Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11044 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11044 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato il 01/01/1968 COGNOME nato a OSIMO il 28/07/1964 COGNOME NOME nato a OSIMO il 25/07/1968 COGNOME nato a MONTEMARCIANO il 22/12/1956
avverso la sentenza del 09/11/2022 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;
uditi i difensori:
avvocato COGNOME che conclude chiedendo raccoglimento del ricorso; avvocato COGNOME che conclude chiedendo l’assoluzione dell’imputato; avvocato COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso; avvocato COGNOME che conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata;
avvocato COGNOME NOMECOGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 8 ottobre 2018, la Corte di assise di Ancona, per quanto qui rileva, dichiarava gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME E NOME COGNOME responsabili dei reati, puniti dal T.U. IMM., specificamente indicati in dispositivo e, per l’effetto, condannava:
NOME alla pena di 8 anni, 9 mesi di reclusione e 554.000,00 euro di multa, unificati i reati dal vincolo della continuazione;
COGNOME alla pena di 5 anni di reclusione e 228.000,00 euro di multa, unificati reati dal vincolo della continuazione;
COGNOME alla pena di 4 anni, 8 mesi di reclusione e 51.000,00 euro di multa, previo riconoscimento del vincolo della continuazione e delle attenuanti generiche;
COGNOME alla pena di 4 anni, 8 mesi di reclusione e 51.000,00 euro di multa, previo riconoscimento del vincolo della continuazione e delle attenuanti generiche.
Assolveva COGNOME e COGNOME dal reato di cui all’art. 416 cod. pen., contestato a loro e ad altri imputati al capo A), perché il fatto non sussiste.
Assolveva, inoltre, COGNOME dai reati di cui al capo C) per non aver commesso il fatto, a capo B), limitatamente alle richieste effettuate da NOME COGNOME, ai capi H) e L) perché il f non sussiste.
Assolveva COGNOME dai reati ascrittigli al capo G) per non aver commesso il fatto e COGNOME dai reati ascrittigli al capo L) perché il fatto non sussiste.
Seguivano le pene accessorie di legge.
Con sentenza emessa in data 9 novembre 2022, la Corte di assise di appello di Ancona, in parziale riforma della prima decisione, dichiarava non doversi procedere ne confronti di COGNOME e COGNOME in ordine ai reati di cui all’art. 12, comma 5, T.U. IMM., loro ascritti, perché estinti per intervenuta prescrizion rideterminava la pena inflitta in:
8 anni, 5 mesi di reclusione e 550.000,00 euro di multa per R,COGNOME;
4 anni, 7 mesi di reclusione e 50.000,00 euro di multa ciascuno per COGNOME e COGNOME
4 anni, 9 mesi di reclusione e 225.000,00 euro di multa per P:i0MBETTI.
Secondo le concordi ricostruzioni operate nelle sentenze di merito, le indagini svol avevano disvelato un meccanismo illecito finalizzato a permettere a numerosi cittadin extracomunitari di origine bengalese di ottenere l’ingresso in Italia, formalmente regol grazie alle richieste di nulla osta per lavoro subordinato stagionale, relative a decreti presentate da datori di lavoro operanti sul territorio nazionale, seguite dal rilascio d’ingresso.
L’illiceità sostanziale del meccanismo consisteva nella mancanza del presupposto legittimante la richiesta – ossia lo svolgimento di attività presso i datori di lavoro i quanto questi ultimi o erano del tutto ignari delle domande inoltrate a loro nome oppure era compiacenti, nel senso che simulavano, dietro compenso, esigenza e volontà di assunzione di fatto inesistenti.
In ogni caso, il lavoratore straniero, ricevuto il nulla osta, non si presentava pre datore di lavoro né presso lo Sportello Unico di Immigrazione (d’ora in avanti SUI), rendendo irreperibile e rimanendo, dunque, in stato di clandestinità.
Ulteriore e parallela attività illecita emersa dalle indagini concerneva l’in sfruttamento delle procedure di emersione del lavoro irregolare.
In questo caso, il datore di lavoro, a seconda dei casi ignaro o compiacente diet compenso, presentava domanda di emersione, dichiarando falsamente che il lavoratore straniero, già presente sul territorio nazionale, lavorava alle sue dipendenze.
Negli anni 2010-2013 questi meccanismi illeciti ruotavano, nel territorio marchigian intorno alla figura di NOME COGNOME titolare di due esercizi commerciali siti di fro alla stazione ferroviaria di Ancona, uno di bigiotteria e l’altro di ristorazione (fast food).
La sua responsabilità e quella dei coimputati risultavano dimostrate, secondo l conformi valutazioni delle Corti di merito, dalle dichiarazioni testimoniali rese dai c bengalesi NOME COGNOME e NOME COGNOME dai datori di lavoro italiani NOME COGNOME e NOME COGNOME e dall’operante di polizia giudiziaria COGNOME nonché dalle intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate.
3.1. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori, i quattro imputati menzionati, proponendo tutti, come motivo prelimina rito, l’eccezione di incompetenza territoriale della Corte di assise di Ancona.
In breve, si assume, da parte delle difese dei ricorrenti, che, essendo rimasto incert luogo di consumazione del reato associativo di cui al capo A), peraltro venuto meno pe insussistenza del fatto, la competenza avrebbe dovuto essere radicata o presso la Corte di assise di Campobasso, in relazione al luogo di consumazione del primo reato in ordine cronologico (capo M), oppure presso la Corte di assise di Perugia, in relazione al luogo consumazione del reato più grave (capo B).
4. Ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Con il primo motivo, si eccepisce l’incompetenza per territorio della Corte di assise di Ancona per le ragioni, comuni agli altri ricorrenti, appena esposte.
4.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione dell’art. 603 cod. proc. pen., mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione.
Si censura come illegittima e carente di motivazione l’ordinanza emessa dalla Corte di assise di Ancona il 9 luglio 2018, con la quale era stata respinta l’istanza di integra istruttoria, avanzata dalla difesa, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., per o
l’escussione degli addetti ai vari Sportelli Unici di Immigrazione coinvolti nel procedime del Viceprefetto di Rimini, onde riferire sui vari aspetti delle procedure amministr d’interesse e colmare le lacune derivate dalle deposizioni rese dai testi di P.G. COGNOME
Stigmatizza, la difesa del COGNOME, la reiezione a motivo di una presunta “genericità” della richiesta, dal momento che proprio in ragione delle lacunose dichiarazioni dei testi pr indicati appariva fondamentale escutere i dipendenti delle varie Prefetture al fine di chi quali fossero le effettive procedure di convocazione tanto per il decreto-flussi quanto pe procedura di emersione, ontologicamente diverse fra loro.
Si censura, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., il rigetto della richiesta di rinno istruttoria dibattimentale in riferimento alla testimonianza di NOME COGNOME resa giudizio di primo grado all’udienza del 15 febbraio 2016 senza l’ausilio di un interprete e estrema difficoltà di comprensione; testimonianza, questa, che proprio in ragione dell’essenz dell’interprete, era risultata piena in molti passaggi di “parole incomprensibili” e “paro chiare”.
Appariva, dunque, del tutto illogica e contrastante con le risultanze processual risposta della Corte di assise di appello, nel negare l’indispensabilità di una nuova audiz dello COGNOME, “essendo quella già assunta completa e soprattutto limpida nella comprensione di quanto riferito dal teste, benché straniero e con eloquio inequivocabilmente a tratti fati ma certo non oscuro”.
La rinnovata audizione, secondo la difesa del ricorrente, si sarebbe resa necessaria i ragione del fatto che la deposizione dello straniero era stata utilizzata dai giudici di m fondamento del “teorema di colpevolezza” del RAHMAN, nonostante la sua lacunosità, contraddittorietà e inattendibilità.
4.3. Con il terzo motivo, si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 12, commi 3 e 3-ter, T.U. IMM.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe incorsa nel totale travisamento del compendio probatorio acquisito, avendo trascurato le molteplici doglianze avanzate dalla difesa dell’imputato in ordine a ciascun capo d’accusa, delle quali neppure si farebbe menzione ne capitolo relativo allo “svolgimento del processo” (da pag. 9 a pag. 27).
La confermata affermazione di responsabilità sarebbe frutto di mere supposizioni e congetture, in considerazione della regolarità della procedura amministrativa ogget d’indagine e del fatto che, in assenza della prova del profitto, non poteva reputarsi dimost alcuna volontà di dissimulare alcunché da parte degli stessi datori di lavoro.
Proprio in relazione all’aggravante del fine di profitto si rivelerebbe la fumo l’arbitrarietà della motivazione, che suppone detto fine di profitto come implicito nella con contestata e lo fonda su una interpretazione illogica e travisante della conversazione n. 21 nonché contraddittoriamente valutata a fondamento dell’assoluzione di COGNOME dal capo H).
Anche la conversazione n. 322 sarebbe inficiata dallo stesso travisamento e in essa, come nell’altra, neppure vi sarebbe la prova del coinvolgimento come conversante del ricorrente, atteso che i loquenti sono identificati come “UOMO 1” e “UOMO 2”.
Gli stessi operanti di P.G. escussi in dibattimento nulla, del resto, avevano riferit punto, perché non oggetto di specifico accertamento, mentre il teste COGNOME a domanda della difesa, aveva escluso di aver mai ricevuto denaro per inoltrare le domande di assunzione.
Quanto al reato di cui al capo B), si rimprovera alla Corte di merito di aver confermato la prima sentenza senza considerare di dover dichiarare la prescrizione della “residua” parte reato contestato (in quanto limitatamente alle richieste effettuate da NOME COGNOME vi era st assoluzione), come accaduto per gli altri reati di cui all’art. 12, comma 5, T.U. IMM., visto a ben leggere, le domande presentate da NOME COGNOME erano relative a pratiche di emersione del lavoro irregolare e quindi integravano in toto la fattispecie di favoreggiamento della permanenza in territorio nazionale e non già quella del comma 3.
In ordine al reato di cui al capo E), premesso che, esclusa l’aggravante del fine di profitto, il reato avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione, si censura c illogica e contraddittoria la sentenza impugnata laddove, da un lato, era arrivata ad assolver correo NOME COGNOME per non aver commesso il fatto e, dall’altro, aveva confermato la condanna di COGNOME nonostante il primo Giudice, dalla lettura della conversazione telefonica n. 9688, avesse concluso che “da tale passaggio si comprende come il COGNOME NOMECOGNOME rendendosi disponibile a presentare le domande era una pedina nel disegno criminoso architettato dal COGNOME” (pag. 35 sentenza di primo grado).
