Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32843 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32843 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Battipaglia
avverso la sentenza del 2/12/2024 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria difensiva dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, con la quale ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Salerno, in riforma della pronuncia assolutoria del Tribunale di Salerno per applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., ha condannato NOME COGNOME
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,
alla pena di sei mesi di reclusione per il delitto di favoreggiamento personale, con applicazione della sospensione condizionale della pena e non menzione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto la sentenza impugnata, a fronte dell’appello del pubblico ministero avverso una pronuncia assolutoria, ha condannato l’imputato in base a fonti di prova non valorizzate in primo grado – testimonianza del maresciallo COGNOME – e ad un solo segmento finale della condotta senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 384 cod. pen., e vizio di motivazione per travisamento degli esiti istruttori, in quanto il maresciallo COGNOME non aveva dichiarato che COGNOME fosse consapevole di essere stato visto dalla polizia giudiziaria nella fase dell’acquisto dello stupefacente, anche perché non era presente, così da escludersi che COGNOME abbia mentito per garantire l’impunità al suo fornitore anziché per evitare la segnalazione al prefetto per l’illecito amministrativo di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990.
2.3. Violazione di legge e assenza di motivazione in quanto l’imputato non ha ottenuto la sostituzione della pena detentiva con una misura sostitutiva.
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’ar 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020 per come prorogata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è generico.
Premesso che la difesa di COGNOME non ha richiesto o sollecitato la rinnovazione istruttoria alla Corte di merito, né risulta indicato nel ricorso quale fosse l’oggett dell’eventuale integrazione probatoria, la sentenza impugnata, con argomenti completi e coerenti, nell’accogliere l’appello del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado, ha dato conto della completezza del materiale probatorio, fondato sulle dichiarazioni degli operanti, e, in particolare, della testimonianza del maresciallo dei carabinieri NOME, neppure menzionata dalla tli
scarna pronuncia del Tribunale di Salerno, il quale, nel sentire a sommarie informazioni testimoniali COGNOME gli aveva fatto capire «dal tenore delle domande» che, prima del sequestro della marjuana trovata nel suo zainetto, «era stato visto dalla Polizia giudiziaria» al momento dell’acquisto (pagg. 3-4).
Sta di fatto che la riforma della sentenza di primo grado non è dipesa da un diverso giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni bensì dalla valorizzazione sincronica di tutti gli elementi probatori acquisiti, compresi quelli che non erano stati valutati dal Tribunale, posti in relazione alle altre risultanze, non venendo dunque in rilievo né l’obbligo di rinnovazione desumibile dall’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., letto anche alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 Dasgupta, Rv. 267487-267491) né una lacuna probatoria, tale da imporre un’integrazione, stante l’impossibilità di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 266820; Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv. 280504).
3. Il secondo motivo di ricorso è aspecifico.
Il giudice di merito a pag. 3 della sentenza ha richiamato «la pagina 5 del verbale integrale» dell’esame dibattimentale del Maresciallo COGNOME, reso all’udienza del 20 dicembre 2022, dando atto come «alle 17:30 del 28-5-20 ha capito dal tenore delle domande che gli sono state poste che era stato visto dalla NOME nel momento in cui ha acquistato la marijuana che la PG aveva due minuti dopo l’acquisto rinvenuto nel suo zaino…».
A fronte di questo preciso richiamo, il ricorso si limita a denunciare il travisamento probatorio della testimonianza citata, senza alcuna indicazione di quali parti siano state macroscopicamente modificate dalla sentenza impugnata, con l’apodittica conclusione che l’operante non avesse riferito che COGNOME fosse stato consapevole di essere stato oggetto del servizio di osservazione.
La Corte di appello di Salerno alla luce di una completa e non frammentaria valutazione delle prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale di primo grado ha ricostruito i fatti senza incongruenze logiche o contraddizioni.
In ogni caso l’assunto difensivo risulta manifestamente infondato, essendo certo che il ricorrente era risultato in possesso di un quantitativo di stupefacente e che dunque le sue dichiarazioni piuttosto che essere volte a scongiurare l’inevitabile deferimento all’autorità amministrativa ai sensi dell’art. 75 d.P.R. n. 309 di 1990 e ad evitare dunque il potenziale nocumento per l’oggettivo possesso della sostanza stupefacente, non potevano che essere state ispirate, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, dall’intendimento di non disvelare
l’identità dello spacciatore, a fronte dell’implausibile riferimento alla presenza della droga nello zaino da vari anni.
Deve dunque ritenersi che la motivazione della sentenza di condanna sia aderente alla giurisprudenza di legittimità in materia di favoreggiamento personale dell’acquirente di sostanze stupefacenti rispetto al cedente e richiamata dalla sentenza impugnata (Sez. U, n. 21832 del 05/06/2007, Morea, 236370 e Sez. 6, n. 12934 dell’11/03/2015, COGNOME AVV_NOTAIO, Rv. 262910).
E’ stato, infatti, affermato il principio della configurabilità del delitt favoreggiamento nei confronti dell’acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente per uso personale che, sentito come persona informata dei fatti, si rifiuti di fornire alla polizia giudiziaria informazioni sulle persone da cui ha ricevu la droga.
E nel caso di specie è stato dato conto del fatto che la scelta di reticenza di NOME non fosse stata condizionata dal timore di sanzioni, non avendo NOME mai contestato di aver acquisita o ricevuta la droga per farne personale uso (Sez. 6, n. 12934 dell’ 11/03/2015, COGNOME AVV_NOTAIO, cit.).
4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va premesso che il delitto commesso da COGNOME risale al 28 maggio 2020, dunque anteriormente alla cd Riforma Cartabia, e che la sentenza impugnata ha applicato all’imputato la sospensione condizionale della pena.
Questa Corte, ha stabilito che, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il divieto di farne applicazione nei casi in cui sia disposta la sospensione condizionale della pena, previsto dall’art. 61-bis, legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non s estende ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore di tale ultima disposizione e che in questo caso, la mancata applicazione della pena sostitutiva in luogo di pena detentiva non può essere giustificata dall’avvenuta concessione della sospensione condizionale posto che, al momento della commissione di tali fatti, i due istituti erano tra loro compatibili nell’assetto complessivo del sistema normativo (Sez. 4, n. 45583 del 3/12/2024, Tronco, Rv. 287354).
Fatta questa premessa, utile ad escludere l’alternatività tra i due istituti in ragione del tempus commissi delicti, dagli atti non risulta che il ricorrente abbia mai formulato alcuna richiesta di sostituzione della pena detentiva nel giudizio di appello.
Questa Sezione si è già pronunciata con la sentenza n. 25199 del 4 aprile 2025 su analoga questione chiarendo come in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod.pen., il giudice d’appello sia
tenuto ad esaminare la possibilità della loro applicazione, ai sensi dell’art. 95 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (riforma Cartabia), solo se vi sia una specifica richiesta dell’imputato, non rientrando tra i poteri officiosi del giudic (Sez. U, n: 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125). Tale istanza non deve necessariamente essere formulata con l’atto di impugnazione o con i motivi aggiunti previsti dall’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve, comunque, intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione d’appello. Come nella specie non accaduto.
Tale principio vale anche nell’ipotesi in cui l’appello sia stato proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione, in quanto spetta all’imputato l’onere di prospettare al giudice tutte le istanze a lui favorevoli ivi comprese le richieste che incidono sul trattamento sanzionatorio, considerando anche l’ipotesi di un ribaltamento della sentenza assolutoria che costituisce uno dei possibili epiloghi dell’impugnazione.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima di quantificare nella misura di euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11 settembre 2025
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La Consigliera estensora
Il Presidente