Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46783 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46783 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 04/03/1972 NOME COGNOME nato il 07/01/1976 COGNOME NOMECOGNOME nato il 23/03/1981 COGNOME nato il 24/07/1956
avverso la sentenza emessa il 27/10/2023 dalla Corte di appello di Potenza visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi; udite, nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi; udite, nell’interesse degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 novembre 2018 il Tribunale di Matera, per quanto di interesse ai presenti fini, giudicava NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME emettendo nei loro confronti le seguenti statuizioni.
L’imputato NOME COGNOME veniva riconosciuto colpevole del reato ascrittogli al capo 5 (artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a) e d), e comma 3-ter, lett. b), comma 5, d.lgs. 26 giugno 1998, n. 286 – T.U. imm.), e, applicate le attenuanti generiche, veniva condannato alla pena di quattro anni, sei mesi di reclusione e 100.000,00 euro di multa.
L’imputato NOMECOGNOME ritenuto il reato di cui al capo 5 assorbito in quello di cui al capo 3 (artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a) e d), e comma 3-ter, lett. b), comma 5, T.U. imm.), veniva riconosciuto colpevole del delitto ascrittogli, e, applicate le attenuanti generiche, veniva condannato alla pena di quattro anni, sei mesi di reclusione e 300.000,00 euro di multa.
L’imputato NOME COGNOME ritenuto il reato di cui al capo 4 assorbito in quello di cui al capo 5 (artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a) e d), e comma 3-ter, lett. b), comma 5, T.U. imm.), veniva riconosciuto colpevole del delitto ascrittigli, e, applicate le attenuanti generiche, veniv condannato alla pena di quattro anni, sei mesi di reclusione e 300.000,00 euro di multa.
L’imputato NOME COGNOME veniva ritenuto colpevole dei reati ascrittigli ai capi 2 e 5 (artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a) e d), e comma 3-ter, lett. b), comma 5, T.U. imm.), unificati dal vincolo della continuazione, e, applicate le attenuanti generiche, veniva condannato alla pena di quattro anni, sette mesi di reclusione e 500.000,00 euro di multa.
Tutti gli imputati, infine, venivano condannati alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali.
Con sentenza del 27 ottobre 2023 la Corte di appello di Potenza, per quanto di interesse ai presenti fini, pronunciandosi sulle impugnazioni degli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME confermava la decisione impugnata e condannava gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Dalle sentenze di merito, pienamente convergenti, emergeva che i ricorrenti ponevano in essere le attività illecite rispettivamente ascrittegli ai ca
2, 3 e 5, finalizzate a consentire l’ingresso illegale nel territorio italiano cittadini extracomunitari provenienti dal subcontinente indiano, ai quali, dietro la corresponsione di somme di importo variabile, veniva procurata la documentazione occorrente per il loro trasferimento in Italia.
Occorre, in proposito, precisare che l’ipotesi delittuosa di cui al capo 2 veniva contestata al solo NOME COGNOME; l’ipotesi delittuosa di cui al capo 3 veniva contestata al solo NOME COGNOME; infine, l’ipotesi delittuosa di cui al capo 5 veniva contestata a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Deve evidenziarsi ulteriormente che le indagini, come riferito dal mar. NOME COGNOME all’udienza del 20 aprile 2017, celebrata davanti al Tribunale di Matera, traevano origine dagli accertamenti eseguiti dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Bergamo, che monitorava le attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina poste in essere da Surjit lam in collegamento con alcuni soggetti di nazionalità italiana, tra cui NOME COGNOME Nel corso di tali accertamenti, che si sviluppavano attraverso l’attivazione di un servizio di intercettazione telefonica, che coinvolgeva lo stesso Jam e altri soggetti, emergeva il coinvolgimento di alcuni imprenditori agricoli operanti nel materano, che comportava lo stralcio di una parte degli atti processuali, che venivano trasmessi, per competenza, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza, dando origine al presente procedimento.
In questa cornice processuale, le attività illecite oggetto di contestazione, ascritte agli odierni ricorrenti, ai capi 2, 3 e 5, ai sensi degli artt. 81, seco comma, 110 cod. pen., 12, comma 3, lett. a) e d), e comma 3-ter, lett. b), comma 5, T.U. imm., venivano realizzate attraverso una metodologia operativa consolidata – elaborata da NOME COGNOME nei cui confronti non si procede in questa sede -, che prevedeva il raccordo tra i cittadini extracomunitari provenienti dal subcontinente indiano che volevano trasferirsi in Italia e i titolar delle aziende agricole disposti ad assumere fittiziamente i lavoratori stranieri dietro un corrispettivo in denaro.
Sotto il profilo amministrativo, l’ingresso dei cittadini extracomunitari veniva realizzato attraverso la presentazione, presso lo sportello unico per l’immigrazione territorialmente competente, di istanze supportate da una documentazione falsa, finalizzata a consentire l’assunzione stagionale di lavoratori stranieri, ai quali, ottenuto il nulla osta, l’autorità prefettizia rilas il permesso di soggiorno dall’autorità prefettizia.
Deve precisarsi che lo sportello unico per l’immigrazione è la struttura, attiva in ogni prefettura, competente per il rilascio del nulla osta all’assunzione per lavoro subordinato, determinato, indeterminato e stagionale, ai cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero, che possono trasferirsi in Italia ne
GLYPH
rispetto della quota nazionale di ingressi autorizzati. A sua volta, il datore di lavoro, attraverso la procedura telematica attivabile telematicamente presso il sito del Ministero dell’Interno, chiede il nulla osta allo sportello unico pe l’immigrazione, competente in relazione al territorio provinciale nel quale si deve svolgere l’attività lavorativa, che viene rilasciato acquisiti i pareri della questu e della direzione territoriale.
