Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24685 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24685 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 355/2025
UP – 16/05/2025
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 26/11/2024 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Trieste ha confermato la decisione datata 11/07/2023 del Tribunale della medesima città, che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole:
2.2. Con il secondo motivo, vengono denunciati vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione di legge relativamente agli artt. 192, 533 e 546 cod. proc. pen., nonchØ vizio di motivazione anche per apparenza, contraddittorietà interna, travisamento probatorio su elementi essenziali commissivi della condotta in contestazione, relativamente all’art. 12 commi 1 e 3 lett. d) e 3ter d.lgs. n. 286 del 1998; viene domandata, altresì, la riqualificazione della condotta contestata sub 7), nell’ipotesi di cui all’art. 12 comma 5 T.U. imm. La sentenza impugnata non prende in considerazione, infatti, l’indiscutibile interesse personale del denunciante, oltre che il forte sentimento di acredine, sicuramente intercorrente fra NOME e NOME.
Nella motivazione della sentenza impugnata, infatti, sono riportate per esteso numerose captazioni telefoniche, giudicate dalla Corte di appello quali elementi probatori di univoca significazione, gravanti sul prevenuto. La consapevolezza, da parte di questi, di accompagnare in Italia un soggetto clandestino Ł stata tratta – ad opera della Corte di appello – da alcuni passaggi di particolare valenza evocativa. Trattasi, segnatamente, di conversazioni intercorse con NOME, nel corso delle quali il ricorrente si premura di raccomandare all’altro di non fornire spiegazioni all’ignoto autista reperito tramite internet, circa la reale causale della trasferta; vengono in rilievo, inoltre, le espresse raccomandazioni a non uscire dalla porta principale della stazione di Milano, in quanto luogo oggetto di frequenti controlli ad opera delle forze dell’ordine.
2.2. Al capo 7) della rubrica, Ł descritto un episodio di natura sostanzialmente analoga. Con riferimento a tale vicenda, la denuncia proviene da un soggetto clandestino, di nazionalità pakistana, di nome NOME COGNOME il quale era stato ospitato per lungo tempo in casa del ricorrente; a quest’ultimo, il denunciante consegnava parte dello stipendio che riusciva a raggranellare con vari lavori, che compiva anche servendosi dei documenti del fratello.
Secondo la denuncia di COGNOME egli aveva versato la somma di novemila euro a soggetti che organizzavano viaggi verso l’Europa ed aveva intrapreso, così, un lungo e tortuoso percorso attraverso l’Iran e la Turchia, fino a giungere in Grecia; spostatosi verso la Serbia, era infine arrivato in Ungheria passando per la Macedonia. In Ungheria era stato trasferito in un centro di accoglienza per migranti, laddove – attraverso ulteriori contatti – era stato prelevato da alcuni soggetti, tra i quali figurava anche l’odierno imputato, i quali lo avevano condotto in auto fino in Austria e lì lo avevano lasciato. Dopo esser stato portato in un centro di accoglienza dalla polizia austriaca, era stato infine nuovamente prelevato dal ricorrente, che lo aveva condotto a Chioggia e ospitato.
Aveva poi trovato lavoro, presso una azienda agricola ubicata a circa un’ora di viaggio da Chioggia, laddove era stato portato da COGNOME; qui aveva iniziato a lavorare – senza essere regolarmente assunto – e, quindi, a percepire del denaro (all’incirca mille euro al mese, la metà dei quali consegnava a COGNOME). Era poi riuscito – ancora tramite l’imputato a trovare un regolare lavoro in Chioggia, adoperando però i documenti del fratello; questi era un soggetto regolarmente presente in Italia, al quale erano stati sottratti da NOME i documenti, una volta che si era recato a Chioggia, a far visita al denunciante.
3. Con il primo motivo, la difesa si duole del fatto che la condanna si fondi su un procedimento che definisce ‘doppiamente inferenziale’, rispetto al testo delle captazioni telefoniche: in ipotesi difensiva, dal dato certo acquisito al patrimonio conoscitivo rappresentato dall’iniziale contatto del 2 settembre 2015, tra il ricorrente e tal COGNOME sull’utenza telefonica n. NUMERO_DOCUMENTO – si sarebbe impropriamente dedotto che tutti i successivi contatti intercorsi su tale numero, anche fra parlatori diversi, dovessero essere indirettamente attribuiti al ricorrente stesso. Prosegue la difesa, sottolineando come lo stesso NOME abbia ammesso tanto di aver utilizzato la suddetta utenza telefonica – il 2 e il 3 settembre 2015 – quanto di essere giunto in aereo a Budapest il 4 settembre successivo; ciò non legittimerebbe, però, la conclusione che tale utenza telefonica sia restata sempre nella sua disponibilità esclusiva.
