Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3669 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 3669  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Campobello di Mazara (TP) il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 02/05/2023 del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’annullamento della decisione.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME è indagata e sottoposta a custodia cautelare in carcere per i delitti di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena pluriaggravati, commessi in favore di NOME COGNOME, elemento di vertice dell’associazione di tipo mafioso denominata “RAGIONE_SOCIALE“, colpito da plurime condanne definitive anche per associazione di tipo mafioso nonché destinatario di vari provvedimenti cautelari custodiali e rimasto latitante per circa un trentennio.
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Palermo ha respinto la sua istanza di riesame avverso il provvedimento impositivo della misura cautelare. In particolare, quanto al profilo della gravità indiziaria, l’ha ritenuta «parte attiva garante stabile e fidata» del sistema di comunicazione mediante biglietti («pizzini») utilizzato dal latitante per comunicare con terze persone, e quindi autrice di condotte «oggettivamente idonee a provocare una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le ricerche di COGNOME e le relative investigazioni erano in corso», così offrendo a costui un «peculiare ausilio».
Quanto, poi, alle esigenze di cautela, il Tribunale ha ravvisato il pericolo di compromissione delle investigazioni, essendo queste ultime ancora in corso ed essendo tuttora ignoti altri soggetti partecipi della medesima rete di protezione di COGNOME COGNOME, nonché vari luoghi in cui la latitanza di costui si è consumata. Inoltre, considerando, il carattere recente dei fatti, la protrazicne per lunghi anni della condotta favoreggiatrice dell’indagata, la sua perseveranza nella stessa nonostante le sollecitazioni contrarie dello stesso COGNOME, nonché il dato di contesto (ella, infatti, è figlia di un vecchio capo -cosca del luogo e moglie di altro partecipe del sodalizio, condannato in via definitiva all’ergastolo per aver compiuto un omicidio ordinatogli proprio dal COGNOME), quei giudici hanno ritenuto sussistente anche un pericolo di recidiva.
Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’indagata, con atto del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione in punto sia di gravità indiziaria che di esigenze cautelari e di scelta della misura.
2.1. Quanto al primo aspetto – si sostiene – lo stesso Tribunale ha escluso che l’indagata abbia provveduto alle necessità di vita quotidiana di NOME COGNOME, che abbia gestito attività economiche per suo conto e che gli abbia fornito informazioni su possibili rischi connessi ad alcune frequentazioni (addebito, quest’ultimo, mosso in realtà soltanto a sua figlia e sua coindagata, ma ritenuto infondato sia dal primo giudice che dal Tribunale adito dal Pubblico ministero ex art. 310, cod. proc. pen.).
Quindi, delle condotte favoreggiatrici ipotizzate a suo carico dall’accusa, residuerebbero: a) l’aver intrattenuto col latitante un rapporto di convivenza o, comunque una relazione sentimentale; b) l’aver con lui condiviso un linguaggio convenzionale nell’ambito della loro corrispondenza epistolare; c) l’aver adottato particolari cautele nei loro incontri di persona.
Obietta però il ricorso, con richiami di giurisprudenza di legittimità: che, per la sussistenza del favoreggiamento, occorre l’oggettiva idoneità della condotta ausiliatrice a costituire intralcio al corso della giustizia; che non integra il delitto procurata inosservanza di pena il semplice intrattenere rapporti personali leciti,
anche di convivenza o di frequentazione, con soggetto di cui si conosce la qualità di condannato ed il proposito di sottrarsi a pena; che la condotta favoreggiatrice dev’essere tale per il ricercato e non per coloro che lo aiutano, sicché non può avere alcun rilievo l’impiego di un linguaggio convenzionale, funzionale – secondo l’accusa – a celare l’identità degli altri componenti della “rete di protezione”.
Inoltre la difesa rappresenta: che gli accorgimenti utilizzati dalla COGNOME in occasione degli incontri con COGNOME non solo non ne hanno favorito la latitanza, ma semmai l’hanno messa in pericolo; che i riferimenti di costei alle dinamiche associative, contenuti in alcuni dei suoi “pizzini”, non hanno nessuna interferenza con un’eventuale condotta ausiliatrice della latitanza dell’altro e, inoltre, si spiegano pur sempre con il contesto familiare in cui ella è sempre vissuta; che, infine, risulta indimostrata l’asserita convivenza tra i due dal 2007 al 2015, poiché, in tale periodo, l’indagata ha coabitato con l’anziano padre, ristretto a lungo agli arresti domiciliari, ed ha insegnato in Lombardia fino al 2010.
2.2. In ordine alle esigenze cautelari, il ricorso deduce l’illogicità del giudizio di sussistenza del pericolo di compromissione delle indagini, evidenziando: che, dal momento dell’arresto di COGNOME, e quindi già da un mese prima di essere anch’ella raggiunta dalla misura custodiale, la COGNOME sapeva dì essere sottoposta ad indagini; che, fino al momento del suo arresto, ella ed i suoi familiari sono stati costantemente intercettati, senza che nessun proposito di inquinare le prove sia emerso; che vi è stata una sistematica e massiccia fuga di notizie sulle indagini; che la «omertosa compiacenza» ritenuta dal Tribunale non può rilevare, non potendo trarsi elementi a sfavore dell’indagato dall’esercizio del suo diritto di rimanere in silenzio.