Deve, però, evidenziarsi che, al rilascio del permesso di soggiorno non corrispondeva la stipula di un effettivo contratto di lavoro con i cittadin extracomunitari, con la conseguenza che la procedura di assunzione attivata presso lo sportello unico dell’immigrazione era sorretta da un intento fraudolento, essendo esclusivamente finalizzata a eludere la normativa vigente in materia di immigrazione.
In questo contesto, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella loro qualità di imprenditori agricoli, titolari della RAGIONE_SOCIALE, provvedevano a richiedere l’assunzione stagionale dei cittadini extracomunitari, che, in realtà, non venivano mai assunti; mentre, NOME COGNOME e NOME COGNOME provvedevano a contattare gli immigrati provenienti dal subcontinente indiano, che intendevano trasferirsi in Italia, grazie al rilascio del permesso di soggiorno, per ottenere il quale corrispondevano una somma mediante il sistema postepay.
A sostegno di questa ricostruzione degli eventi criminosi si richiamavano le intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che costituivano il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti degli odierni ricorrenti. Tali captazioni, registrate tra l’ottobre del 2011 e il gennaio d 2012, permettevano di monitorare le condotte degli imputati e dei correi, dimostrando il loro coinvolgimento nella realizzazione delle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ascrittegli ai capi 2, 3 e 5, poste in essere nel contesto del modus operandi, ampiamente consolidato, del quale si è detto.
Si richiamavano, al contempo, gli esiti degli accertamenti eseguiti dai militari della Compagnia della Guardia di Finanza di Policoro presso la RAGIONE_SOCIALE, amministrata da NOME COGNOME e NOME COGNOME da cui emergeva che gli imputati, nello svolgimento della loro attività imprenditoriale, impiegavano quasi esclusivamente manodopera italiana e che la gran parte dei lavoratori extracomunitari, per i quali erano state inoltrate le domande finalizzate alla concessione del permesso di soggiorno, non erano mai stati avviati al lavoro nella loro azienda.
Non si ritenevano, per converso, credibili le giustificazioni addotte da alcuni imputati, tra cui NOME COGNOME e NOME COGNOME che riferivano di essersi attivat tramite gli organismi associativi che rappresentavano, per scopi esclusivamente
umanitari, essendo mossi dall’intento di aiutare gli immigrati provenienti dal subcontinente indiano a trovare un lavoro nel nostro Paese; aiuto in cambio del quale i lavoratori extracomunitari corrispondevano somme di denaro che coprivano le sole spese sostenute dai due soggetti.
Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME riconosciute le attenuanti generiche, venivano condannati, per i reati rispettivamente ascrittigli, ai capi 2, 3 e 5, alle pene di cui in premessa.
Avverso la sentenza di appello gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano ricorso per cassazione, con atti di impugnazione che devono essere esaminati separatamente.
4.1. L’imputato NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando quattro censure difensive.
Con i primi due motivi di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di responsabilità formulato nei confronti di COGNOME per il reato di cui al capo 5, che si fondava su una valutazione illogica dell’unica intercettazione acquisita, registrata il 31 novembre 2011, alle ore 21.38, che non convergeva sulla posizione del ricorrente, essendo i suoi rapporti con NOME COGNOME e con i cittadini extracomunitari con cui era entrato in contatto giustificati da finalità esclusivamente umanitarie.
Né si era tenuto conto, nel formulare il giudizio di colpevolezza censurato, della previsione dell’art. 52, par. 1, CFUE, che avrebbe imposto la sospensione del procedimento – richiesta ma respinta dalla Corte di appello di Potenza -, attesa la contestuale pendenza del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, disposto dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 17 luglio 2023, ex art. 267 TFUE, che riguardava lo stesso tema sollevato dal ricorrente nel giudizio di appello, concernente le ipotesi in cui le condotte illecit di cui all’art. 12 T.U. imm. non sono caratterizzate dal perseguimento di obiettivi lucrativi ma da finalità umanitarie.
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di merito dato adeguato conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME che traeva origine da un’illogica valutazione dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo 5, atteso che l’imputato si era limitato ad assistere i cittadini extracomunitari con cui era entrato in contatto,
per ragioni umanitarie, allo scopo di farli assumere lavorativamente, per consentirne l’ingresso legale in Italia.
Con il quarto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della decisione impugnata, che veniva censurata per l’eccessività dosimetrica, non avendo la Corte territoriale dato opportuno conto, pur avendo riconosciuto a COGNOME le attenuanti generiche, del modesto disvalore dei suoi comportamenti criminosi, che, valutati comparativamente con quelli dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, rendeva evidente l’incongruità della pena irrogata all’imputato.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
4.2. L’imputato NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando quattro censure difensive, che appaiono parzialmente sovrapponibili a quelle prospettate dallo stesso difensore nell’interesse di NOME COGNOME
Con i primi due motivi di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che – anche alla luce dell’art. 52, par. 1, CFUE e del rinvio pregiudiziale effettuato dal Tribunale di Bologna alla Corte di giustizia dell’Unione europea con ordinanza del 17 luglio 2023, già citato – imponevano la conferma del giudizio di responsabilità espresso nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 3, che si riteneva fondato su un’illogica valutazione delle intercettazioni acquisite nei suoi confronti e delle ragioni per cui aveva contattato NOME COGNOME
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di responsabilità nei confronti di NOME, che traeva origine da un’incongrua valutazione dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo 3, atteso che l’imputato si era limitato ad attivarsi presso NOME COGNOME allo scopo di fare assumere il fratello da un’azienda italiana, pur non riuscendovi, animato da intenti esclusivamente umanitari.
