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Favoreggiamento immigrazione: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due cittadini stranieri, confermando la loro condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La sentenza chiarisce che agire come ‘scafista’ in cambio di uno sconto sul prezzo del viaggio integra il reato, inclusa l’aggravante del profitto, e che la scriminante dello stato di necessità non è applicabile in assenza di prove concrete di coercizione.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Favoreggiamento Immigrazione Clandestina: La Cassazione sul Ruolo dello ‘Scafista’

Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema del favoreggiamento immigrazione clandestina, delineando con chiarezza i contorni della responsabilità penale per chi conduce le imbarcazioni, i cosiddetti ‘scafisti’. La Suprema Corte ha confermato la condanna emessa in appello nei confronti di due individui, ritenendo che guidare il natante in cambio di un significativo sconto sul costo della traversata integri pienamente il reato, compresa l’aggravante del profitto.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due cittadini di nazionalità uzbeka, inizialmente assolti in primo grado dal Giudice per le indagini preliminari. L’accusa era quella di aver favorito l’ingresso illegale in Italia di settantotto migranti, agendo come conduttori dell’imbarcazione. Il primo giudice li aveva assolti ritenendo che fossero stati tratti in inganno dagli organizzatori del viaggio e che avessero preso il controllo del natante solo per necessità.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, tuttavia, ha ribaltato completamente la decisione. Riformando la sentenza, ha dichiarato gli imputati colpevoli, condannandoli a una pena di quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa, all’espulsione a pena espiata e all’interdizione dai pubblici uffici. Secondo i giudici di secondo grado, le prove dimostravano un ruolo attivo e consapevole nella gestione della traversata e dei migranti a bordo.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro la sentenza di condanna, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, basandosi su diversi motivi:

1. Vizio di motivazione: Si contestava alla Corte d’Appello di non aver fornito una ‘motivazione rafforzata’, necessaria per ribaltare una sentenza di assoluzione.
2. Mancata applicazione dello stato di necessità: La difesa sosteneva che gli imputati avessero agito per salvare sé stessi e gli altri passeggeri da un naufragio, invocando la scriminante prevista dall’art. 54 del codice penale.
3. Errata applicazione delle aggravanti: Si contestava la sussistenza delle circostanze aggravanti, tra cui il fine di profitto, il numero di persone trasportate e le condizioni disumane del viaggio.
4. Mancato riconoscimento delle attenuanti: Infine, si lamentava il mancato riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione e delle attenuanti generiche, oltre a una motivazione insufficiente sulla misura di sicurezza dell’espulsione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul favoreggiamento immigrazione clandestina

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati e, in parte, generici. La Suprema Corte ha validato pienamente l’impianto logico-giuridico della sentenza d’appello.

In primo luogo, i giudici hanno chiarito che l’obbligo di motivazione rafforzata non sussiste quando la sentenza di assoluzione di primo grado è, come in questo caso, generica e meramente assertiva. La Corte d’Appello, al contrario, aveva analiticamente smontato le argomentazioni del primo giudice, fondando la condanna su prove concrete, come le dichiarazioni dei migranti che riconoscevano gli imputati come coloro che governavano l’imbarcazione.

Cruciale è il rigetto della tesi dello stato di necessità. La Cassazione ha sottolineato che non vi era alcuna prova di minacce o coercizioni da parte degli organizzatori. Al contrario, è emerso che gli imputati avevano accettato di condurre la barca in cambio di una drastica riduzione del prezzo del viaggio (oltre il 50%). Questo accordo, secondo la Corte, dimostra una scelta consapevole e non una costrizione.

L’argomentazione sul fine di profitto è stata altrettanto netta: anche il mancato esborso di una somma considerevole costituisce un vantaggio economico e, quindi, integra l’aggravante del profitto. Il ruolo degli ‘scafisti’, inoltre, è stato definito imprescindibile per la commissione del reato, escludendo quindi l’ipotesi di una partecipazione di minima importanza.

Infine, la Corte ha ritenuto corrette sia la negazione delle attenuanti generiche, data la gravità dei fatti (presenza di donne e minori, condizioni del viaggio), sia la misura dell’espulsione, giustificata dalla pericolosità sociale dimostrata dai contatti con l’organizzazione criminale che gestiva il traffico.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di favoreggiamento immigrazione clandestina: la responsabilità penale di chi materialmente conduce le imbarcazioni è piena, anche quando il compenso non è un pagamento diretto ma un significativo ‘sconto’ sul prezzo della traversata. La Corte di Cassazione chiude la porta a interpretazioni difensive basate su un presunto stato di necessità non supportato da prove concrete di coercizione. La decisione consolida un orientamento rigoroso che considera il ruolo dello ‘scafista’ come un anello essenziale e pienamente responsabile nella catena criminale del traffico di esseri umani.

Guidare un’imbarcazione di migranti in cambio di uno sconto sul viaggio è reato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che questa condotta integra pienamente il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, inclusa l’aggravante di aver agito per trarne profitto, poiché anche il risparmio di una somma di denaro costituisce un vantaggio economico.

Quando si può invocare lo ‘stato di necessità’ in un caso di favoreggiamento dell’immigrazione?
La scriminante dello stato di necessità può essere invocata solo se si forniscono prove concrete di una situazione di pericolo attuale, grave e inevitabile, o di una coercizione che ha costretto l’individuo a commettere il reato. Secondo la Corte, una semplice affermazione senza riscontri oggettivi non è sufficiente.

Perché il giudice d’appello può ribaltare una sentenza di assoluzione?
Il giudice d’appello può riformare una sentenza di assoluzione e pronunciare una condanna quando fornisce una motivazione solida, logica e completa che confuta punto per punto le argomentazioni del primo giudice, specialmente se la decisione assolutoria era basata su una valutazione generica o assertiva delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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