Afferma poi il la difesa che – pur se si volesse ritenere provata la penale responsabilità dell’imputato, con riferimento al reato contestato sub 4) – parimenti non vi sarebbero gli estremi per configurare la circostanza aggravante del numero delle persone, di cui all’art. 12 comma 3 lett. d) T.U. imm.; a tal fine, infatti, non sarebbe sufficiente la mera presenza in
auto di tal NOME, ossia dell’autista dell’auto che ha riportato in Italia il ricorrente, unitamente a un non meglio identificato soggetto clandestino.
3.1. In diritto, giova brevemente ricordare come l’ampiezza del sindacato da compiere in sede di legittimità, in ordine alla struttura motivazionale del provvedimento avversato, debba spingersi fino alla verifica circa il fatto che quest’ultimo:
presenti una connotazione di effettività, risultando realmente in grado di delineare e chiarire le ragioni che il giudicante abbia assunto a fondamento della decisione adottata;
sia privo di forme di manifesta illogicità, in quanto supportato, nei tratti essenziali, da argomentazioni e percorsi deduttivi non affetti da evidenti errori, nell’applicazione dei canoni della logica;
non presenti spunti di contraddittoria intrinseca, risultando ancheesente da insormontabili incongruenze, di carattere logico o infratestuale, tra le sue diverse parti, ovvero anche immune da stridenti e insanabili contrasti logici tra le affermazioni in esso presenti;
non risulti logicamente “inconciliabile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso), in modo tale che ne risulti vanificata o radicalmente inficiata la saldezza concettuale.
Queste essendo le coordinate teoriche entro le quali deve situarsi la valutazione demandata al giudizio di legittimità, non vi Ł chi non rilevi la vaghezza della censura difensiva. Per avversare, infatti, un iter deduttivo di sicura valenza logica, ossia quello che conduce – in assenza di elementi sopravvenuti e contrastanti – a ricondurre le conversazioni intercorse su una determinata utenza a colui che ne sia stato sicuramente riconosciuto utilizzatore e che abbia, con certezza, effettuato conversazioni adoperandola, la difesa introduce una pretesa ricostruzione alternativa che non fornisce, però, alcun elemento difforme. Non viene in alcun modo adombrata, infatti, la pretesa identità del successivo e diverso utilizzatore dell’utenza (questa invece sicuramente adoperata, si ripete, dall’imputato, il quale ne aveva la piena disponibilità). In tal modo, la asserita versione alternativa diviene evanescente e priva di qualsivoglia attitudine a contrastare la saldezza del sopra riassunto percorso concettuale, sul quale poggia la decisione avversata.
La difesa, peraltro, manca di confrontarsi con un dato di particolare importanza, ossia che gran parte del fatto storico – nella sua stretta materialità – sia stata pacificamente ammessa dall’imputato; questi ha riconosciuto, infatti, di essersi recato a Budapest e di essersi trovato in quella determinata auto, unitamente allo sconosciuto Alex reperito su BLABLACAR. In ipotesi difensiva, egli si sarebbe recato colà solo al fine di consegnare soldi e vestiti a un parente; la Corte di appello dialoga anche con tale tesi – per la verità, già intrinsecamente inattendibile – e, giustamente, osserva che limitarsi a spedire solo il denaro sarebbe stato ben piø agevole, oltre che economicamente conveniente.
3.2. Nell’ambito del medesimo motivo, la difesa formula anche la doglianza inerente al numero dei partecipi, aggredendo la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 12, comma 3 lett. d) T.U. imm.; la doglianza muove dal rilievo che l’autista olandese (il tal NOME di cui sopra) sia stato reperito a mezzo di un servizio in rete denominato BLABLACAR e quindi, inevitabilmente, altro non potesse essere, se non un soggetto ignoto ai correi. In altri termini, il suddetto NOME Ł semplicemente uno sconosciuto individuato casualmente, il quale ha accettato di trasportare dietro pagamento – restando ignaro del suo stato di clandestinità – un soggetto di nazionalità pakistana prelevato a Budapest.