Con il quarto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della decisione impugnata, che veniva censurata per l’eccessività dosimetrica, non avendo la Corte territoriale dato opportuno conto, pur avendo riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche, del modesto disvalore delle sue condotte, che, alla luce delle pene irrogate ai coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, rendeva evidente l’incongruità del trattamento sanzionatorio.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
4.3. Gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME proponevano congiuntamente ricorso per cassazione, articolando un’unica censura difensiva.
Con questa doglianza si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 2 e 5 – il primo dei quali contestato al solo COGNOME -, ch si fondava su un’incongrua valutazione del compendio probatorio, incentrato sulle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, al quale ci s riferiva attraverso richiami, meramente assertivi, alle conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale di Matera.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti dagli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME devono ritenersi infondati.
In via preliminare, deve rilevarsi che le posizioni degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere esaminate separatamente, pur essendo indispensabile, in relazione agli aspetti di censura della sentenza impugnata comuni ai vari ricorsi, richiamare i principi di carattere generale che ne consentono un corretto inquadramento sistematico, alla luce dei parametri ermeneutici di questa Corte.
2.1. In questa cornice, occorre soffermarsi preliminarmente sul tema del vizio del travisamento dell’atto ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con specifico riferimento al compendio probatorio costituito dalle intercettazioni, telefoniche e ambientali, acquisite nel corso delle indagini preliminari, al quale fanno riferimento – con varietà di posizioni argomentative – la gran parte degli atti di impugnazione presentati nell’interesse dei ricorrenti.
Ci si riferisce al compendio probatorio costituito dalle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari, che venivano richiamate nelle sentenze di merito, mediante citazioni testuali dei passaggi salienti di tali conversazioni, con riferimento alle verifiche processuali svolte in relazione alle varie ipotes delittuose oggetto di contestazione.
In tale ambito, deve rilevarsi che il controllo di legittimità sul vizio manifesta illogicità della motivazione viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretazione delle p siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti processuali. Ne consegue che, nella verifica della fondatezza dei motivi di ricorso formulati ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., giudice di legittimità non deve accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, proprie del giudizio di merito, m soltanto stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione e fornito esauriente risposta alle deduzioni delle partì.
Pertanto, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento impugnato sia manifestamente carente sul piano motivazionale o logico, per cui non può essere ritenuto legittimo opporre alla valutazione dei·fatti contenuta nella decisione una diversa e alternativa ricostruzione degli stessi, ancorché altrettanto logica, perché in tal caso verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito, come affermato dalle Sezioni Unite in un risalente e insuperato arresto giurisprudenziale (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945 – 01).
Infatti, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non è funzionale a stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento giurisdizionale (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255304 – 01; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, COGNOME, Rv. 230568 – 01; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, COGNOME, Rv. 230568 – 01).
2.1.1. Passando a considerare il tema del vizio di travisamento dell’atto processuale, deve osservarsi che, a seguito delle modifiche della disposizione dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. da parte dell’art. 8 legge 20 febbraio 2006, n. 46, mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, per effetto della preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la sua valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei sottostanti giudizi, deve ritenersi consentita la deduzione del vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito fondi il proprio convincimento giurisdizionale su una prova che non esiste o su un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, atteso che, in tal caso, non si tratta
di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini del decisione, ma di verificare se tali elementi sussistano (tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, COGNOME, Rv. 236893 – 01; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, COGNOME, Rv. 234559 – 01).
In questa cornice, si deve ulteriormente rilevare che, in tema di valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche o ambientali, gli indizi raccolti in ta ambito possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza dell’imputato e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano gravi, precisi e concordanti, fermo restando che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle singole conversazioni costituisce una questione di fatto, che è rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità, se motivata in conformità ai criteri della logica giudiziar e delle massime di esperienza, alla verifica dei quali questo Collegio si deve attenere scrupolosamente (tra le altre, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164 – 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01).
Ne discende che non è possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto delle intercettazioni in sede di legittimità, essendo una tale operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente al seguente principio di diritto: «In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza dell motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01).
Questa posizione ermeneutica, da ultimo, è stata ribadita dalle Sezioni Unite, che, in tema di interpretazione delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni, hanno affermato il seguente principio di diritto: «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Passando a considerazione i singoli atti di impugnazione, deve ritenersi infondato il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolato in quattro censure difensive.
3.1. Devono anzitutto ritenersi infondati i primi due motivi di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di responsabilità formulato nei confronti di COGNOME per il reato di cui a capo 5, che si fondava su una valutazione illogica dell’unica intercettazione acquisita – registrata il 13 novembre 2011, alle ore 21.28 tra l’imputato e NOME COGNOME che non convergeva sulla posizione del ricorrente e si connotava per la sua ambiguità probatoria.
