Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25574 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Telenest (Moldavia) il 04/02/1992
avverso la sentenza del 01/10/2024 della Corte di appello di Trieste letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME
udite le conclusioni con cui il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice Generale, NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in epigrafe, la Corte di appello, in parziale riforma della sentenza del 24 marzo 2022 del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Trieste, ha ridotto la pena inflitta a NOME COGNOME e al coimputato, non ricorrente, NOMECOGNOME a tre anni di reclusione ed Euro 58.000,00 di multa, con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, in relazione al delitto di cui all’art. 12 d.igs. 25 luglio 1998, n. 286.
1.1. Per quanto di interesse in questa sede, il giudice di primo grado ha ritenuto provata la responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di favoreggiamento dell’ingresso sul territorio nazionale, aggravato per avere favorito l’ingresso di almeno cinque persone e per avere commesso il fatto al fine di trarne profitto, di cittadini stranieri in condizione di clandestinità, i qu avevano versato, a corrispettivo, somme di denaro comprese tra 2.500,00 e 2.700,00 euro.
All’esito dell’istruttoria, è stato accertato che il 31 gennaio 2021 NOME COGNOME si trovava alla guida della Skoda Octavia (FT220 AL), a bordo della quale, tramite il valico di Plavje, situato nel Comune di Muggia, avevano fatto ingresso sul territorio nazionale cinque persone, di nazionalità egiziana ed irachena, in condizione di clandestinità sul territorio nazionale.
Al valico di frontiera, l’automobile era stata notata dalle Forze dell’ordine, era stata seguita fino al centro di Trieste, quando si era fermata, all’altezza di INDIRIZZO. A quel punto, un uomo, in attesa sulla pubblica via, si era avvicinato ed aveva salutato gli occupanti, soffermandosi a parlare con il conducente e con uno dei trasportati.
Grazie al tempestivo intervento degli operanti, erano stati identificati tutti i presenti, il conducente, odierno imputato, l’uomo che era in attesa dell’automobile ed i cittadini stranieri, tra cui una donna, madre di due giovani, la quale, accusando malore, era stata trasportata in ospedale.
Uno dei trasportati, NOME COGNOME COGNOME di etnia curda, aveva riferito che il viaggio era iniziato in Turchia, dove aveva pagato 2.500,00 euro: l’intervento di COGNOME era avvenuto in Slovenia ed aveva preso accordi con il medesimo per essere accompagnato nel centro di Trieste.
Un altro straniero, NOME COGNOME aveva raccontato di essere partito dall’Egitto, grazie all’aiuto di un uomo di origine curda al quale aveva pagato 2.700,00 euro tramite una agenzia egiziana: giunto in Turchia, aveva contattato NOME COGNOME di nazionalità egiziana, il quale aveva organizzato la tratta dalla Croazia all’Italia per 2.700,00 euro.
In Slovenia era stato prelevato dall’autista grazie alla posizione, inviata dal suo amico di origine curda al trafficante, tramite Google maps, ed era stato effettivamente raggiunto, in breve, dalla Skoda condotta da Teslari che aveva caricato anche gli altri stranieri.
Era stata altresì accertata la presenza di contatti tra le utenze nella disponibilità di COGNOME e quella di COGNOME, rispondente al numero
447.455.40.7668, consistiti nell’invio di tre messaggi partiti dall’utenza di Teslari in data 31 gennaio 2021, non seguiti da alcuna risposta; dall’analisi del dispositivo cellulare di COGNOME era emersa, tra l’altro, la presenza di numerosi collegamenti ipertestuali facenti riferimento a collocazioni geografiche con l’applicativo Google maps.
In occasione dell’interrogatorio del febbraio 2021 e, successivamente, nel corso delle dichiarazioni spontanee davanti al giudice, COGNOME aveva ammesso di conoscere il coimputato ed aveva sostenuto che questi gli aveva chiesto di andare a prendere dei suoi parenti, arrivati in Slovenia, fornendogli la geolocalizzazione con la promessa del rimborso delle spese.
Aveva individuato, tramite il GPS, le persone appena oltre il confine di Plavje e le aveva condotte in Italia con la Skoda, di proprietà di un suo cugino.
In un primo momento, NOME si era avvalso della facoltà di non rispondere, ma aveva successivamente reso interrogatorio davanti al Pubblico ministero ed infine dichiarazioni spontanee davanti al giudice, nel cui corso aveva negato di conoscere gli stranieri, i quali, tanto meno, erano suoi parenti. Aveva ricevuto la richiesta di recarsi in Slovenia a prendere una donna incinta, in quanto il figlio maggiore, che viveva in Turchia e con il quale aveva lavorato nel 2016, gli aveva chiesto di aiutare la madre, inviandogli, a tale fine, la geolocalizzazione.
