Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26000 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26000 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 03/10/1994
avverso la sentenza del 25/06/2024 della Corte d’appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione del consigliere, NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trieste ha confermato la condanna, pronunciata dal Tribunale in sede, all’ esito di rito ordinario, anche nei confronti di NOME COGNOME per il concorso nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravata, per aver partecipato a un episodio di trasporto di cittadini clandestini, provenienti dalla Slovenia, nel mese di giugno 2018 (capo 1), fatto aggravato dal numero delle persone trasportate, dei concorrenti nel reato e per il fine di lucro, alla pena di anni cinque di reclusione ed euro seicentomila di multa.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidando le censure a due motivi, di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen .
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione.
L’imputato è cittadino di nazionalità pakistana rimasto assente nel giudizio di secondo grado che, quindi, in quanto alloglotto, avrebbe avuto diritto di ricevere la sentenza tradotta nella lingua a lui comprensibile, ai sensi dell’art 175, comma 2, cod. proc. pen.
Si denuncia, quindi, il mancato passaggio in giudicato della pronuncia (si richiama il precedente indicato come in termini, Sez. 2, n. 13697 del 6 aprile 2016).
Inoltre, si rileva che, nel corso di giudizio di merito, è emerso che le prove a carico sono rappresentate dalle dichiarazioni del coimputato, rese in sede di convalida, ove si faceva cenno al coinvolgimento, nel traffico di clandestini, di tale NOME COGNOME indicandolo con il soprannome.
Si tratta di dichiarazioni che, secondo il ricorrente, non sono da sole sufficienti ad affermare la penale responsabilità, in assenza di riscontri oggettivi; inoltre andava verificata l’attendibilità intrinseca del dichiarante.
Infine, si contesta l’assenza di sovrapponibilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie che, comunque, presentano profili di inesattezza e illogicità interna.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge penale quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonché di quella di cui all’art. 114 cod. pen., in considerazione del ruolo marginale e secondario rivestito dall’imputato nell’attività illecita .
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso con memoria scritta, in assenza di tempestiva richiesta di trattazione in udienza partecipata, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
1.1.1. Il primo aspetto censurato è inammissibile.
È noto che la recente pronuncia di questa Corte, nella sua composizione più autorevole (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Rv. 286356 -01) ha affermato, in materia di misure cautelari personali, che l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotto, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata
traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non sia già emerso che l’indagato o imputato alloglotto non conosca la lingua italiana, l’ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l’obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine, la cui violazione determina la nullità dell’intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l’ordinanza di custodia cautelare.
Si tratta di indirizzo interpretativo che, dunque, manifesta come sia centrale ai fini dell’assolvimento dell’onere di traduzione degli atti nella lingua conosciuta dall’indagato, la conoscenza, da parte dell’Autorità giudiziaria procedente, della carenza di conoscenza della lingua italiana.
Ciò premesso, si osserva che da nessun punto della sentenza di secondo grado, risulta che l’imputato non conosce la lingua italiana , né viene precisato dal ricorrente il momento in cui detta mancanza di conoscenza sia stata comunicata o, comunque, acclarata dall’Autorità giudiziaria procedente .
In ogni caso, l’eccezione proposta è generica e denuncia l ‘omessa traduzione della sentenza di secondo grado ai soli fini di affermarne il mancato passaggio in giudicato, senza espressamente indicare ragioni, in fatto e in diritto, su cui fondare l ‘ eventuale nullità della pronuncia di secondo grado per omessa traduzione nella lingua pakistana e senza illustrare, specificamente, in che cosa l’omessa traduzione avrebbe pregiudicato la difesa dell’imputato, tenuto conto che questi ha proposto tempestivo ricorso per cassazione (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 251693).
1.1.2. Quanto al secondo aspetto dedotto, circa la mancanza di riscontri rispetto alla chiamata in correità del concorrente nel reato, si osserva che il motivo è infondato.
