Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46778 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46778 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME ( CUI CODICE_FISCALE ) nato il 15/04/1986 NOME COGNOME ( CUI CODICE_FISCALE ) nato il 07/06/1986
avverso la sentenza del 03/07/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi; lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che ha insistito in quanto dedotto con il ricorso introduttivo;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 luglio 2023 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma di quella emessa 1’8 aprile 2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Crotone, ha rideterminato, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in quattro anni di reclusione e 1.200.000 euro di multa ciascuno la pena inflitta, tra gli altri, a NOME COGNOME e NOME COGNOME per avere procurato illegalmente l’ingresso nello Stato ottantanove persone di origine extracomunitaria.
Le menzionate sentenze sono state emesse nell’ambito del procedimento nato in seguito allo sbarco, nel porto calabrese di Le Castella, il 28 luglio 2022, di ottantanove migranti, per lo più di nazionalità egiziana, ivi giunti a bordo di una imbarcazione a vela partita sei giorni prima dalle coste turche.
I responsabili del viaggio, stando alla ricostruzione concordemente avallata dai giudici di merito, sono stati individuati in tre soggetti di passaporto turco, uno dei quali è l’odierno ricorrente NOME COGNOME e nel siriano NOME COGNOME raggiunti dalle dichiarazioni accusatorie rese da tre migranti, intrinsecamente attendibili e, per di più, assistite, quanto alla posizione di COGNOME, da significativi riscontri di fonte esterna.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con i quali deduce, costantemente, violazione di legge e vizio di motivazione.
3.1. Con il primo motivo, ascrive alla Corte di appello di avere disatteso la proposta impugnazione, quanto alla sua inclusione nel novero degli «scafisti», sulla base di un compendio indiziario quantomeno equivoco e senza considerare la possibilità che egli, come sovente accade in simili occasioni, sia stato spinto dal bisogno dal disperato bisogno di emigrare e coinvolto nel governo dell’imbarcazione solo in considerazione del possesso delle necessarie competenze tecniche.
3.2. Con il secondo motivo, si duole che la pena base sia stata ingiustificatamente determinata ben al di sopra del minimo edittale.
3.3. Con il terzo motivo, lamenta l’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
NOME COGNOME propone, a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione imperniato su quattro motivi con i quali eccepisce, costantemente, violazione di legge e vizio di motivazione e dei quali si darà atto, ai sensi dell’art.
173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
4.1. Con il primo motivo, rileva che la sua responsabilità è stata affermato in ragione, esclusivamente, delle dichiarazioni di tre migranti, processualmente utilizzabili perché acquisite con le garanzie previste dall’art. 64 cod. proc. pen. ma , nondimeno, in ipotesi condizionate dal loro specifico interesse ad un determinato esito del procedimento e senza riconoscere il giusto rilievo alle ulteriori emergenze istruttorie, ivi compresa la comunicazione di notizia di reato, attestante, tra l’altro, la presenza, tra i migranti, di persone di nazionalità diversa da quella egiziana.
Ascrive ai giudici di merito di aver totalmente pretermesso la valutazione delle dichiarazioni da lui rese in ordine alla propria estraneità all’organizzazione del viaggio, cui egli aveva aderito come migrante e dopo avere corrisposto una ingente somma di denaro ad una agenzia turca.
Sottolinea che egli è indicato quale soggetto che, a differenza dei correi, non ha curato la guida dell’imbarcazione e si è limitato a fungere da cuoco ed a fare da intermediario, essendo di madre lingua araba, con i migranti egiziani, così svolgendo un ruolo meramente passivo e privo di efficacia eziologica in vista del successo dell’impresa criminale.
4.2. Con il secondo motivo, COGNOME si duole dell’estensione nei suoi confronti delle circostanze aggravanti dell’essere stati i migranti esposti ad un trattamento inumano e degradante e dell’avere gli autori del reato agito a scopo di profitto, l’una e l’altra dipendenti da comportamenti a lui del tutto estranei e, eventualmente, ascrivibili ad altri soggetti.
Segnala, al riguardo, che a suo carico si pone, quanto alla ricezione di somme di denaro, corrisposte dalle persone che hanno irregolarmente raggiunto il suolo italiano, la dichiarazione del solo NOME COGNOME non confortata da riscontri individualizzanti di fonte esterna, posto che le operate perquisizioni hanno condotto al rinvenimento di contante sulla sola persona del correo NOME COGNOME.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen., che avrebbe dovuto essergli, comunque, riconosciuta in considerazione della assoluta marginalità dell’apporto da lui fornito al delitto.