COGNOME aveva accettato di provvedervi, in quanto aveva la disponibilità di un’automobile e nessun tassista con cui aveva cercato contatti si era reso disponibile al servizio.
Sulla base di tale compendio, era stata affermata la responsabilità, per quanto di interesse, nei confronti di COGNOME per concorso nel reato ascritto.
1.2. La Corte di appello, rigettando la doglianza con la quale si domandava l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del reato contestato, ha osservato, in primis, che non vi era prova della asserita buona fede di COGNOME, argomentata dalla difesa sulla base del fatto che, nella sua convinzione, si sarebbe trattato di accompagnare in Italia alcuni parenti di Ahmadzai.
Inoltre, non vi sarebbe stata prova del collegamento con organizzatori stranieri, né che della finalità di lucro sottesa all’operazione.
Con riferimento alla disponibilità, in capo agli stranieri, della richiesta di protezione internazionale, ha aggiunto che, secondo la disciplina al tempo vigente (d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251; d.lgs.28 gennaio 2008, n. 25; d.lgs.
12 gennaio 2015, n. 21), tale domanda, finalizzata ad ottenere il diritto di asilo a tutela della vita e della sicurezza dei soggetti che si allontanano dallo Stato in caso di pericolo per i beni di rilevanza costituzionale, non autorizza chi l’abbia avanzata, nelle more e fino al completamento della procedura, a fare ingresso nel Paese straniero. È stata conseguentemente confermata la sussistenza, sotto il profilo materiale, del delitto in contestazione.
La Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il profilo soggettivo del reato, posto che non era in alcun modo emerso che i migranti avessero informato gli imputati circa la richiesta di protezione internazionale, di cui si era fatto cenno soltanto in sede di giudizio abbreviato e con i motivi di appello.
Priva di riscontro probatorio si rivelava, inoltre, la asserzione di COGNOME che pretendeva di essersi recato in Slovenia al fine di prelevare prossimi congiunti del coimputato NOMECOGNOME circostanza smentita dalle dichiarazioni di quest’ultimo.
È stata ritenuta priva di consistenza la tesi, introdotta da NOMECOGNOME circa la segnalazione, per tramite di un amico di nazionalità turca di ignota identità, della necessità di aiutare una donna incinta, madre del supposto amico, rivelandosi, la decisione di entrare in Italia invece che restare in Turchia dove, in tesi, sarebbe stato presente il figlio maggiore della donna, scelta non comprensibile alla luce delle emergenze processuali, oltre che di dubbia razionalità e, in definitiva, fantasiosa.
La Corte ha inoltre ribadito che il trasporto effettuato da COGNOME su richiesta di COGNOME presentava caratteristiche di pericolosità che escludono la buona fede degli imputati, trattandosi di trasportare in territorio italiano cinque stranieri clandestini, uno dei quali era una donna gravida, a bordo di un’automobile a bordo della quale, a stento, erano riusciti ad introdursi.
All’evidenza, le caratteristiche dell’operazione si rivelavano indicative di un trasporto in ambito illegale, favorito dalla condotta consapevole e volontaria degli imputati.
Sono stati respinti anche i motivi di appello circa l’insussistenza della finalità di lucro, provata sulla base delle dichiarazioni dei clandestini, i quali hanno riferito di avere pagato la somma pro capite di euro 2.500,00 o 2.700,00 pro capite, al fine di fare ingresso sul territorio, non essendovi prova alcuna circa l’asserita natura amicale o parentale dell’agevolazione dell’ingresso, posto che gli stranieri neppure si conoscevano tra loro ed erano di diverse nazionalità.
È stato altresì rigettato il motivo di censura con il quale, in riferimento alla donna gravida, si domandava l’applicazione della causa di giustificazione dello stato di necessità, non risultando provato che ella si fosse trovata, fin dall’inizio del trasporto, in condizione di salute integrante pericolo per la vita o per l’integrità.
La Corte di appello ha infine respinto le doglianze relative alla richiesta di esclusione delle contestate e ritenute aggravanti, come è stata rigettata la richiesta di riconoscimento, in favore di COGNOME, della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., sul rilievo della essenzialità del suo contributo, consistito nel trasporto dei clandestini nella fase finale del viaggio, con la propria autovettura, ai fini della riuscita dell’operazione.