Invero, oltre alle dichiarazioni rese dal coimputato, nelle immediatezze del suo arresto, in sede di udienza di convalida, i convergenti provvedimenti di merito evidenziano anche l’ulteriore , significativo dato della presenza del ricorrente in occasione dello ‘ scarico ‘ dei trentasei migranti in data 26 giugno 2018 a Barcola, quando lo stesso dichiarante era stato tratto in arresto.
Inoltre, le dichiarazioni eteroaccusatorie, da parte del primo giudice, sono considerate riscontrate anche in base alla tracciatura dei tabulati telefonici e delle indagini successive all’arresto di NOMECOGNOME che avevano condotto all’accertamento di altri viaggi, precedentemente condotti, per altri tre episodi di favoreggiamento della immigrazione clandestina, rispetto ai quali l’imputato odierno ricorrente è risultato estraneo (cfr. p. 6 e ss. della sentenza di primo grado e poi p. 13 e ss.).
A carico del l’imputato, sono stati ritenuti sussistenti plurimi riscontri, con ragionamento immune da illogicità manifesta e conforme ai principi interpretativi di questa Corte di legittimità, quali gli acclarati contatti con NOME COGNOME e, poi, con NOME COGNOME, nel pomeriggio del 21 giugno 2018, l’incontro presso l’uscita autostradale a Noventa di Piave con il cittadino di nazionalità indiana riconosciuto nel coimputato NOME. Si fa riferimento al contatto telefonico emerso tra NOME e l’imputato, verso le 22:30, quando il primo gli aveva comunicato che il trasporto dei clandestini sarebbe avvenuto il giorno seguente. Si fa riferimento, altresì, a tutti i contatti telefonici tra COGNOME, COGNOME, NOME e COGNOME, intervenuti fino al 24 giugno 2018, quando COGNOME, NOME e COGNOME avevano raggiunto, tutti insieme, la Slovenia e dove, secondo il narrato del dichiarante, quest ‘ultimo era stato lasciato, assieme a venticinque clandestini (ai quali venivano consegnati cibo ed acqua) nel medesimo luogo dove, più tardi, sarebbero sopraggiunti gli altri quindici cittadini extracomunitari, con i quali, per tutta la notte, erano rimasti NOME e lo stesso ricorrente, per poi accompagnarli dalla Slovenia sino a Barcola (cfr. p. 14).
Del resto, il ragionamento appare in linea con l’interpretazione di questa Corte secondo la quale i riscontri possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. U, n. 20804 del 2013, Rv. 255143; conf. n. 45733 del 2018, Rv. 274151; n. 5821 del 2005).
Generica appare, infine, la deduzione relativa alla mancanza di intrinseca attendibilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie e di affidabilità della chiamata, quanto alla carenza di sovrapponibilità, coerenza e logicità delle dichiarazioni che, nella specie, è soltanto enunciata senza alcuna precisazione delle ragioni su cui la critica fonda.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, le circostanze attenuanti generiche risultano già concesse dal giudice di primo grado (cfr. p. 15 della sentenza), né il motivo di ricorso svolge censure dirette a confutare l’operato giudizio di bilanciamento tra circostanze.
La circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. , dalla incontestata sintesi dei motivi di appello (cfr. p. 9 della sentenza di secondo grado), è stata invocata, con l’atto di appello della difesa del coimputato COGNOME e rispetto a tale
appellante
, la pronuncia della Corte territoriale esclude, espressamente (cfr. p. 10), la circostanza attenuante valorizzando il ruolo assunto e la natura non marginale dell’attività assicurata , assieme agli altri concorrenti nel reato.
Il motivo di ricorso, sul punto, comunque, è generico perché si limita a sostenere che la sentenza di secondo grado omette di considerare la configurabilità della circostanza attenuante, limitandosi ad affermare il ruolo marginale o secondario del ricorrente, senza tuttavia indicare le ragioni, in fatto o in diritto, per le quali all’imputato and rebbe riconosciuta la circostanza attenuante, secondo i canoni di specificità necessari per l’ammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, svolgendo un ragionamento meramente assertivo (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822; Sez. 2, n. 5522 del 22/10/2013, Rv. 258264: Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Rv. n. 254584).
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 4 aprile 2025