo RAGIONE_SOCIALE (così da porsi come finanziatrice e/o garante delle altre società) e, all’epoca, si trovava già in uno stato di palese difficoltà finanziaria.
Né poteva affermarsi che l’operazione era stata concepita ed effettuata in una logica di gruppo (tale da escluderne la rilevanza penale), posto che, in tal caso, devono comunque ravvisarsi dei “vantaggi compensativi” per la società altrimenti spogliata.
Si è infatti costantemente affermato che, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “gruppo”, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata: ex plurimis Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, COGNOME Rv. 277545 – 01.
Ed invece, nel caso di specie, la fallita non aveva ritratto alcun vantaggio dal rilascio della fideiussione rimanendo i benefici dell’intera operazione ad essa sottesa (peraltro immediatamente e del tutto prevedibilmente fallita, per l’incapacità originaria della beneficiata srl RAGIONE_SOCIALE di corrispondere il prezzo dell’acquisto dell’azienda a RAGIONE_SOCIALE) limitati alle sole altre società testè ricordate.
3. Quanto alla invocata – nei motivi quinto e sesto – diversa qualificazione della condotta realizzata dal prevenuto (in significativa assenza dei poteri previsti statutariamente), si deve ricordare come si sia affermato che non ricorre l’ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma primo, n. 2, legge fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta, nel caso di operazioni che abbiano comportato, in pressoché totale assenza di vantaggi, un notevole impegno economico-finanziario della società, dichiarata poco dopo fallita, atteso che le operazioni imprudenti, realizzate pur sempre nell’interesse dell’impresa, sono quelle in tutto o in parte aleatorie o frutto di scelte avventate, tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo (Sez. 5, n. 34292 del 02/10/2020, COGNOME, Rv. 279973 – 01).
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Anche nel rilascio della citata fideiussione si era agito in assolta assenza di vantaggi per la società fideiubente, per porre poi in essere una operazione talmente aleatoria da fallire immediatamente, comportando così l’escussione della garanzia per quasi sette milioni di euro (di cui la fallita non disponeva affatto).
Il settimo motivo, sulla configurabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale rilevante, è parimenti privo di fondamento e pecca anche di genericità (come altrettanto generico era stato l’analogo motivo di appello).
A fronte, infatti, della argomentazione spesa dalla Corte di merito per affermarne la sussistenza – l’importo della fideiussione, e la parte poi azionata dalla società garantita, erano entrambe di misura tale, rispetto alle precarie condizioni economiche della fallita, da provocarle un danno concretamente ingente – ci si era limitati ad affermare che non si era comparato a tali somme il disavanzo fallimentare, non facendo tuttavia ad esso alcun concreto riferimento, così da non consentire a questa Corte di vagliarne la ipotetica fondatezza.
E’ inammissibile anche l’ultimo motivo, sulla quantificazione della pena, avendo la Corte di merito ritenuto congrua la pena inflitta dal primo giudice – la pena base in misura largamente inferiore alla media edittale, aumentata poi per la riconosciuta aggravante – anche considerando che la graduazione della stessa, anche in relazione agli aumenti previsti per le circostanze aggravanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259142), considerando poi che una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso, in Roma il 12 novembre 2024.