Riguardo, poi, al pericolo di reiterazione criminosa, si rappresenta l’impossibilità che la situazione in cui la condotta dell’indagata è maturata possa ripetersi, essendo ragionevole ritenere che l’organizzazione mafiosa, per il clamore della vicenda e per le attenzioni investigative derivatene, giammai potrebbe mantenere contatti con costei. Inoltre, l’intenzione di continuare a mantenere contatti con COGNOME, da lei manifestata anche contro il volere di questi e valorizzata dal Tribunale per dedurne un perdurante rischio di recidiva, era determinata soltanto da ragioni affettive.
Infine, il ricorso lamenta che il Tribunale abbia trascurato l’incensuratezza dell’indagata, nonostante l’età matura e la provenienza familiare.
Quanto, poi, alla scelta della misura, l’ordinanza avrebbe omesso di motivare sull’adeguatezza degli arresti domiciliari con i0 controllo elettronico, limitandosi a pregiudiziali affermazioni sulla mancanza di autocontrollo dell’indagata, invece smentita dalla sua incensuratezza e dal contegno collaborativo da lei assunto nel corso della perquisizione subita a seguito dell’arresto di COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, in tema di gravità indiziaria, non è fondato.
L’ordinanza impugnata illustra diffusamente e persuasivamente il ruolo attivo svolto dall’indagata nel sistema di comunicazione mediante “pizzini” utilizzato dal latitante. Ivi si legge, infatti, senza che il ricorso lo smentisca, che ella non si limitata ad utilizzare tale canale comunicativo soltanto per mantenere con costui rapporti di tipo esclusivamente personale, mai in più d’un’occasione ha contribuito a garantirne l’efficacia, suggerendo diversi nomi in codice o l’opportunità di adottare differenti modalità esecutive.
Non è contestabile, dunque, che ella abbia agevolato la latitanza di COGNOME, fungendo da costante tramite per l’esterno dei messaggi di costui e, in questo modo, rendendo possibile, od anche soltanto più agevole, la veicolazione dei suoi ordini ed indicazioni ai sodali mafiosi in libertà, così evitandogli di esporsi in prima persona o, comunque, riducendone notevolmente la necessità.
In proposito, l’ordinanza evidenzia come le comunicazioni intercorse tra i due non avessero contenuti esclusivamente sentimentali o personali, ma riguardassero specificamente anche dinamiche associative (vds. pagg. 6 s.): e, relativamente a tale specifico profilo, il ricorso non contiene alcuna critica puntuale, limitandosi ad un AVV_NOTAIO – e generico – giudizio di non conferenza.
Altrettanto generica l’impugnazione si rivela là dove contesta la convivenza intercorsa tra i due, che già di per sé rappresenta una condizione favoreggiatrice per il latitante, in ragione dell’ausilio che gliene deriva per le sue esigenze di vita quotidiana, inevitabilmente pregiudicate dalla clandestinità. Su questo aspetto, invero, il ricorso si limita riproporre gli argomenti già rassegnati al Tribunale, senza confutare criticamente le ragioni per le quali l’ordinanza li ha disattesi, spiegando in dettaglio perché la convivenza della COGNOME con il proprio padre ristretto agli arresti domiciliari avesse avuto una durata notevolmente inferiore a quella prospettata dalla sua difesa, ed altresì perché’ pur essendo titolare di cattedra in Lombardia, ella avesse sempre o quasi prestato servizio in Sicilia, tra Erice e Marsala (pagg. 7 s.).
Sul punto, per inciso, va poi rilevato che non vi sarebbero gli estremi per l’operatività della causa di esclusione della colpevolezza (e non dell’antigiuridicità della condotta) prevista dall’art. 384, cod. pen., la quale non trova applicazione per il delitto di procurata inosservanza di pena e, quanto al favoreggiamento personale, opera solo nel caso in cui, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, valutate secondo il parametro della massima diligenza esigibile, la condotta favoreggiatrice si presenti all’agente come l’unica in grado di evitare al
favorito un grave pregiudizio per la libertà o per l’onore proprio o altrui (Sez. 6, n. 34777 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 280148): situazione, questa, certamente non ravvisabile nella specie, in cui la collaborazione offerta dalla COGNOME non si presenta come la condotta senza la quale COGNOME sarebbe andato inevitabilmente incontro alla cattura ed alla conseguente privazione di libertà.
 Le doglianze in tema di esigenze cautelari e di scelta della misura non superano nemmeno il vaglio di ammissibilità, consistendo in censure di puro fatto, non consentite in questa sede.
Il ricorso, infatti, eludendo il vero argomento centrale dell’ordinanza, che è quello per cui le indagini sono tuttora in pieno svolgimento su aspetti molto rilevanti, come l’individuazione degli altri componenti della “rete di protezione” di COGNOME COGNOME nonché dei diversi luoghi in cui si è consumata la sua lunghissima latitanza. E’ del tutto ragionevole concludere, dunque, come fa il Tribunale, che, se l’indagata fosse rimessa in libertà, od anche soltanto fosse sottoposta ad una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, e dunque senza la possibilità di un controllo costante delle sue possibilità di comunicazione con terze persone, vi sarebbe un pericolo non solo di compromissione dei risultati delle investigazioni in atto, ma anche di reiterazione di condotte favoreggiatrici: ovviamente non a vantaggio di COGNOME (peraltro nel frattempo deceduto),, ma delle svariate altre persone, ancora ignote, che, come lei, hanno aiutato costui a sottrarsi a condanne e misure cautelari per trent’anni.
Il COGNOME ricorso, COGNOME in  COGNOME conclusione, COGNOME dev’essere  COGNOME respinto COGNOME e  COGNOME l’indagata, conseguentemente, condannata al pagamento delle spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2023.