4.4. Con il quarto ed ultimo motivo, addebita alla Corte di appello di avere giustificato l’applicazione, in conseguenza della concessione delle circostanze attenuanti generiche, di una riduzione in misura inferiore a quella massima indicando come frutto di «pervicacia» la sua ostinata professione di innocenza, in tal modo contravvenendo alla presunzione di innocenza ed arrecando «un vero e proprio colpo di scure avverso le basi dello Stato di diritto», nonché adducendo
«una ragione profondamente distonica con il sistema costituzionale e sovranazionale».
Disposta la trattazione scritta, il Procuratore generale ha concluso, il 24 settembre 2024, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi, mentre NOME COGNOME ha insistito in quanto dedotto con il libello introduttivo della presente fase.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
I giudici di merito sono pervenuti all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME – quale soggetto incaricato, insieme ai correi, di condurre l’imbarcazione, a bordo della quale avevano preso posto ottantanove extracomunitari, dalle coste turche sino a quelle italiane – sulla scorta delle concordi ed univoche dichiarazioni dei tre migranti escussi, che hanno trovato precipuo riscontro, nei suoi confronti: nel rinvenimento, nella memoria del suo telefono cellulare, di due fotografie raffiguranti la rotta dalla Turchia all’Itali calcolata nella data, il 22 luglio 2022, di inizio della traversata, nonché di una foto che lo effigia insieme al coimputato NOME COGNOME (il quale, a sua volta, era risultato in possesso di valuta turca e statunitense) e di un video che lo ritrae nell’atto di guidare l’imbarcazione utilizzata per la traversata; nell’accertata disponibilità di due torce ed un binocolo.
2.1. Al cospetto di un compendio probatorio granitico, il ricorrente, con il primo motivo, oppone obiezioni di totale inconsistenza, ventilando, in termini di tangibile genericità, la possibilità che egli abbia accettato di cooperare alla commissione dell’illecito in contestazione perché vittima di un ricatto, mosso dal bisogno o attratto dalla prospettiva di lucrare una riduzione sul costo del servizio di trasporto.
2.2. Non meno infondato è il secondo motivo, vedente sulla commisurazione della pena detentiva base, nella misura di sei anni di reclusione, leggermente superiore al minimo edittale, pari a cinque anni di reclusione, che la Corte di appello ha operato sul congruo riferimento alla gravità della condotta, tradottasi nell’esposizione a pericolo di vita di ottantanove persone, in tal modo determinandosi in piena coerenza con la previsione dell’art. 133 cod. pen..
Rebus sic stantibus, vacua si palesa la doglianza del ricorrente, il quale imputa ai giudici di merito di non avere assegnato la dovuta rilevanza «al contesto e alla
condizione umana entro il quale si è mossa l’accusa» e di avergli irrogato una sanzione «comunque eccessiva».
2.3. L’ultimo motivo, afferente al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non tiene conto della decisione impugnata che, in riforma di quella di primo grado, ha riconosciuto il beneficio ad entrambi gli imputati.
2.4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso di COGNOME deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
Il ricorso di NOME COGNOME è, invece, nel complesso, infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
3.1. I giudici di merito hanno, invero, stimato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli all’esito di un percorso argomentativo lineare e coerente, che resiste senz’altro alle censure articolate con l’atto di impugnazione e con la memoria conclusiva.
Per un verso, è pacifico che NOME sia stato individuato dai migranti escussi – le cui dichiarazioni sono state integralmente trascritte dal giudice di primo grado – quale soggetto che, nel corso della traversata, si è costantemente mantenuto, diversamente dai trasportati, sopracoperta, ha curato la cucina e dormito insieme ai tre scafisti turchi e, forte della padronanza dell’arabo, ha agevolato le comunicazioni tra equipaggio e migranti.
Per l’altro, la versione difensiva, stando alla quale egli sarebbe stato estraneo all’organizzazione ed all’esecuzione dell’illecito, trova smentita, dal punto di vista sia logico che fattuale, dalla circostanza che egli, al pari dei coimputati, è salito a bordo dell’imbarcazione in un momento del viaggio successivo alla partenza, avvenuta da Bodrum e curata da altri trafficanti, poi sostituiti da coloro che si sono occupati della traversata fino alle coste calabresi.