Sul punto, giova però precisare come tale censura non sia stata formulata, in sede di gravame; deve escludersi, pertanto, la riconducibilità della vicenda al dettato dell’art. 609 comma 2 cod. proc. pen., a norma del quale ‹‹La Corte decide altresì le questioni rilevabili di
ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello››. Secondo i principi di diritto da lungo tempo elaborati da questa Corte, infatti, tale riferimento normativo deve leggersi nel senso della possibilità – nel giudizio di legittimità – di decidereanche questioni che non siano state tempestivamente dedotte nei motivi di appello e la cui deducibilità sia divenuta possibile solo in epoca successiva, a patto però che vengano in rilievo questioni esclusivamente di diritto, che si pongano a causa di uno ius superveniens , ovvero che sorgano in relazione a circostanze non emerse prima (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631 – 01; Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003, COGNOME, Rv. 229374-01).
Nel caso di specie, la attuale deduzione difensiva resta del tutto estranea rispetto all’alveo previsionale dell’art. 609 secondo comma cod. proc. pen. Residua, quindi, il dato oggettivo della mancata deduzione dello specifico tema in sede di appello e, consequenzialmente, la inammissibilità della censura solo ora sussunta nel ricorso in esame, stante il mancato rispetto della ordinaria filiera di devoluzione delle questioni.
4. Il secondo e il terzo motivo presentano una evidente matrice comune e ben si prestano, pertanto, a una agevole trattazione unitaria, compendiandosi essi in censure di tenore squisitamente rivalutativo e fattuale. La difesa, infatti, mettein discussione la credibilità del denunciante COGNOME ossia del soggetto portato in Italia, ospitato e dal quale l’imputato prendeva parte dello stipendio; seguendo tale impostazione, però, la difesa giunge in pratica ad auspicare una vera e propria rilettura degli atti, invitando questa Corte a un diretto confronto con il materiale probatorio, piuttosto che a un esame della decisione avversata. 4.1. Va evidenziato, infatti, come tali censure si sviluppino sul piano del fatto e siano tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Questa Corte regolatrice, infatti, ha ripetutamente chiarito come l’epilogo decisorio non possa essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
4.2. D’altronde, nessun vizio logico o argomentativo Ł ravvisabile, nella motivazione che sorregge la sentenza impugnata. La Corte ha ritenuto, infatti, pienamente credibile la versione resa dal denunciante, sulla base di due considerazioni, una fondata su una chiave interpretativa di carattere logico e l’altra basata sulla diretta valutazione e comparazione delle fonti dichiarative acquisite. E dunque, secondo la Corte territoriale:
– non Ł credibile che, in un contesto quale quello nel quale si inquadrano i fatti, lo stipendio venisse corrisposto a COGNOME tramite assegno o accredito bancario, come invece sostenuto dall’imputato; se ciò fosse stato vero, COGNOME avrebbe potuto tranquillamente continuare ad adoperare i documenti grazie ai quali aveva ottenuto il posto di lavoro e ritirare lo stipendio in piena autonomia, quindi senza attendere l’arrivo del fratello (sul punto, NOME ha incongruamente sostenuto di essersi reso conto dell’uso dei documenti altrui da parte di COGNOME in quanto questi ritirava lo stipendio solo quando veniva raggiunto dal fratello);
la versione difensiva confligge, addirittura, con la dichiarazione resa dal teste addotto dalla difesa NOME COGNOME il quale ha riferito di aver assistito, in diverse occasioni, a litigi fra COGNOME e COGNOME nel corso dei quali quest’ultimo apostrofava l’altro quale trafficante di clandestini, mentre l’altro lo accusava di essersi fatto assumere adoperando documenti non propri .
4.3. Tale valutazione Ł del tutto conforme ai canoni della logica ed Ł priva del pur minimo spunto di contraddittorietà, oltre ad essere esaustiva e del tutto lineare; essa non viene minimamente scalfita dalle osservazioni formulate dalla difesa, che tenta di accreditare solo una diversa lettura degli atti, imperniando la critica sulla asserita sussistenza di un generico interesse personale del denunciante, oltre che di un astio personale fra i due protagonisti della vicenda.
Anche tali doglianze, quindi, devono essere disattese.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 16/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME