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Favoreggiamento immigrazione: la condanna è certa

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per favoreggiamento immigrazione nei confronti di un autista sorpreso a trasportare cinque cittadini stranieri privi di documenti. La sentenza chiarisce che la consapevolezza dell’illegalità dell’operazione e l’aggravante del profitto possono essere desunte dalle circostanze, anche in assenza di prove di un contatto diretto con l’organizzazione o di un guadagno personale. Rigettate le tesi difensive basate sulla buona fede e sullo stato di necessità per la presenza di una donna incinta.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Favoreggiamento Immigrazione: Condanna Confermata anche Senza Prova di Contatti Diretti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito importanti principi in materia di favoreggiamento immigrazione clandestina. Il caso riguardava un autista condannato per aver trasportato in Italia cinque cittadini stranieri. La Suprema Corte ha confermato la sua colpevolezza, ritenendo irrilevanti le giustificazioni fornite e sottolineando come la consapevolezza dell’illecito possa essere provata anche attraverso le circostanze di fatto, senza la necessità di dimostrare un legame diretto con un’organizzazione criminale.

I Fatti del Caso

I fatti risalgono al gennaio 2021, quando le forze dell’ordine fermarono un’automobile con a bordo un conducente e cinque cittadini stranieri, di nazionalità egiziana e irachena, entrati clandestinamente in Italia attraverso un valico con la Slovenia. Le indagini rivelarono che i migranti avevano pagato somme ingenti, tra i 2.500 e i 2.700 euro a testa, per il viaggio iniziato in Turchia o in Egitto.

L’autista, l’imputato principale, si era difeso sostenendo di essere stato incaricato da un conoscente di andare a prendere in Slovenia alcuni suoi parenti, credendo di compiere un semplice favore. Questa versione, tuttavia, è stata smentita dallo stesso conoscente, coimputato nel processo, il quale ha negato qualsiasi legame di parentela con i migranti. Le dichiarazioni contraddittorie e le circostanze oggettive del trasporto hanno spinto i giudici di merito a ritenere provata la responsabilità penale dell’autista.

Il Percorso Giudiziario e il ricorso sul favoreggiamento immigrazione

Il Tribunale di primo grado aveva condannato l’imputato. La Corte di Appello, pur confermando il giudizio di colpevolezza per il reato di favoreggiamento immigrazione, aveva parzialmente riformato la sentenza, riducendo la pena a tre anni di reclusione e 58.000 euro di multa.

La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandosi su diversi motivi:

* Assenza di dolo: si sosteneva la buona fede dell’autista, convinto di aiutare i parenti di un amico.
* Insussistenza delle aggravanti: veniva contestata l’aggravante del fine di lucro, non essendo provato un guadagno diretto dell’autista, e quella dell’aver agito nell’ambito di un’organizzazione.
* Stato di necessità: si invocava la presenza di una donna incinta tra i trasportati per giustificare l’azione.
* Contributo di minima importanza: si chiedeva il riconoscimento dell’attenuante per un ruolo marginale nell’operazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, giudicandolo infondato. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della Corte di Appello fosse logica, esauriente e priva di vizi.

In primo luogo, è stata smontata la tesi della buona fede. Le modalità del trasporto, il fatto che i passeggeri fossero sconosciuti tra loro e di nazionalità diverse, e le versioni palesemente contraddittorie fornite dagli imputati, sono stati considerati elementi sufficienti a dimostrare la piena consapevolezza dell’illegalità dell’operazione. Secondo la Corte, la versione dell’autista era “inverosimile” e smentita dalle prove raccolte.

Per quanto riguarda le aggravanti, la Cassazione ha chiarito che il fine di profitto non richiede necessariamente che l’ultimo anello della catena (l’autista) riceva una parte del denaro. È sufficiente partecipare consapevolmente a un’operazione che, nel suo complesso, è finalizzata al lucro, come dimostrato dalle ingenti somme pagate dai migranti agli organizzatori del viaggio.

Anche la richiesta di applicare lo stato di necessità è stata respinta. I giudici hanno osservato che, per invocare tale giustificazione, è necessario provare l’esistenza di un pericolo attuale e grave per la vita o l’integrità fisica, non altrimenti evitabile. Nel caso di specie, non era stato dimostrato che la donna incinta si trovasse in una condizione di pericolo imminente all’inizio del trasporto.

Infine, è stata negata l’attenuante del contributo minimo. Il ruolo dell’autista, che ha materialmente curato la fase finale e cruciale dell’ingresso nel territorio nazionale, è stato considerato essenziale per la riuscita dell’operazione illegale e, quindi, tutt’altro che marginale.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio consolidato: nel reato di favoreggiamento immigrazione, la prova dell’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza di commettere un illecito, può essere desunta da una serie di indizi logici e convergenti. Le giustificazioni inverosimili o smentite dai fatti non possono scagionare chi si presta a compiere l’ultimo tratto di un viaggio della speranza organizzato a scopo di lucro. La partecipazione a un’operazione palesemente illegale e costosa è sufficiente per integrare il dolo e le relative aggravanti, anche senza un contatto diretto con i vertici dell’organizzazione.

È necessario provare un contatto diretto tra l’autista e l’organizzazione criminale per la condanna per favoreggiamento immigrazione?
No, la sentenza chiarisce che la consapevolezza di partecipare a un’operazione illecita può essere desunta dalle circostanze concrete del fatto (come il trasporto di sconosciuti di nazionalità diverse, le modalità clandestine, le versioni inverosimili fornite), anche senza prova di contatti diretti con gli organizzatori.

La presenza di una persona in stato di necessità, come una donna incinta, giustifica sempre il trasporto illegale di migranti?
No. Per invocare la causa di giustificazione dello stato di necessità, la difesa deve provare che esisteva un pericolo attuale, grave e non altrimenti evitabile per la vita o l’integrità della persona. La semplice presenza di una donna incinta non è sufficiente se non si dimostra una condizione di rischio imminente.

Per configurare l’aggravante del fine di profitto, è necessario che l’autista abbia ricevuto personalmente del denaro?
No. La Corte ha stabilito che l’aggravante sussiste quando si partecipa a un’operazione complessivamente finalizzata al lucro, come dimostrato dalle somme pagate dai migranti. Non è necessario che ogni singolo concorrente nel reato abbia percepito una parte del profitto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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