Si deduceva, al contempo, che i rapporti del ricorrente con NOME COGNOME erano giustificati da finalità rilevanti ex art. 52, par. 1, CFUE, che avrebbero imposto la sospensione del procedimento, pur richiesta, attesa la pendenza del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, disposto dal Tribunale di Bologna, con ordinanza del 17 luglio 2023, che riguardava lo stesso tema sollevato nel giudizio di appello, concernente le ipotesi in cui le condotte illecite di cui all’art. 12 T.U. imm. non sono giustificate da scopi di lucro ma da fini umanitari.
Osserva, in proposito, il Collegio che il nucleo essenziale del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 5, trae origine dalle captazioni esaminate nelle pagine 37 e 38 della sentenza di primo grado, registrate nell’arco temporale compreso tra il 12 novembre 2011 e il 20 novembre 2011.
Tra queste captazioni, si ritiene opportuno richiamare, seguendo l’ordine di esposizione contenuto nella nota n. 81 del provvedimento decisorio di primo grado, l’intercettazione n. 145 del 12 novembre 2011, ore 13.16, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina 37; l’intercettazione n. 346 del 13 novembre 2011, ore 21.28, registrata tra gli stessi COGNOME e COGNOME citata nelle pagine 37 e 38; il messaggio n. 2368 del 20 novembre 2011, ore 11.17, registrato tra i medesimi soggetti, citato a pagina 38.
Di queste intercettazioni, che si sviluppavano lungo nove giorni, la Corte di appello di Potenza, in linea con le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Matera, forniva un’interpretazione ineccepibile, inserendole in un compendio probatorio che consentiva di ritenere dimostrati e risalenti nel tempo i rapporti di cointeressenza illecita tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; cointeressenza finalizzata a pianificare l’ingresso illegale nel territorio italiano degli immigr
provenienti dal subcontinente indiano che chiedevano al ricorrente di entrare nel nostro Paese.
La consapevolezza di NOME, a ben vedere, emerge chiaramente dalla captazione n. 2368 del 20 novembre 2011, rappresentata da un messaggio con cui il ricorrente riferiva a NOME COGNOME di essere interessato a ottenere il null osta per alcuni immigrati che lo avevano contattato per trasferirsi in Italia, previa assunzione quali lavoratori subordinati o stagionali, impegnandosi a corrispondere alla sua interlocutrice le somme di denaro richieste, accreditandogliele con il sistema postepay.
L’atteggiamento pienamente consapevole del ricorrente, al contempo, rende privi di rilievo i richiami, effettuati nel secondo motivo di ricorso, ex art. 52, par. 1, CFUE, al ruolo svolto dall’imputato quale presidente della “Associazione religiosa indiana” e alle finalità esclusivamente umanitarie per le quali si era messo in contatto con NOME COGNOME
A sostegno del richiamo all’art. 52, par. 1, CFUE la difesa del ricorrente richiamava il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, effettuato dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 17 luglio 2023, che appare eccentrico rispetto alle ragioni poste a fondamento del giudizio di colpevolezza espresso nei confronti di COGNOME che postulano l’esclusione delle finalità umanitarie invocate dal suo difensore, atteso lo «scopo di lucro pacificamente ricorrente nel processo in esame», richiamato a pagina 5 della sentenza impugnata.
L’eccentricità del riferimento all’art. 52, par. 1, CFUE, del resto, appare confermata dal riferimento esplicito compiuto da COGNOME al pagamento – che doveva essere effettuato tramite postepay delle somme occorrenti per il rilascio del permesso di soggiorno ai lavoratori extracomunitari. Tale forma di pagamento, infatti, si inseriva nel modus operandi consolidato attraverso il quale veniva realizzato il trasferimento illegale degli immigrati nel territorio italiano conclusione della Procedura attivata presso lo sportello unico per l’immigrazione competente.
Lo stesso imputato, peraltro, sentito in dibattimento, ammetteva di essersi messo in contatto con NOME COGNOME per il rinnovo dei passaporti e dei permessi di soggiorno di alcuni stranieri che conosceva, in conseguenza dei quali le corrispondeva alcune somme, pur non fornendo alcuna spiegazione plausibile sulle ragioni per cui avrebbe dovuto trasmettere alla sua interlocutrice, tramite posta elettronica, i nominativi di immigrati da fare assumere quali lavoratori stagionali o subordinati.
Né è possibile reinterpretare le captazioni acquisite nei confronti di NOME COGNOME nella direzione invocata dal suo difensore, in ragione del fatto che,
attraverso tale richiesta, ci si limita a proporre, , peraltro in termini generici e contrastanti con le emergenze probatorie, un’operazione di ermeneutica processuale non consentita in sede di legittimità, per le ragioni su cui ci si è diffusamente soffermati nei paragrafi 2.1 e 2.1.1, cui occorre rinviare (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, cit.; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, cit.).
Ricostruito in questi termini il ruolo svolto da NOME COGNOME nelle operazioni illecite che gli vengono contestate al capo 5, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni alle quali perveniva la Corte di appello di Potenza, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 4 della sentenza impugnata, evidenziava che, tenuto conto del tenore delle captazioni acquisite, appariva «inverosimile la ricostruzione prospettata dalla difesa del prevenuto nell’atto di appello proposto in continuità con le giustificazioni fornite nel dibattimento di primo grado dal medesimo imputato, secondo cui questi, quale presidente di una associazione religiosa all’interno della comunità indiana operante nel bergamasco, avrebbe intrattenuto rapporti con la COGNOME poiché responsabile del gruppo Europa, al fine di aiutare i propri connazionali a trovare un lavoro in Italia dietro rimborso delle spese vive sostenute dalla donna per la gestione logistica delle pratiche amministrative sul territorio nazionale».
