Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46781 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46781 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TURGUNOV ULUGBEK CUI CODICE_FISCALE nato il 08/07/1988
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, mentre il difensore del ricorrente ha insistito per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 maggio 2024 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato, nei confronti di COGNOME quella emessa il 23 febbraio 2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Locri, con cui l’imputato è stato condannato alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione e 1.005.000 euro di multa per avere procurato illegalmente l’ingresso nello Stato di sessanta persone di origine extracomunitaria.
Le menzionate sentenze sono state emesse nell’ambito del procedimento nato in seguito allo sbarco, nel porto calabrese di Roccella gonica, il 30 marzo 2022, di sessanta migranti, per lo più di nazionalità afghana, ivi giunti a bordo di una imbarcazione a vela partita cinque giorni prima dalle coste turche.
I responsabili del viaggio, stando alla ricostruzione concordemente avallata dai giudici di merito, sono stati individuati in due soggetti di passaporto uzbeko, uno dei quali è l’odierno ricorrente COGNOME raggiunti dalle dichiarazioni accusatorie rese da tre migranti, intrinsecamente attendibili e, per di più, assistite da significativi riscontri di fonte esterna, quale la disponibilità, in capo ad entrambi, di telefoni cellulari nelle quali erano inserite SIM dell’operatore turco «RAGIONE_SOCIALE».
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali deduce vizio di motivazione, anche sub specie di travisamento della prova.
Rileva, al riguardo, che la Corte di appello ha differenziato la sua posizione rispetto a quella del correo NOME COGNOME cui ha concesso le circostanze attenuanti generiche, con conseguente ridimensionamento del trattamento sanzionatorio, in ragione della produzione di documentazione analoga a quella, a lui riferita, che è stata contestualmente acquisita agli atti di causa, sì da determinare una ingiustificata e, in ultimo, arbitraria disparità di trattamento.
Con il secondo ed ultimo motivo, ascrive alla Corte di appello, nell’ottica della violazione di legge e del vizio di motivazione, di avere disatteso la proposta impugnazione, quanto alla sua inclusione nel novero degli «scafisti», sulla base di un compendio indiziario quantomeno equivoco e senza considerare la possibilità che egli sia stato nulla più che un passeggero del veliero (tenuto, come gli altri, al versamento, in favore dei trafficanti, di una consistente somma di denaro) o, al più, sia stato, come sovente accade in simili occasioni, transitoriamente coinvolto nel governo dell’imbarcazione sotto la minaccia di patire, altrimenti, gravi pregiudizi alla propria incolumità.
Si duole, ulteriormente, dell’applicazione, a suo carico, dell’aggravante dell’avere agito a scopo di profitto, a lui non estensibile in carenza di prova in ordine all’assunzione di un ruolo organizzativo o di ricezione dei compensi corrisposti dai migranti trasportati.
Disposta la trattazione scritta, il Procuratore generale ha concluso, il 17 ottobre 2024, chiedendo il rigetto del ricorso, mentre COGNOME ha insistito, con atto del 25 ottobre 2024, per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
I giudici di merito sono pervenuti all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME – quale soggetto incaricato, insieme al correo NOME COGNOME, di condurre l’imbarcazione, a bordo della quale avevano preso posto sessanta extracomunitari, dalle coste turche sino a quelle italiane – sulla scorta delle concordi ed univoche dichiarazioni dei tre migranti escussi, che hanno trovato precipuo riscontro, nei suoi confronti, nel rinvenimento di un telefono cellulare contenente una SIM fornita da un operatore telefonico turco.
2.1. Al cospetto di un compendio probatorio granitico – perché imperniato, in primis, su tre diversi contributi dichiarativi di sicura attendibilità, che gli assegnano il ruolo di soggetto preposto, per l’intera durata del viaggio, alla guida del natante – il ricorrente, con il secondo motivo (da esaminarsi, per ragioni di ordine espositivo, prioritariamente), oppone obiezioni di totale inconsistenza, tacciando, in termini di tangibile genericità, di scarsa credibilità la narrazione dei migranti escussi e riportandosi a quanto esposto all’udienza di convalida dell’arresto in flagranza, ovvero ad un racconto che la Corte di appello ha stimato, con argomentazioni stringenti e, comunque, esenti da qualsivoglia deficit razionale, frutto di mendacio, vieppiù nella parte in cui egli ha sostenuto, in contrasto con tutte le evidenze disponibili, che il veliero era stato condotto da altro soggetto che, dopo tre giorni di navigazione, si era allontanato a bordo di un gommone.
