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Favoreggiamento personale: ricorso inammissibile

Un militare è stato condannato per vari reati, tra cui tentato furto, rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. L’imputato ha sostenuto che le sue azioni fossero una messinscena per accreditarsi come informatore presso dei criminali. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno stabilito che la condotta dell’imputato era incompatibile con la tesi difensiva e che la rivelazione di segreti a un indagato non può mai essere giustificata dalla finalità di renderlo un confidente.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Favoreggiamento Personale: Quando la Tesi dell’Infiltrato non Regge

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2741 del 2024, affronta un caso complesso che vede protagonista un militare condannato per una serie di gravi reati, tra cui spicca il favoreggiamento personale. L’imputato aveva cercato di giustificare le sue azioni illecite come parte di una strategia per infiltrarsi in un ambiente criminale e guadagnare la fiducia di alcuni soggetti per farli diventare suoi confidenti. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, tracciando una linea netta tra l’adempimento del proprio dovere e le condotte criminali.

I Fatti di Causa

Un militare in servizio presso il nucleo radiomobile dei carabinieri è stato ritenuto colpevole di diversi delitti: tentato furto in abitazione, tentata acquisizione di sostanze stupefacenti, omessa denuncia, rivelazione di segreto d’ufficio e, appunto, favoreggiamento personale.

In sintesi, l’uomo era accusato di:
1. Aver pianificato un furto nell’abitazione di un soggetto per impossessarsi di droga e denaro.
2. Aver avvertito lo stesso soggetto dell’esistenza di indagini a suo carico, rivelandogli informazioni segrete apprese da un collega.
3. Aver sviato l’attività investigativa dei colleghi fornendo informazioni false su un altro individuo, descrivendolo come un delinquente di poco conto per dirottare l’attenzione su un’altra persona.

La difesa dell’imputato si è basata su un’unica tesi: tutte le sue azioni non erano reali, ma costituivano una ‘messinscena’ orchestrata al solo scopo di accreditarsi presso i criminali e utilizzarli come fonti informative. Una strategia da ‘agente provocatore’ che, secondo la difesa, avrebbe dovuto giustificare i suoi comportamenti.

La Decisione della Cassazione e il Rigetto del Favoreggiamento Personale

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso del tutto inammissibile, non entrando nel merito della questione ma fermandosi a una valutazione preliminare. La ragione principale risiede nella genericità dei motivi proposti, che si limitavano a ripetere le stesse argomentazioni già presentate e respinte con motivazioni logiche e coerenti dalla Corte d’Appello.

I giudici di secondo grado, infatti, avevano già evidenziato come una pluralità di comportamenti dell’imputato – precedenti, contestuali e successivi ai fatti – fossero del tutto incompatibili con l’ipotesi della messinscena difensiva. Per la Suprema Corte, il ricorso non ha saputo confrontarsi criticamente con queste argomentazioni, limitandosi a definirle ‘illogiche’ senza spiegarne il perché.

Le Motivazioni

La sentenza chiarisce in modo inequivocabile alcuni principi fondamentali. In primo luogo, riguardo alla rivelazione di segreti e al favoreggiamento personale, la Corte sottolinea che avvisare uno spacciatore che qualcuno ‘lo vuole fregare’ o che è stato ‘venduto’, invitandolo a ‘stare attento’, costituisce una condotta oggettivamente idonea a ostacolare le indagini. Questo tipo di reato è definito ‘di pericolo’, il che significa che non è necessario che le indagini siano state effettivamente sviate; è sufficiente che l’azione compiuta fosse diretta e adeguata a tale scopo.

Inoltre, e questo è il punto cruciale, la Corte ha affermato che l’intenzione di assicurarsi il favore di un indagato per renderlo un confidente non può mai costituire una scriminante (ovvero una causa di giustificazione) per la rivelazione di segreti d’ufficio. Non esiste, infatti, alcuna relazione di necessità tra la condotta illecita e i doveri istituzionali di un appartenente alle forze dell’ordine.

Infine, anche la censura relativa alla pena è stata respinta, in quanto la Corte d’Appello aveva giudicato la sanzione addirittura troppo lieve, ma non potendola aumentare in assenza di un ricorso del Pubblico Ministero, l’imputato non aveva alcun interesse a dolersene.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce con forza che l’attività di polizia giudiziaria deve svolgersi entro i confini della legalità. L’iniziativa personale di un agente che, per presunte finalità investigative, commette reati come il favoreggiamento personale o la rivelazione di segreti, non trova alcuna giustificazione nell’ordinamento. La sentenza traccia una linea invalicabile tra le operazioni sotto copertura autorizzate e normate dalla legge e le iniziative individuali che, sconfinando nell’illegalità, diventano esse stesse oggetto di sanzione penale.

Un agente può rivelare segreti d’ufficio a un indagato con lo scopo di renderlo un suo confidente?
No. La sentenza chiarisce che l’intenzione di assicurarsi il favore di un indagato per farlo diventare un confidente non costituisce una causa di giustificazione (scriminante) idonea a rendere lecita la rivelazione di segreti d’ufficio.

Perché il ricorso dell’imputato è stato giudicato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per la sua assoluta genericità. Esso, infatti, si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata.

Cosa si intende quando si afferma che il favoreggiamento è un reato di pericolo?
Significa che per la sua consumazione non è necessario che l’aiuto fornito all’indagato abbia concretamente eluso le indagini. È sufficiente che la condotta sia stata oggettivamente idonea e diretta a raggiungere tale scopo, a prescindere dal risultato finale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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