3.1.1. Non può, infine, assumere rilievo, nella direzione prospettata dalla difesa del ricorrente, l’assenza di prova del raggiungimento del risultato illecito perseguito – consistente nel trasferimento in Italia dei lavoratori extracomunitari -, dovendosi, in proposito, evidenziare che, per la configurazione del reato contestato a Singh al capo 5, non è necessario che si realizzi l’evento dell’ingresso dello straniero in un altro Stato.
Queste conclusioni derivano dalla natura di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 12 T.U. imm., costantemente affermata da questa Corte, secondo cui: «In tema di disciplina dell’immigrazione, il delitto di cui all’art. 12 d.lgs. luglio 1998, n. 286, per la sua natura di reato di pericolo, si perfeziona per il solo fatto che l’agente pone in essere, con la sua condotta, una condizione, anche non necessaria, teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato, ed indipendentemente dal verificarsi dell’evento» (Sez. 1, n. 28819 del 22/05/2014, COGNOME, Rv. 259915 – 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 40264 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259922 – 01).
Dalla natura di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 12 T.U. imm discende che, ai fini del suo perfezionamento, non occorre che l’imputato realizzi la condizione necessaria a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato straniero, rispetto alla quale non assume rilievo, al contrario di quando dedotto
dalla difesa del ricorrente, la prova del raggiungimento dell’obiettivo illecit perseguito. È, infatti, sufficiente che l’agente ponga in essere, con il suo comportamento criminoso, una condizione teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale degli stranieri idonea a integrare la situazione di pericolo, che costituisce l’oggetto giuridico della fattispecie (tra le altre, Sez. n. 16120 del 29/03/2012, Cosenza, Rv. 253209 – 01; Sez. 1, n. 20883 del 21/04/2010, Yaqub, Rv. 247421 – 01).
3.1.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso esaminati congiuntamente.
3.2. Dall’infondatezza dei primi due motivi di ricorso discende l’infondatezza del terzo motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di merito dato adeguato conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME che traeva origine da un’illogica valutazione dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo 5, atteso che l’imputato si era limitato ad aiutare i cittadini extracomunitari con cui era entrato in contatto, all scopo di farli assumere lavorativamente, per consentirne l’ingresso legale in Italia.
Si tratta, a ben vedere, di una doglianza che, presupponendo la rivalutazione complessiva del compendio probatorio – con particolare riferimento alla consapevolezza delle operazioni illecite svolte dal ricorrente d’intesa con NOME COGNOME -, veniva prospettata in termini sostanzialmente assimilabili ai primi due motivi di ricorso, passati in rassegna nel paragrafo 3.1, al quale occorre rinviare per la disamina delle ragioni che impongono di ritenerla infondata.
Non può, invero, dubitarsi della consapevolezza di NOME COGNOME delle modalità con cui NOME COGNOME gestiva le procedure di assunzione dei lavoratori extracomunitari, presentate presso lo sportello unico dell’immigrazione competente, finalizzati a consentire l’ingresso illegale nel territorio italiano cittadini stranieri provenienti dal subcontinente indiano, dietro la corresponsione di somme di denaro, alle quali il ricorrente, peraltro, fa espressamente riferimento nelle captazioni richiamate nel paragrafo 3.1.
A tali, pur dirimenti, considerazioni deve aggiungersi che l’ipotesi alternativa, prospettata in termini ipotetici dalla difesa di NOME COGNOME finalizza a ribadire la natura umanitaria dei suoi interventi, finalizzati a facilitare l’ingre di cittadini stranieri, oltre che smentita dalle evidenze probatorie che si sono già richiamate, si sarebbe inevitabilmente posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al
dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252066 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, COGNOME, Rv. 272995 – 01; Sez. 6, n. 36430 del 28/05/2014, Schembri, Rv. 260813 – 01).
Questo orientamento, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che si attaglia perfettamente al caso di specie, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: «Nella valutazione probatoria giudiziaria – così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) – è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinché il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, Rv. 230873 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220 – 01; Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, COGNOME, Rv. 228401 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
3.3. Deve, infine, ritenersi inammissibile il quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della decisione impugnata, che veniva censurata per l’eccessività dosimetrica, non avendo la Corte territoriale dato opportuno conto, pur avendo riconosciuto a COGNOME le attenuanti generiche, del modesto disvalore dei suoi comportamenti criminosi, così come contestati al capo 5, che, valutati comparativamente con quelli degli originari coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME rendeva evidente l’incongruità della pena irrogata all’imputato.
Osserva il Collegio che la pena inflitta a NOME COGNOME, quantificata in quattro anni, sei mesi di reclusione e 100.000,00 euro di multa, discendeva da una valutazione ineccepibile dei fatti di reato contestati al capo 5, che apparivano vagliati dalla Corte territoriale nel rispetto dei parametri dosimetrici previs dall’art. 133 cod. pen., tenuto conto delle connotazioni, oggettive e soggettive, delle condotte illecite poste in essere dal ricorrente, che non consentivano la mitigazione sanzionatoria invocata.