I giudici di merito hanno, dunque, stimato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli all’esito di un percorso argomentativo lineare e coerente, che resiste senz’altro alle censure articolate con l’atto di impugnazione e con la memoria conclusiva.
La Corte di appello ha stimato l’attendibilità degli apporti dei migranti escussi, intrinsecamente credibili, tra di loro perfettamente sovrapponibili ed alieni da
intenti calunniatori, ed ha assegnato a COGNOME un ruolo che, nell’ottica concorsuale, si palesa utile ed efficiente e, dunque, sicuramente idoneo a fondare, anche nei suoi confronti, l’ipotesi di accusa.
2.2. Priva di pregio si palesa, poi, l’ulteriore obiezione avanzata dal ricorrente in relazione alla legittimità del percorso argomentativo che ha indotto i giudici di merito ad applicare, a suo carico, l’aggravante dell’avere agito al fine di profitto -intrinsecamente connaturato all’illecito consumato grazie anche al suo contributo e da lui sicuramente percepito, condiviso e fatto proprio, quantomeno in chiave di contenimento dei costi del servizio (sulle condizioni al cospetto delle quali l’aggravante si estende ai concorrenti, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 35510 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276613 – 02) – ciò che ne giustifica, per le ragioni già compiutamente esposte dal Giudice dell’udienza preliminare alla pag. 8 della sentenza di primo grado, l’applicazione a prescindere dalla materiale percezione del compenso versato dai migranti trasportati.
Non meno infondata è la censura articolata dal ricorrente con il secondo motivo sulla base di un presupposto fattuale indimostrato.
La Corte di appello ha concesso le circostanze attenuanti generiche al correo NOME COGNOME in considerazione dell’acquisizione di una nota, rilasciata dall’ambasciata dell’Uzbekistan in Italia, attestante che egli ha collaborato con le autorità di quel paese per l’identificazione e la repressione delle attività di un gruppo criminale impegnato nel reclutamento di cittadini uzbeki, comportamento che, secondo quanto implicitamente ritenuto, è sintomo di minore capacità a delinquere e venir meno dei contatti con ambienti criminali che hanno fatto da sfondo alla vicenda oggetto di addebito.
COGNOME sostiene – senza in alcun confortare il suo dire con pertinenti produzioni documentali (sicché l’impugnazione si palesa, per questa parte, carente di autosufficienza) e proponendo, peraltro, una questione non introdotta con i motivi di appello e sollevata, per la prima volta, con il ricorso per cassazione -che una nota di analogo contenuto, concernente la sua posizione, è stata depositata già nel corso del giudizio di primo grado.
Riporta, a tal fine, un brano della decisione del Giudice dell’udienza preliminare (a pag. 6, paragrafo 1.9) che, però, attiene ad altro e distinto documento, ovvero alla comunicazione trasmessa – la provenienza dell’atto non è indicata – ai difensori degli imputati, relativa alla loro qualità di soggetti sottoposti, in Italia, a procedimento penale e misura cautelare custodiale, ed attestante che entrambi, in occasione di una conversazione telefonica con personale dell’ambasciata dell’Uzbekistan, hanno riferito di essere stati ingannati
da un connazionale su incarico del quale si sono portati in Turchia, nella prospettiva di svolgere attività lavorativa lecita nel settore del turismo nautico.
L’atto indicato dal ricorrente – per quanto è dato evincersi dalla sentenza di primo grado e, si ripete, in carenza di qualsivoglia supporto documentale -concerne, dunque, la professione di innocenza degli imputati e si connota per un contenuto radicalmente diverso rispetto a quello valorizzato dalla Corte di appello in vista del contenimento del trattamento sanzionatorio che, con riferimento alla sola posizione di COGNOME, dà conto di una fattiva e meritoria collaborazione con le autorità del paese di origine in ordine alla quale la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare è, nel passaggio evocato da COGNOME così come altrove, del tutto silente.
Discende dai precedenti rilievi l’insussistenza dei profili di contraddittorietà e travisamento denunciati dal ricorrente e, in ultimo, l’infondatezza della doglianza.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di Turgunov al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/11/2024.