La Corte di appello ha stimato l’attendibilità degli apporti dei migranti escussi, intrinsecamente credibili, tra di loro perfettamente sovrapponibili ed alieni da intenti calunniatori, ed ha assegnato a Kasem un ruolo che, nell’ottica concorsuale, si palesa utile ed efficiente e, dunque, sicuramente idoneo a fondare, anche nei suoi confronti, l’ipotesi di accusa.
Ha, ugualmente, reputato che il concreto atteggiarsi della partecipazione concorsuale dell’imputato ed il livello del suo coinvolgimento consentono di estendere a suo carico la circostanza aggravante dell’esposizione dei trasportati -stimati in numero elevatissimo in una piccola imbarcazione ed esposti, durante la navigazione, a pericolo per l’incolumità personale – ad un trattamento inumano e degradante, consistito nell’essere costretti, per sei giorni consecutivi, a restare stipati ed ammassati sottocoperta.
Allo stesso modo, la condotta di NOME deve intendersi aggravata dal fine di profitto, intrinsecamente connaturato all’illecito consumato grazie anche al suo contributo e da lui sicuramente percepito, condiviso e fatto proprio, quantomeno in chiave di contenimento dei costi del servizio (sulle condizioni al cospetto delle quali l’aggravante si estende ai concorrenti, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 35510 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276613 – 02).
In questo contesto, le circostanze segnalate dal ricorrente (tra cui la diversa nazionalità e la specificità dell’apporto garantito all’impresa criminosa) allo scopo di evidenziare la peculiarità della sua posizione non valgono ad incrinare la tenuta razionale della motivazione della sentenza impugnata, assicurata da pilastri fattuali e logici la cui solidità non è messa in crisi dalla, pur accorata, protesta di innocenza di NOMECOGNOME autore di comportamenti che Giudice dell’udienza preliminare e Corte di appello hanno ritenuto idonei a dimostrarne la volontaria partecipazione, in termini di sicura attitudine eziologica, al reato oggetto di addebito.
3.2. Il terzo motivo, con il quale si contesta la mancata applicazione della circostanza attenuante del contributo di minima importanza ex art. 114 cod. pen., attiene a questione non sollevata con i motivi di appello.
Pertinente si palesa, in proposito, il richiamo all’indirizzo ermeneutico secondo cui «Nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato» (Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274346; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
3.3. Il quarto motivo, vertente sulla misura della diminuzione della pena operata ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha radicalmente mitigato il trattamento sanzionatorio riservato agli imputati, sì da contenere la pena detentiva loro irrogata, portandola da dieci a quattro anni di reclusione; ha, nondimeno, applicato, limitatamente alla componente detentiva, una riduzione leggermente inferiore a quella massima (passando da otto anni a tre mesi a sei anni anziché a cinque anni e sei mesi) in considerazione del comportamento processuale di COGNOME il quale, pur raggiunto
da un compendio indiziario di assoluto spessore, ha mantenuto un atteggiamento di ostinata negazione che, pur espressione dell’incomprimibile diritto di difesa, non appare dimostrativo di una positiva evoluzione della sua personalità, della quale, peraltro, non vi è, aliunde, traccia.
Così facendo, ha operato nel rispetto del canone ermeneutico secondo cui «In tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, la discrezionalità del giudice nell’applicare la diminuzione derivante dalla ritenuta ricorrenza di una o più circostanze attenuanti deve trovare giustificazione nella motivazione della sentenza e il relativo onere è tanto più intenso quanto più contenuta è l’incidenza del beneficio rispetto alla pena in concreto stabilita» (Sez. 3, n. 42121 del 08/04/2019, Egbule, Rv. 277058 – 01), sicché, laddove, invece, la diminuzione, come nel caso di specie, è riconosciuta in misura (due anni e tre mesi di reclusione) prossima a quella massima (due anni e nove mesi di reclusione), sarebbe, di per sé, sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., a tal fine rivelandosi util richiamo all’orientamento formatosi presso la giurisprudenza di legittimità con riferimento alla quantificazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 – 01).
Tanto basta a respingere le doglianze del ricorrente, imperniate su una diversa valutazione degli elementi rilevanti e sull’evocazione di un vulnus a fondamentali principi garantistici che, deve replicarsi, non risultano compromessi dalla decisione impugnata, ossequiosa della previsione normativa e rispondente ai prescritti canoni razionali.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/10/2024.