Ne discende che, tenuto conto del contesto nel quale maturava la determinazione criminosa del ricorrente e dell’elevato disvalore dei fatti di reato contestati al capo 5, veniva compiuta una valutazione della vicenda criminosa rispettosa dei parametri dell’art. 133 cod. pen., rispetto ai quali privi di rili appaiono i riferimenti comparativi ai giudizi dosimetrici effettuati nei confronti de coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il giudizio di bilanciamento circostanziale, invero, è rispettoso delle risultanze processuali e conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui tale vaglio può essere censurato in sede di legittimità solo laddove costituisca il risultato di un valutazione dosimetrica arbitraria o di un ragionamento illogico e non anche quando la soluzione adottata rappresenti – come nel caso di Singh l’espressione del potere discrezionale del giudice di merito, atteso che, come affermato da Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450 – 01, le statuizioni «relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione ».
Questo orientamento ermeneutico, a sua volta, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, riconducibile a Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931 – 01, in cui si afferma: «Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto».
Queste ragioni inducono a ritenere infondato il quarto motivo del ricorso in esame.
3.4. Le considerazioni esposte impongono di ritenere infohdato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
Parimenti infondato deve ritenersi il ricorso per cassazione proposto dall’imputato NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolato in quattro censure difensive, parzialmente sovrapponibili a quelle prospettate nell’interesse di NOME COGNOME
4.1. Devono ritenersi infondati i primi due motivi di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato adeguato conto delle ragioni che – anche alla luce dell’art. 52, par. 1, CFUE e del
rinvio pregiudiziale effettuato dal Tribunale di Bologna alla Corte di Giustizia dell’Unione europea con ordinanza del 17 luglio 2023 – imponevano la conferma del giudizio di colpevolezza espresso nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 3, che si riteneva fondato su un’illogica valutazione delle intercettazioni acquisite nei suoi confronti e delle ragioni per cui si era messo in contatto NOME COGNOME
Osserva il Collegio che il nucleo essenziale del giudizio di responsabilità formulato nei confronti di Mehmod trae origine dalle intercettazioni esaminate a pagina 39 della decisione di primo grado, registrate tra il 5 novembre 2011 e il 5 gennaio 2012.
Tra queste captazioni, è opportuno richiamare, seguendo l’ordine di esposizione contenuto nelle note nn. 82 e 83 della decisione di primo grado, l’intercettazione n. 2246 del 5 novembre 2011, ore 13.08, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina 3 . 9; l’intercettazione n. 4064 del 28 dicembre 2011, ore 11.30, registrata tra gli stessi COGNOME e COGNOME citata a pagina 39; l’intercettazione n. 5841 del 5 gennaio 2012, ore 16.29, registrata tra i medesimi soggetti, citata a pagina 39.
Di queste intercettazioni, che si sviluppavano lungo un arco temporale bimestrale, la Corte di merito, in linea con le conclusioni del Tribunale di Matera, forniva un’interpretazione congrua e rispettosa dei parametri ermeneutuci richiamati nei paragrafi 2.1 e 2.1.1, cui si rinvia ulteriormente, inserendole in un compendio probatorio che consentiva di ritenere dimostrati – e non connotati da episodicità – i rapporti intrattenuti dal ricorrente con NOME COGNOME ch appaiono finalizzati a pianificare l’ingresso illegale cittadini stranieri provenien dal subcontinente indiano nel nostro Paese.
L’imputato, del resto, ammetteva di avere contattato NOME COGNOME per consentire l’ingresso del fratello nel territorio italiano, che non andava a buon fine, ma non chiariva per quali ragioni si era offerto di trattare con NOME COGNOME e NOME COGNOME sul prezzo necessario per l’assunzione. Appaiono, in proposito, condivisibili le considerazioni espresse a pagina 39 della sentenza di primo grado, nella quale si osservava: «La delusione e l’imbarazzo della COGNOME per la mancata approvazione della pratica relativa al fratello di NOME, evidenziata sia mel corso dei colloqui sia, in dibattimento non muta il quadro accusatorio, non avendo lo stesso chiarito il significato peraltro inequivoco – delle conversazioni in cui egli si offriva di acquistare i null osta richiesti dagli imprenditori materani, trattando sul prezzo».
Il tenore dei colloqui intrattenuti dal ricorrente con NOME COGNOME per altr verso, rende evidente la consapevolezza delle modalità illecite con cui l’interlocutrice era in grado di fare entrare in Italia i cittadini stranieri proveni
dal subcontinente indiano, attivando una procedura amministrativa corredata da una documentazione falsa. Tutto questo, per le stesse ragioni esposte nel paragrafo 3.1, nell’esaminare i primi due motivi del ricorso di COGNOME, rende incontroversa l’eccentricità del richiamo all’art. 52, par. 1, CFUE, che postula il perseguimento di finalità umanitarie non riscontrabili nel caso in esame.
Non assume, infine, alcun rilievo, nella direzione prospettata dalla difesa del ricorrente, l’assenza di prove dell’effettivo ingresso dei lavoratori stranieri i Italia, dovendosi, in proposito, richiamare in proposito le considerazioni espresse nel paragrafo 3.1, sulla natura di pericolo della fattispecie contestata al capo 3 (Sez. 1, n. 28819 del 22/05/2014, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 40264 del 25/03/2014, COGNOME, cit.).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso esaminati congiuntamente.
4.2. Dall’infondatezza dei primi due motivi di ricorso discende l’infondatezza del terzo motivo, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di responsabilità formulato nei confronti di COGNOME che traeva origine da un’incongrua valutazione dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo 3, atteso che l’imputato si era limitato ad attivarsi presso NOME Saturnino allo scopo di farlo assumere legittimamente da un’azienda italiana, animato da intenti esclusivamente umanitari nei confronti del congiunto.