Del tutto travisato era anche il contenuto delle ulteriori conversazioni implicitam richiamate dalla Corte di assise di appello e, segnatamente:
della conversazione n. 9460 del 12 febbraio 2013, nella quale parlano due persone identificate solo come “UOMO 1” e “UOMO 2” e si fa riferimento a tale “NOME“, senza che si spieghi perché questi avrebbe dovuto essere identificato nel ricorrente,:
della conversazione n. 10356 del 21 febbraio 2013, nella quale NOMECOGNOME in riferimento a documenti e e-mail da inviare, dice di doversi rivolgere “ad un commercialista che lo sa fare” e non al COGNOME.
Il reato contestato sarebbe, quindi, addebitato a COGNOME sulla base di congetture e supposizioni derivanti dalla mera circostanza che COGNOME NOME conoscesse il ricorrente.
In ordine al capo F) dell’imputazione, premesso che, esclusa l’aggravante del fine di profitto, il reato avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione, si censu decisione avversata per aver travisato, come quella di primo grado, il contenuto de conversazioni ambientali n. 9373 e n. 9374 del 22 febbraio 2012 anche in ordine ai potenzia interlocutori, posto che COGNOME non era affatto identificato o identificabile tra i loquenti.
Del resto, anche le altre conversazioni captate ai nn. 3, 5, 7, 18, 29, 66 e 1 apparivano del tutto irrilevanti, in quanto aventi ad oggetto contenuto non attinente ai d’indagine.
In ordine al capo G), reiterata la doglianza sulla mancata declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, si rinnovano le censure di travisamento delle conversazioni intercetta con riferimento a quelle contraddistinte dai numeri 9373 del 22 febbraio 2012, 10042 del 2 gennaio 2013 e 66 del 15 novembre 2012, queste ultime due intercorse tra soggetti non identificati.
Si deduce, inoltre, l’illogicità della motivazione per aver valorizzato l’assenz lavoratori all’atto dei controlli effettuati presso i datori di lavoro, controlli che, tut avvenuti nel periodo invernale, mentre il nulla osta era stato rilasciato per lavoro stagion agricoltura e, quindi, era ipotizzabile che il lavoro venisse svolto durante l’estate o l parte dell’autunno.
In ordine al capo I), oltre alla consueta doglianza sulla prescrizione del reato, s rinnovano le censure di travisamento delle conversazioni captate, con riguardo a quelle recant i numeri 6158 del 6 febbraio 2013 e i numeri 2191 e 322 (di queste ultime due si è già detto precedenza).
Quanto alla conversazione telefonica n. 6150, si segnala, in particolare, da un lato mancato coinvolgimento in essa di COGNOME e, dall’altro, il travisarnento del contenuto de dialogo intercettato, con riferimento alla mancata giustificazione addotta dal coimput COGNOME in merito all’assenza del lavoratore per il quale aveva presentato domanda di emersione.
Sul punto, ribadisce la difesa che il decreto flussi 2012 riguardava lavoratori stagi da adibirsi a lavori agricoli e, quindi, sicuramente utilizzati nel periodo estivo e autun 2012, sicché, al momento del controllo operato dalla Squadra Mobile di Ancona nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2013, detti lavoratori ben potevano non essere più presenti ( richiama, sull’argomento, la testimonianza resa dall’Isp. COGNOME all’udienza del 23 novembre 2015).
Ad ogni modo, trattandosi di richieste e nulla osta ritirati (se ritirati) pochi mes dell’avvenuto controllo di polizia, appariva anche del tutto legittimo e comprens eventualmente che i lavoratori potessero non essere entrati nel territorio nazionale.
Arbitraria e inaccettabile era, quindi, la sintesi valutativa della Corte di assise di circa il “chiarissimo e inequivoco contenuto” della intercettazione in commento.
Immotivatamente era stata ritenuta la sussistenza dell’aggravante prevista dal comma 3, lett. d), dell’art. 12 T.U. IMM., data per scontata solo sul presupposto che gli impu conoscessero tra loro.
In ordine al capo K), esclusa l’aggravante del profitto, la prova di responsabilità s fonderebbe sui controlli operati dalla P.G. presso la ditta del COGNOME in data 21 febbrai 2013 e sulle conversazioni captate nn. 2061-2062-2063.
Quanto ai primi, si richiamano le deduzioni già svolte con riguardo al capo I).
Quanto alle seconde, si eccepisce, da un lato, che COGNOME non sarebbe in esse identificabile come uno dei conversanti, dall’altro, che nulla proverebbero sulla responsabilità.
Inoltre, si censura la sentenza impugnata per essersi limitata a richiamare la sentenz di primo grado senza vagliare compiutamente e con adeguate argomentazioni i motivi di gravame.
Sulla conversazione n. 2191 si richiamano le critiche esposte in precedenza.
Si ribadisce l’erroneità della contestazione dell’aggravante del concorso di tre persone
Quanto al capo J), esclusa l’aggravante del profitto, la prova di responsabilità fonderebbe sulle dichiarazioni del coimputato COGNOME, sui controlli di P.G. effettuati presso ditta del suddetto e sulle conversazioni captate nn. 2:170, 2191 e 2196, valutati quali eleme di riscontro del narrato del COGNOME.
L’imprenditore in questione aveva dichiarato di essersi sempre rivolto allo COGNOME e di non aver, comunque, mai presentato richieste di nulla osta per l’anno 2102, circostanz dalla quale la Corte di merito aveva inferito acriticamente che dette richieste fossero presentate dal COGNOME all’insaputa del datore di lavoro.
Al tempo stesso, COGNOME aveva dichiarato di non essere mai stato contattato per l’anno 2012 dalla Prefettura di Ancona sia per il caso di accoglimento che per il caso di rig delle richieste in esame, come, invece, sempre avvenuto negli anni precedenti.