Ha invece accolto la richiesta di riduzione della pena irrogata, come ritenuta di giustizia.
Con ricorso sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la difesa di Teslari articola due motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge, segnatamente, dell’art. 12 d.lgs. n. 286 del 1998, in relazione all’art. 606 lett. b) cod. proc pen., e/o motivazione illogica e/o contradditoria, travisamento della prova in relazione all’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
Il ricorrente si duole del travisamento dell’impianto probatorio, adducendone, altresì, la carenza.
In tale prospettiva, censura le massime di esperienza, poste a fondamento del ragionamento svolto in primo grado -segnatamente, le caratteristiche di pericolosità del trasporto e l’utilizzo di valico secondario, indicative, in tesi, dell’assenza di buona fede dell’imputato – e condivise dalla Corte di appello, trascurando, contraddittoriamente, di considerare che l’ingresso sul territorio nazionale era avvenuto in orario diurno e attraverso un valico regolare, apparendo tale condotta, in realtà, contrastare con la valutazione di pericolosità.
Lamenta l’esclusa rilevanza, ai fini della buona fede del ricorrente, dei documenti attestanti il promuovimento della domanda di protezione internazionale da parte dei cittadini stranieri, che, a buon titolo poteva essere ritenuta, nel giudizio di persona inesperta quale l’imputato, titolo giustificativo per l’ingresso sul territorio nazionale.
Secondo il ricorrente, sarebbe inoltre apodittica l’affermazione secondo cui COGNOME era giunto in Slovenia – dove aveva incontrato gli stranieri «dopo un contatto tra uno dei clandestini e l’organizzatore turco», alla luce dell’assenza di prova di tali contatti e della mancata identificazione del collaboratore straniero.
Si duole, inoltre, della valutazione di attendibilità riservata al coimputato COGNOME nella parte in cui egli avrebbe chiesto a COGNOME di recarsi in Slovenia per prelevare la madre di un suo amico residente in Turchia, diversamente da quanto riferito dallo stesso COGNOME, il quale aveva invece parlato di una richiesta di aiuto volta a prelevare un gruppo di parenti, mancando riscontri estrinseci ed individualizzanti rispetto alle dichiarazioni del coimputato che, in definitiva, non varrebbero ad escludere la buona fede dell’odierno ricorrente.
In conclusione, non potrebbe ritenersi raggiunta la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, né dell’esistenza di una organizzazione volta a promuovere l’organizzazione clandestina, né di un incontro preliminare in tale senso, né dell’elemento soggettivo del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge (art. 12, comma 3, lett. a), d), art. 12, comma 3-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, art. 114 cod. pen.) in relazione all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., e/o motivazione illogica e/o contradditoria, travisamento della prova in relazione all’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
In subordine, protesta la mancata esclusione delle aggravanti contestate, con conseguente derubricazione del reato nella fattispecie di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. cit., ed il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.
Con riferimento alla aggravante di cui all’art. 12, comma 3-ter, d.lgs. cit., non vi sarebbe prova di una organizzazione, a ritenerne l’esistenza, volta a sfruttare, per finalità lucrative, l’ingresso dei clandestini.
Mancherebbero risultanze circa contatti tra COGNOME e colui che, in Turchia, avrebbe ricevuto denaro a titolo di transito e ausilio al trasporto delle persone, non vi sarebbe traccia di profitto in capo al ricorrente e sarebbe congetturale il ragionamento della Corte territoriale (pag. 9) nel ricostruire la sussistenza del dolo di profitto; la natura soggettiva dell’aggravante osterebbe, inoltre, all’operatività rispetto ai concorrenti che non ne abbiano avuto contezza.
Contesta, parimenti, il ragionamento della Corte in ordine all’inoperatività dell’art. 54 cod. pen. – di cui si invocava il riconoscimento per le condizioni della
donna gravida, ricoverata, a riprova del precario stato di salute, presso un nosocomio cittadino – e, infine, dell’art. 114 cod. pen., in relazione all’asserita mancanza di prova circa l’iniziativa da parte dell’imputato, di difetto di utilità dal medesimo conseguita, e comunque di una condotta tenuta nel solo segmento finale dell’azione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere pertanto rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello, con motivazione esauriente, priva di lacune e tutt’altro che illogica, ha ricostruito la vicenda secondo una armonica e puntuale architettura, in continuità argomentativa rispetto alla sentenza di primo grado e così ritenendo infondato il motivo di appello, per tramite del quale si adduceva la assenza di dolo in capo all’odierno ricorrente.
Orbene, le ragioni, in fatto e in diritto, poste a fondamento della decisione appaiono ineccepibili.
È incontestata l’avvenuta introduzione degli stranieri sul territorio nazionale e risulta congruente la motivazione delle due sentenze di merito, dalle quali emerge che Teslari ha provveduto in tale senso.
1.2. Diversamente da quanto lamenta il ricorrente, appare congrua e priva di illogicità la motivazione, nella parte in cui sottolinea che COGNOME si era portato in Slovenia, dove aveva caricato in automobile gli stranieri dopo il contatto avvenuto tra uno di costoro e l’organizzatore dell’operazione, di nazionalità turca, elemento che emerge (pag. 8) dalle dichiarazioni rese dalle persone introdotte sul territorio, le quali hanno riferito, per l’appunto, che COGNOME era giunto sul luogo in cui erano in attesa, dopo la segnalazione effettuata, in proposito, dall’organizzatore turco che aveva favorito il viaggio fino alla Slovenia.
Del resto, la Corte ha evidenziato l’incongruità della versione del ricorrente, sia in relazione a quanto riferito dagli stranieri, sia in relazione all versione del coimputato, che aveva smentito la tesi di Teslari.
1.3. In ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, è stata altresì valorizzata la circostanza, esclusa dal coimputato stesso, che, diversamente da quanto ha sostenuto, gli stranieri fossero parenti di Ahmadzai, come ha escluso, con argomenti esaurienti, logici e privi di contraddizioni, la pretesa rilevanza della disponibilità di una carta relativa alla richiesta di protezione internazionale, profilo che, come evidenzia la Corte, è stato genericamente introdotto soltanto
nelle dichiarazioni spontanee davanti al giudice risultando quindi inconsistente, ai fini della pretesa influenza della documentazione sull’elemento soggettivo del reato. E, analogamente, è stato sottolineato, con argomenti di cristallina lucidità, come le modalità dell’introduzione sul territorio nazionale degli stranieri, tramite il valico di Plavje, erano indicative della consapevolezza della illegalità dell’operazione, alla luce di una valutazione che, fondata sui caratteri fattuali dell’operazione, in quanto non illogica e congrua rispetto alle emergenze processuali, si sottrae al giudizio di legittimità di questa Corte.
1.4. La decisione non presenta le lamentate aporie neppure laddove ha congruamente ritenuta inverosimile la versione di Teslari, secondo cui il denaro sarebbe stato consegnato a titolo di rimborso spese, come è stato correttamente ritenuto non provato il rapporto di parentela dei clandestini e NOMECOGNOME di cui il coimputato ha smentito l’esistenza.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto aspecifico e generico, non confrontandosi con l’articolato percorso motivazionale apprestato dalla decisione impugnata e adducendo, con affermazioni a carattere generale, sganciate dalla motivazione, l’insussistenza delle circostanze aggravanti e l’inoperatività della causa di giustificazione di cui all’art. 54 cod. pen.
2.1. A fronte di indicazioni motivazionali puntuali ed ancorate alle risultanze istruttorie, sono state ravvisate le aggravanti del numero di persone introdotte sul territorio nazionale e della finalità di profitto, della cui applicazion il ricorrente si duole con censure generiche, non correlate alla motivazione apprestata nelle fasi di merito che la difesa si limita a contestare mediante considerazioni puramente congetturali, che omettono di confrontarsi con la sentenza la quale, ricostruendo la dinamica dell’operazione, ha correttamente ravvisato la sussistenza delle aggravanti in oggetto.
2.2. Analoga sorte segue il tema dello stato di necessità, cui si riserva, a sostegno, l’affermazione, a tale insignificante, secondo cui la donna gravida era successivamente stata ricoverata in una struttura ospedaliera (pag. 12 del ricorso), circostanza che introduce un elemento genericamente evocativo di condizioni di salute non ideali, per cui il motivo di ricorso è inammissibile.
2.3. In ordine alla importanza del contributo do,COGNOME nel compimento dell’operazione, la Corte territoriale ha illustrato logicamente e congruamente le relative ragioni, avendo costui consentito, grazie alla sua opera, di portare a compimento l’introduzione sul territorio nazionale, che, diversamente, non sarebbe stata possibile. Anche sotto tale profilo, il motivo dì ricorso è
inammissibile, invocando una lettura alternativa e congetturale dei fatti, non ammessa in sede di legittimità.
3. Ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 giugno 2025.