Si tratta, invero, di una censura difensiva prospettata in termini assimilabili al terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, passato in rassegna nel paragrafo 3.2, al quale occorre rinviare per la compiuta ricognizione delle ragioni che impongono di ritenerla immeritevole di accoglimento.
Non può, in ogni caso, non rilevarsi, in linea con la giurisprudenza richiamata nel paragrafo 3.2 (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, cit.), che l’ipotesi alternativa, prospettata in termini meramente congetturali dalla difesa di NOMECOGNOME oltre che smentita dalle evidenze probatorie richiamate, si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità consolidata, risalante a Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 186149 – 01, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, la differenza tra massima di esperienza e mera congettura risiede nel fatto che nel primo caso il dato è stato già, o viene comunque, sottoposto a verifica empirica e quindi la massima può essere formulata nella scorta dell’id quod plerumque accidit”, mentre nel secondo caso tale verifica non vi è stata, né può esservi, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilità, sicché la massima rimane insuscettibile di
verifica empirica e quindi di dimostrazione. Pertanto, poiché il giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale non può mai essere di probabilità, ma di certezza, possono trovare ingresso, nella concatenazione logica di vari sillogismi in cui si sostanzia la motivazione, anche le massime di esperienza, non certo le mere conseguenze» (Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 186149 – 01).
Tali considerazioni impongono di ribadire l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
4.3. Deve, infine, ritenersi inammissibile il quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che veniva censurata per l’eccessività dosimetrica, non avendo la Corte territoriale dato opportuno conto, pur avendo riconosciuto a NOME le attenuanti generiche, del modesto disvalore delle condotte ascrittegli al capo 3, che, alla luce delle pene irrogate ai coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME rendeva evidente l’incongruità del trattamento sanzionatorio.
Si tratta, anche in questo caso, di una doglianza prospettata in termini assimilabili al quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME che si è passato in rassegna nel paragrafo 3.3, al quale occorre rinviare per la compiuta ricognizione delle ragioni che impongono di ritenerla manifestamente infondata.
Queste ragioni inducono a ritenere inammissibile il quarto motivo del ricorso in esame.
4.4. Le considerazioni esposte impongono di ritenere infondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
Deve, infine, ritenersi infondato il ricorso per cassazione proposto congiuntamente dagli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME articolato in un’unica censura difensiva.
Con questa doglianza si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano la conferma del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati ascrittigli di cui al capo 2 e 5 – il primo dei quali contestato al s COGNOME -, che si fondava su un’incongrua valutazione delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, al quale ci si riferiva mediante richiami, meramente assertivi, alle conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale di Matera.
Osserva il Collegio che il nucleo essenziale del giudizio di responsabilità formulato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME che venivano coinvolti nelle indagini quali amministratori dell’azienda agricola RAGIONE_SOCIALE trae origine dalle intercettazioni svolte nel corso delle indagini preliminari, che, nel caso degli odierni ricorrenti, venivano esaminate nelle pagine 40-46 della decisione di primo grado.
Tra queste captazioni, prendendo le mosse da quelle riguardanti la posizione di NOME COGNOME, ai quali si contestavano i capi 2 e 5, si ritiene opportuno richiamare, seguendo l’ordine di esposizione contenuto nella nota n. 84 della decisione di primo grado, l’intercettazione n. 8263 del 22 dicembre 2011, ore 12.08, registrata tra lo stesso COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina 40; l’intercettazione n. 850 del 5 dicembre 2011, ore 20.23, registrata tra NOME e NOME COGNOME citata nelle pagine 40 e 41; l’intercettazione n. 4002 del 10 gennaio 2012, ore 17.20, registrata tra gli stessi NOME e COGNOME, citata a pagina 41; l’intercettazione n. 3850 del 7 dicembre 2011, ore 12.02, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, citata a pagina 41; l’intercettazione n. 2244 del 19 dicembre 2011, ore 17.34, registrata tra NOME COGNOME e un soggetto identificato come COGNOME, citata a pagina 41; l’intercettazione n. 2649 del 22 dicembre 2011, ore 11.59, registrata tra gli stessi soggetti della captazione precedente, citata nelle pagina 41 e 42; l’intercettazione n. 2649 del 22 dicembre 2011, ore 11.49, registrata tra gli stessi soggetti della captazione precedente, citata nelle pagine 42 e 43; l’intercettazione n. 6389 del 9 gennaio 2012, ore 17.10, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina e 43; l’intercettazione n. 6418 del 9 gennaio 2012, ore 18.07, registrata tra gli stessi COGNOME e COGNOME citata a pagina e 43; l’intercettazione n. 9458 del 9 febbraio 2012, ore 11.16, registrata tra i medesimi soggetti della captazione precedente, citata a pagina e 43. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Passando, invece, a considerare le captazioni riguardanti la posizione di NOME COGNOME al quale si contesta il solo capo 5, si ritiene opportuno richiamare, seguendo l’ordine di esposizione contenuto nella nota n. 85 nella sentenza di primo grado, l’intercettazione n. 2859 del 21 dicembre 2011, ore 12.22, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina 44; l’intercettazione n. 654 del 14 novembre 2011, ore 19.28, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, citata a pagina 44; l’intercettazione n. 2979 del 28 novembre 2011, ore 12.53, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina 44; l’intercettazione n. 507 del 30 novembre 2011, ore 21.25, registrata tra gli stessi soggetti della captazione precedente, citata a pagina 44; l’intercettazione n. 1174 del 16 novembre 2011, ore 18.20, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata a pagina 45; l’intercettazione n. 2612
del 30 novembre 2011, ore 10.01, registrata tra gli stessi soggetti della captazione precedente, citata a pagina 45.