In ordine ai controlli di P.G., si richiamano i rilievi sviluppati in precedenza.
Quanto alla conversazione n. 2170 del 17 dicembre 2012, essa risulta intercorsa tra un uomo non identificato (non l’odierno ricorrente) e lo COGNOME (“COGNOME“) e avrebbe ad oggetto lonze, un motore, una persona che abita ad Ancona e un non meglio precisato “macello” di cui non è dato capire nulla.
Anche le conversazioni n. 2191 (della quale si è già detto) e n. 2196 del 18 dicembr 2012 nulla apporterebbero al “teorema” sulla colpevolezza del ricorrente.
In ordine al capo M), esclusa l’aggravante del profitto, si censura che la sentenza abbia fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato esclusivamente sulle dichiarazioni rese NOME COGNOME che, al contrario di quanto ritenuto dai giudici di merito, sarebbero risul tutt’altro che attendibili e credibili oltre a non essere riscontrate in alcun modo ed travisate dai giudici.
4.4. Con il quarto motivo, si denunciano violazione di legge in relazione agli artt. 192 194 e 195 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
I giudici di merito avrebbero arbitrariamente utilizzato le dichiarazioni rese dai testi NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME a dimostrazione della responsabilità di COGNOME senza che tali dichiarazioni risultassero suffragate da adeguati riscontri e motivando il proprio convincimento in contrasto con risultanze probatorie e, in parte, in modo apparente. a
Nel motivo in esame, si dedica ampio spazio alla deposizione dello COGNOME della quale si mettono in luce pretese incongruenze, incompletezze e contraddizioni, prima fra tutte quell afferente al contrasto tra il contenuto della denuncia del 6 luglio 2012, in cui egli afferm aver subito minacce da NOME COGNOME al quale aveva richiesto la restituzione dei 12.000,00 euro pagati per entrare in Italia, visto che la pratica di regolarizzazione non era andata a fine, e la successiva dichiarazione resa in dibattimento, in cui aveva riferito di essere minacciato anche da COGNOME
La difesa rimarca lo speciale interesse nutrito da COGNOME nello sporgere denuncia, costituito dall’ottenimento di un permesso di soggiorno per ragioni di giustizia, che lo stra effettivamente, aveva ottenuto, lamentando il controllo poco rigoroso effettuato dai giudic merito sull’attendibilità delle sue dichiarazioni, non riscontrate da altri elementi e af mere congetture.
Analoghe considerazioni critiche vengono svolte sulla deposizione di NOME COGNOME anch’essa priva di elementi di riscontro, affidata a “voci correnti nel pubblico”, in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 194 e 195 cod. proc. pen., e, con part riferimento all’avvenuto pagamento di una somma di denaro al RAHN1AN, smentita dalle date del decreto-legge (1° luglio 2009) e della legge di conversione (3 agosto 2009) relativi alla sanatoria emersione del 2009, successive a quella in cui il teste avrebbe collocato la dazione denaro all’imputato (marzo o, al più tradi, giugno 2009).
La testimonianza di NOME COGNOME non sarebbe credibile neppure circa l’antefatto sulla raccolta di denaro da parte dei suoi genitori e sulla successiva consegna ad intermediario in Bangladesh, che poi lo avrebbe fatto pervenire al dichiarante, senza, però, c risultasse alcun elemento di riscontro, trattandosi di denaro contante.
Anche per detto teste valevano le considerazioni sull’interesse alla denuncia spese pe COGNOME tanto che anche lui, come l’altro, aveva ottenuto il permesso di soggiorno e lavorava.
Illogica era la motivazione circa la valutazione della testimonianza dell’imprendi COGNOME.
Questi non aveva mai avuto contatti diretti con COGNOME e se fosse stata vera la supposizione dei giudici di merito in ordine alla fraudolenta presentazione di domande di nu osta per l’anno 2012 all’insaputa del dichiarante, in qualche modo costui sarebbe sta contattato dalla Prefettura di Ancona, cosa che non era avvenuta e che avrebbe reso necessario escutere, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., il personale del SUI di quella ci
D’altro canto, non era dato capire come le Corti marchigiane avessero tratto grand certezze dalla sola testimonianza del COGNOME per ritenere provato che le domande di nulla osta presentate nel 2012 fossero state inoltrate proprio dal ricorrente e/o da NOME COGNOME così da pervenire alla condanna del COGNOME quando dalla testimonianza dell’Isp. COGNOME era emersa l’impossibilità di accertare da quale indirizzo IP potessero provenire domande inviate telematicamente.
Era mancato in motivazione, in ogni caso, A rigoroso vaglio delle dichiarazioni d COGNOME, imposto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Sul travisamento del contenuto delle conversazioni intercettate, utilizzate in senten quali elementi di riscontro del dichiarato dell’imprenditore, si è già detto in precedenza.
La testimonianza resa da NOME COGNOME sarebbe stata travisata dai giudici territoriali oltre che essere reticente e contraddittoria ‘m più punti.
Le sentenze avrebbero estrapolato i soli passaggi ritenuti utili a una pronuncia condanna senza valutare la deposizione nella sua interezza, specie con riferimento all circostanza di non essersi presentato alla Prefettura competente di sua volontà perché non più interessato all’assunzione del lavoratore straniero e ciò solo in seguito ad un colloquio c suo avvocato.
Si muovono, poi, censure sulle conversazioni mtercettate, criticando la superficialità valutazione delle trascrizioni e la loro interpretazione “a senso unico”.
Si critica, inoltre, il passaggio motivazionale sulla certezza della identificazio conversanti, osservandosi, sul punto, che se era vero che parte delle captazioni era sta effettuata all’interno degli esercizi commerciali del RAHMAN, era altrel:tanto vero che in qu occasioni non vi era stato alcun accesso della P.G., né vi era stato l’accertamento sulla effet presenza dell’imputato in quei locali.
4.5. Con il quinto motivo di ricorso, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen., 530, comma 2, e 533 cod. proc. pen.
L’imputato avrebbe dovuto essere assolto ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen., non essendo stata la sua responsabilità dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il diniego delle attenuanti generiche sarebbe motivato con formule di stile e non avrebbe tenuto conto dell’incensuratezza dell’imputato.
Parimenti apodittica sarebbe la motivazione addotta a giustificazione dell’entità de pena inflitta, oltre che viziata da disparità di trattamento rispetto agli altri imputati.
5. Ricorso di NOME COGNOME
5.1. Con il primo motivo, si eccepisce l’incompetenza per territorio della Corte di assise di Ancona per le ragioni, comuni agli altri ricorrenti, già esposte in premessa.
5.2. Con il secondo motivo, si deducono vizio di motivazione e travisamento della prova in riferimento alle conversazioni telefoniche prog. nn. 9733-9734 del 22.2.2013 e al domanda di emersione relativa a Manjur ALAM.
Si rileva che, quanto meno con riguardo allo straniero COGNOME, era emersa l’esistenza e la perduranza di un rapporto di lavoro, sicché non sussisteva l’elemento oggetti del reato contestato in relazione alla normativa sull’emersione, ma era ravvisabile un pale travisamento della prova e della sua portata con diretto riflesso sul capo F) in ordine al q era intervenuta condanna.
Quanto alle contestate assunzioni fittizie correlate ai flussi del 2012, la difes ricorrente assume come non conducenti le conversazioni intercettate il 22 febbraio 2013, al là dell’incertezza sull’interlocutore del COGNOME in quanto quest’ultimo non ammette mai presunti addebiti, anzi, sembra rifiutare le ipotesi di sospetta natura delittuosa.
In sostanza, nessuna prova era stata raggiunta circa la fittizietà dei rapporti di l sottesi alle richieste di nulla osta per flussi stagionali né per emersione del lavoro irregol
Nessuna prova era stata acquisita in ordine al profitto economico conseguito dal COGNOME né era mai risultato che egli avesse percepito somme oscillanti tra i 1.000,00 e 5.000,00 euro, come contestato nel capo d’accusa.
5.3. Con il terzo motivo, si denunciano vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento alla sussistenza delle aggravanti di cui ai commi 3, lett. d), e 3 -ter, lett. b), art. 12 T.U. IMM.
Si contesta, in primo luogo, il ricorso a mere presunzioni per dimostrare il fi profitto, la prova del quale non era emersa per nulla dal dibattimento, ‘:anto che i testi op presso la Questura avevano riconosciuto di non aver minimamente approfondito tale aspetto della vicenda.
5.4. Con il quarto motivo, si eccepiscono mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, nonché apparenza della motivazione.
La sentenza della Corte di Assise di appello, senza dar conto degli specifici motivi gravame, aveva mostrato di prestare adesione alla decisione di primo grado in modo apodittico e stereotipato, non integrando, quindi, la tipologia della motivazione per relationem, ma concretando una vera e propria elusione dell’obbligo motivazionale, previsto a pena di nulli dall’art. 125 cod. proc. pen.
Che il giudice di secondo grado non avesse effettuato un’attenta lettura degli atti processo sarebbe emerso:
da pag. 35 della sentenza, in cui si affermava che nessun bengalese aveva lavorato per gli imprenditori richiedenti, circostanza smentita, come detto, in relazione al lavor COGNOME;
dalla successiva pag. 39, a proposito dell’affermata e incontestata esistenza di un stretto e stabile rapporto tra COGNOME e COGNOME desumibile dai colloqui intercorsi tra i due.
A quest’ultimo riguardo, la difesa del ricorrente assume che dalle trascrizioni acqui non risultava che COGNOME stesse parlando con COGNOME e che gli argomenti di cui trattava nella conversazione n. 9734 del 22 febbraio 2013 non avevano nulla a che fare con i fatti causa, come ad esempio i presunti pagamenti della SIAE.
Discrezionale e apodittica si rivelava, quindi, l’affermazione di pag. 41, secondo cu conversazioni monitorate sarebbero state attinenti alle contestazioni mosse al COGNOME.
Ulteriori contraddizioni si rileverebbero, a detta della difesa, a pag. 40 della sent impugnata, laddove si dice che il fatto che l’imprenditore COGNOME non avesse avuto neanche “in nero” alle proprie dipendenze un cittadino straniero “costituisce sicuro riscon dell’utilizzo del COGNOME e del COGNOME dei documenti e dei nominativi” a sua insaputa.
Tale asserzione, tuttavia, confliggerebbe in modo vistoso con il proscioglimento de COGNOME dal reato sub C), sicché risultava illogico ritenere un coinvolgimento del COGNOME insieme al predetto nell’utilizzo di documentazione all’insaputa di COGNOME
5.5. Con il quinto motivo, si deduce vizio di motivazione in riferimento all’aggravante di cui al comma 3-ter dell’art. 12 T.U. IMM. e al trattamento sanzionatorio.