Di queste intercettazioni, che si sviluppavano lungo un ampio arco temporale, la Corte di appello di Potenza, in linea con le conclusioni del Tribunale di Matera, forniva un’interpretazione ineccepibile e conforme ai parametri ermeneutici richiamati nei paragrafi 2.1 e 2.1.1, inserendole in un compendio probatorio che permetteva di ritenere dimostrati i rapporti di cointeressenza tra NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e gli atri soggetti coinvolti nelle operazioni illecite oggetto di vaglio. Tali rapporti erano funzionali all pianificazione criminosa delle attività finalizzate a consentire l’ingresso illegale i Italia degli immigrati provenienti dal subcontinente indiano, per essere assunti fittiziamente nell’azienda RAGIONE_SOCIALE, amministrata dai due imputati.
A sostegno di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi, si consideri ulteriormente che, in alcune intercettazioni, i colloquianti facevano esplicito riferimento all’indirizzo di posta elettronica utilizzato da NOME COGNOME per attivare telematicannente la procedura amministrativa funzionale all’assunzione fittizia dei lavoratori extracomunitari, che veniva individuato nel sito web www.marranchelli34mail.com , dal quale venivano inoltrate decine di domande, pur avendo l’imputato sottoscritto personalmente soltanto quattro contratti di lavoro.
Nella stessa direzione probatoria, si muovono le sollecitazioni effettuate da COGNOME presso i dipendenti della Prefettura di Matera, richiamate a pagina 43 della sentenza di primo grado, finalizzate ad accelerare la definizione delle pratiche attivate per l’assunzione dei lavoratori extracomunitari. Le sollecitazioni, in particolare, venivano giustificate dalla necessità di sopperire alle carenze di manodopera nazionale, atteso che, secondo quanto riferito dall’imputato, i cittadini italiani “non vogliono lavorare”, essendo, ormai, poco propensi ad accettare impieghi lavorativi nel settore agricolo.
Questi elementi probatori, a loro volta, si ritenevano corroborati dalle verifiche eseguite dai militari della Compagnia della Guardia di Finanza di Policoro presso la società RAGIONE_SOCIALE nel corso del 2012, a seguito delle quali si accertava che i due imprenditori agricoli impiegavano quasi esclusivamente manodopera locale e che la gran parte dei lavoratori extracomunitari, per i quali erano state inoltrate le procedure di assunzione presso lo sportello unico dell’immigrazione, non risultavano avviati al lavoro.
5.1. Quanto, infine, alla correlata censura, relativa all’assertività delle conclusioni alle quali era pervenuta la Corte di appello di Potenza, incentrate su generici richiami al percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Matera, deve evidenziarsi che tale doglianza non tiene conto del rapporto di simbiosi
integrazione motivazionale esistente tra le decisioni di merito, conseguente alla rilevanza di un’ipotesi di doppia conforme giurisdizionale.
Deve, in proposito, evidenziarsi che, nel vagliare la congruità del giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte di appello di Potenza nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME laddove conforme, come nel caso in esame, alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Matera il 15 novembre 2018 -, occorre tenere conto dell’unitarietà del complesso motivazionale costituito da entrambe le decisioni di merito (tra le altre, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758 – 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME Rv. 258774 – 01; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, COGNOME, Rv. 237207 – 01).
Questi provvedimenti decisori, infatti, si sviluppano secondo linee logiche e giuridiche concordanti, con la conseguenza che – sulla base dell’orientamento ermeneutico, da tempo, consolidato di questa Corte – la motivazione della sentenza di primo grado si salda necessariamente con quella della sentenza di appello, formando un corpo motivazionale unitario e inscindibile, a prescindere da eventuali richiami a singoli passaggi argomentativi della decisione impugnata, effettuati dalle difesa degli odierni ricorrenti allo scopo di evidenziarn l’incongruità argomentativa. Sul punto, si ritiene indispensabile richiamate il seguente principio di diritto: «Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, COGNOME, Rv. 252615 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 37925 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 10613 del 01/02/2002, COGNOME, Rv. 221116 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne discende che, trovandocisi di fronte a un’ipotesi di doppia conforme giurisdizionale, i singoli passaggi motivazionali della sentenza emessa dal Tribunale di Matera il 15 novembre 2018 devono necessariamente integrarsi con gli omologhi passaggi della sentenza di secondo grado, pronunciata dalla Corte di appello di Potenza il 27 ottobre 2023, componendo i due provvedimenti un percorso argomentativo unitario rispetto alla responsabilità penale di COGNOME e COGNOME ricorrenti. Tale percorso argomentativo, dunque, risulta adeguato rispetto alle emergenze processuali e pienamente conforme ai parametri ermeneutici affermati da Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01, secondo cui: «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio d
motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione».
5.2. Tali ragioni impongono di ribadire l’infondatezza della doglianza in esame.
5.3. Queste argomentazioni impongono il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto dei ricorsi proposti dagli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 21 novembre 2024.