Quanto al fine di profitto, si rimarca la mancata emergenza, in esito all’istrut dibattimentale, di quale fosse stato il guadagno, diretto o indiretto, del COGNOME, sicché tale aggravante sarebbe stata solo presunta con motivazione del tutto apodittica.
Si lamenta, inoltre, l’eccessiva severità della pena inflitta all’imputato, in presenza estremi per la concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.
Ci si duole, ancora, della carenza della motivazione a proposito del confermato diniego di riconoscimento delle attenuanti generiche, nonostante la proposizione di specifica censur nell’atto di gravame.
6. Ricorso di NOME COGNOME.
6.1. Con il primo motivo, si eccepisce l’incompetenza per territorio della Corte di assise di Ancona per le ragioni, comuni agli altri ricorrenti, già esposte in premessa.
6.2. Con il secondo motivo, si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’affermazione della penale responsabilità per il reato di cui al capo K).
Ad avviso della difesa del ricorrente, l’istruttoria dibattimentale non aveva dimost che COGNOME non avesse intenzione di assumere lavoratori, né che fosse consapevole della fittizietà delle richieste inoltrate a suo nome; soprattutto, non era emerso che quelle rich di assunzione fossero state effettivamente inoltrate dall’imputato.
Veniva indicata fra le prove a carico la testimonianza dell’Isp. COGNOME dalla qual tuttavia, era soltanto emerso che presso il SUI di Ancona erano state presentate a nome di NOME COGNOME le pratiche per il rilascio di nulla osta per flussi stagionali relativi al 2012, ma nessuna certezza era stata raggiunta circa un effettivo ingresso dei lavorator stranieri in Italia.
Dalla stessa testimonianza, inoltre, era emerso che gli inqui-enti non erano stati grado di risalire con certezza a chi avesse effettivamente inviato telematicamente le domande di nulla osta, mentre, quanto alle domande di emersione, nei casi in cui si era riusciti a r alla provenienza, era stato individuato un indirizzo IP intestato al COGNOME e non COGNOME che con lo straniero non aveva nulla a che fare.
Quanto alle conversazioni intercettate con i nn. 2061, 2062 e 2063, oltre ad adombrarsi il dubbio sulla identificazione vocale dei loquenti, si rimarca come in esse gli interlo diversi dal COGNOME, vengano identificati genericamente in “uomo 1” e “uomo 2”, e come da esse non derivi alcuna certezza circa la partecipazione attiva del ricorrente al dise criminoso eventualmente posto in essere dai conversanti.
Né risolutivi elementi di prova erano emersi dalle conversazioni n. 996 e n. 1018.
Nella prima, si faceva genericamente riferimento a un pagamento INPS senza indicarne l’oggetto; nella seconda, si era in presenza di una banale conversazione tra l’imputato figlio, in cui nulla si diceva se non che dovesse consegnare un foglio allo COGNOME (“COGNOME“).
Ugualmente irrilevante doveva considerarsi la conversazione n. 2191, intercorsa tra due soggetti diversi dal COGNOME
6.2.1. Mancava anche la prova dell’elemento soggettivo del reato, non essendo emersa da nessuna delle conversazioni monitorate la consapevolezza, da parte del COGNOME di aver voluto favorire l’ingresso illegale di stranieri.
Irrilevante, a tal fine, il fatto che non fossero stati rinvenu’:i lavoratori s momento del controllo effettuato dalla polizia giudiziaria, risalente al febbraio 2013, o quando già il presunto contratto di lavoro stagionale poteva dirsi esaurito e con accertamen eseguito non presso l’azienda, ma presso l’abitazione dell’imputato.
6.2.2. Si contesta, poi, la sussistenza dell’aggravante di cui al comma 3, lett. d), assenza di contatti diretti tra COGNOME e COGNOME non risultanti da intercettazioni telefoniche o ambientali.
D’altro canto, la spiegazione più plausibile del rapporto tra l’imputato e NOME COGNOME andava ricondotta a ragioni di amicizia e colleganza, atteso che i due svolgevano la stessa attività lavorativa e lo COGNOME aveva accettato di aiutare l’amico per inoltrare un domanda di lavoro stagionale.
6.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione in riferimento alla circostanza aggravante del fine di profitto, di cui al comma 3 -ter, lett. b), dell’art. 12 T.U. IMM., e al trattamento sanzionatorio.
Quanto alla prima, si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto dimostrata la fina di profitto da alcune conversazioni non coinvolgenti COGNOME e dalla presenza di un bollettino INPS, di per sé lecita e inconferente.
Quanto al secondo, ci si duole del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., che avrebbe precluso il giudizio di bilanciamento con le contestate aggravanti.
7. Ricorso di NOME COGNOME.
7.1. Con il primo motivo si eccepisce l’incompetenza per territorio della Corte di assise di Ancona per le ragioni, comuni agli altri ricorrenti, già esposte in premessa.
7.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato sub capo I), nonché travisamento della prova i relazione alla conversazione telefonica prog. n. 6158 del 6 febbraio 2013 e alla domanda d emersione concernente NOME
Premesso che l’unica fonte di prova apprezzata a carico del ricorrente è costituita dal indicata conversazione, se ne contesta l’estrapolazione frammentaria di poche frasi che, s lette all’interno del reale contesto, fornirebbero la dimostrazione opposta a quella ritenu sentenza, evidenziando esclusivamente l’agitazione di un soggetto incensurato a fronte di un’indagine di rilievo penale, che è all’oscuro della domanda di emersione e che non conosce nemmeno il nome di COGNOME genericamente individuato come un “pakistano”.
Quanto al tenore della conversazione n. 6158, se ne contesta il travisamento, assumendosi, da un lato, l’irrilevanza della frase iniziale “per quella faccenda lì”, dall’a coerenza delle parole “poi risulta uno che io l’ho messo in regola, che fatica qui da me” quanto accertato dagli inquirenti a proposito dell’invio di una domanda di emersione, di l’imputato nulla sapeva, da un indirizzo IP sconosciuto, che si suppone riferibile al RAHAMN ma non al COGNOME.
Anche l’interlocutore COGNOME dimostrava con le sue parole di non essere a conoscenza della presentazione di quella domanda, continuando a parlare di “flussi” stagionali mentre si trattava di una richiesta di emersione di lavoro irregolare, tutto ciò a ult riprova della buona fede del ricorrente e del travisamento operato dalla Corte di merito.
Quanto alle ulteriori intercettazioni nn. 2191 e 322, richiamate in sentenza, si ri come esse, di cui vengono riportate estrapolazioni fuorvianti, attestino semplicemente ch alcune pratiche, relative a “flussi”, erano intestate al COGNOME, circostanza pacifica, m irrilevante sul piano della sottesa originaria finalità delittuosa.
Si eccepisce, in definitiva, la violazione delle regole di valutazione della prova d all’art. 192 cod. proc. pen.
7.3. Con il terzo motivo, si denunciano, in riferimento alla sussistenza delle contestate aggravanti di cui ai commi 3, lett. d) e 3-ter, lett. b), violazione di legge e vizio di motivazione, nonché travisamento della già indicata conversazione n. 6158.
Si lamenta il ricorso a mere presunzioni per la dimostrazione della finalità di prof non essendo emerso da alcun atto processuale che l’imputato avesse percepito qualsiasi profitto di natura economica o lo avesse richiesto o ne avesse parlato.
Irrilevante sarebbe il richiamo, operato dal giudice di appello, alle conversazioni 2191 e 322 che vedevano coinvolto il coimputato COGNOME dalle quali il giudice medesimo aveva dedotto che tutti gli imprenditori sarebbero stati pagati al pari del COGNOME
circostanza, quest’ultima, che peraltro si porrebbe in contrasto con quanto accertato confronti degli imprenditori COGNOME e COGNOME
Analogamente carente sarebbe la motivazione circa la configurabilità dell’aggravante delle tre o più persone in concorso, nulla essendo emerso, con riguardo al caso specifico, cir la condotta dello COGNOME e delle modalità con cui sarebbero stati messi in contatto i COGNOME e il COGNOME
7.4. Con il quarto ed ultimo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. p e al trattamento sanzionatorio in genere.
Anche volendosi accedere all’impostazione accusatoria, la partecipazione dell’imputato al fatto delittuoso ascrittogli si configurerebbe come minima e di importanza trascurabile.
Il pacifico riconoscimento del carattere di aggravante delle fattispecie previste comma 3 dell’art. 12 T.U. IMM. avrebbe dovuto produrre il giudizio di bilanciamento dell circostanze previsto dall’art. 69 cod. pen., non effettuato nel caso di specie malgr l’avvenuta concessione delle attenuanti generiche, dovendosi evidenziare che il divieto bilanciamento previsto dal comma 3-quater del citato art. 12 concernerebbe solo le aggravanti previste dai commi 3-bis e 3-ter, ma non quella di cui al comma 3: la Corte di merito avrebbe dovuto prima bilanciare le attenuanti generiche con l’aggravante prevista dal comma 3 e, sol successivamente, operare l’aumento previsto dal comma 3-ter sulla pena prevista dal primo comma, così garantendo una pena più aderente al caso concreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno respinti perché, nel complesso, infondati.
01. Va, in primo luogo, respinto il comune motivo con il quale i ricorrenti contesta anche in questa sede, la competenza territoriale della Corte di assise di Ancona.
Come noto, in tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considera l’associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rili non tanto il luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (tra molte, Sez. 6, n del 10/01/2018, Piccolo, Rv. 272185).
La giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, precisato che, in tema di competenza per territorio determinata da connessione, l’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, una deroga assoluta ed esclusiva agli ordinari cr di determinazione della competenza sicché, ove si proceda per uno qualsiasi di essi e per reat connessi, anche più gravi, la competenza territoriale del primo esercita una “vis actractiva”
anche sugli altri (per tutte, Sez. 1, n. 16123 del 12/11/2018, dep. 2019, Confl. comp. in p COGNOME e altri, Rv. 276391).
Atteso che il reato di associazione per delinquere finalizzato a reati di favoreggiame dell’immigrazione clandestina, originariamente contestato a sei imputati, è compreso ne catalogo dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, citato, del tutto correttamente, nella specie, è stata radicata la competenza per territorio presso la Corte di assise di Ancona, in quanto, co unanimemente opinato dai giudici di merito coinvolti nel processo, ad Ancona si è manifestata l’operatività della struttura de qua, come reso palese dalle circostanze della residenza in quella città dei promotori e della individuazione, nella stessa città, del luogo di ideazione delle realizzati dai sodali (in particolare, nei negozi gestiti da RAHMAN).
Infondate, pertanto, sono le censure mosse al riguardo dai ricorrenti anche nell presente sede di legittimità.
02. Va, poi, ricordato, trattandosi di tema sviluppato in tutti i ricorsi, che, in ma intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle mass esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/ Sebbar, Rv. 263715).
1. Ricorso di NOME COGNOME
1.1. Sul primo motivo, afferente alla pretesa incompetenza per territorio della Corte assise di Ancona, si richiamano le considerazioni già esposte in premessa per tutti i ricorrent
1.2. Infondato è il secondo motivo, con il quale si deducono vizio di motivazione travisamento della prova in riferimento alle conversazioni telefoniche prog. nn. 9373-9374 d 22 febbraio 2013 e alla domanda di emersione relativa a COGNOME ALAM.
ALAM viene menzionato esclusivamente nel capo F) della rubrica, con riferimento all’ipotesi di una procedura di emersione dal lavoro irregolare integrante il reato di cui 12, comma 5, d.lgs. n. 286/1998.
Ebbene, tale reato è stato dichiarato estinto per prescrizione in esito al giudiz appello, sicché, in mancanza di rinuncia espressa alla causa estintiva del reato, i relativi debbono reputarsi inconferenti.
Né si comprende come l’adombrata insussistenza del fatto relativo al suddetto straniero possa riverberarsi sulle residue ipotesi delittuose contestate nel capo, concernenti dive immigrati.
Quanto alle contestate assunzioni fittizie correlate ai flussi del 2012, la difes ricorrente assume come non conducenti le conversazioni intercettate il 22 febbraio 2013, i quanto in esse COGNOME non ammetterebbe gli addebiti a lui contestati, anzi, esprimendo la volontà di non essere coinvolto in attività illecite.
Tali deduzioni tradiscono una lettura solo parziale delle captazioni, delle qua sentenza di primo grado riporta ampi brani (pagg. 21-26).
Come condivisibilmente osservato dal primo giudice, cui quello d’appello si è richiamat per relationem, in esse COGNOME cercava di convincere il coimputato a utilizzare nuovamente (il che, ovviamente, significa che era già successo in passato), per la comune atti delittuosa, le imprese di cui moglie e figlia del COGNOME erano titolari, puntualmente indic con i rispettivi nomi di “Cafe del Mar” (di NOME COGNOME, moglie di COGNOME) e di “NOME (di NOME COGNOME, figlia del ricorrente). Di fronte alle perplessità nutrite dall’interl dovute al recente controllo subito dalla moglie (il 30 gennaio 2013) ad opera della Polizi Stato, volto a verificare la presenza, presso la sua azienda, di lavoratori stranieri, COGNOME ricorda gli importi già guadagnati da COGNOME nello svolgimento di quell’attività illecita e avrebbe guadagnato di nuovo (“…tu guadagnare da solo 500 euro come 1000…”).
La testimonianza fornita dalla Ispettrice COGNOME all’udienza del 23 novembre 2015 dimostra, secondo la lineare ricostruzione dei giudici di merito, come le perplessità manifest da COGNOME al COGNOME siano state, poi, superate, dal momento che presso il SUI di Ancona risultavano presentate a nome di NOME COGNOME e NOME COGNOME le pratiche per il rilascio di nulla osta per flussi stagionali indicate nel capo d’imputazione e a nome di NOME COGNOME la pratica di emersione relativa al cittadino straniero NOME COGNOME
La teste ha ricordato, peraltro, come presso le attività commerciali delle prede imprenditrici (le già menzionate società “Ella” – che gestiva lo chalet “Azzur Montemarciano – e il “Café del Mar”), nonché a casa della COGNOME (riguardo alla pratica di emersione, atteso che il lavoratore straniero avrebbe dovuto svolgere le mansioni d domestico), non siano stati trovati i cittadini stranieri oggetto di contestazione.
Né colgono nel segno i rilievi, comunque generici, sviluppati in ricorso a proposito de dubbia identificazione nel COGNOME dell’interlocutore del COGNOME, rilievi che trascurano la congrua motivazione fornita sul punto dal giudice di primo grado a pag. 27 della sentenza laddove si fa riferimento al riconoscimento della voce di COGNOME da parte del perit trascrittore (come indicato nella nota del 14 giugno 2018), alla effettuaz dell’intercettazione “ambientale” all’interno del negozio di bigiotteria gestito dall’imputat intercettazione di alcune conversazioni telefoniche sull’utenza n. 3338641242 in uso RAHMAN: elementi, quelli elencati, non oggetto ch specifiche contestazioni da parte del ricorrente.
1.3. Del tutto infondata, anche in diritto, la censura circa il preteso difetto di pr conseguimento del profitto da parte di COGNOME, replicata anche nel terzo e nel quinto motivo di ricorso.
Va ricordato che, in tema di delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestin aggravato dal fine di profitto, da intendersi quale utilità in senso economico patrimoniale ( 1, n. 35510 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276613), quel che rileva, in tutta evidenza, no
l’avvenuto conseguimento del profitto, ma la circostanza che l’agente si sia determinato delinquere spinto da tale motivazione. Come sempre, quando viene in rilievo un dolo specifico, ciò che conta è che l’azione si sia diretta verso la finalità indicata, indipendentemente dall concretizzazione (v., ancora, Sez. 1, n. 35510 del 2019, cit., in motivazione).
Che ciò sia pacificamente accaduto con riferimento a COGNOME emerge dal chiaro tenore delle conversazioni di cui si è prima dato conto, interpretate dal giudice di merit valutazione non manifestamente illogica, che, in quanto tale, non può essere sindacata in sede di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
1.4. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, con il quale si eccepisco mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, nonché apparenza della motivazione.
Giova rammentare che la motivazione “per reléiPtionem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigen giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti cori la sua decisione; 3) l’atto di rife quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attual l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di grava conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv. 216664).
Va aggiunto che, in tema di integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi d primo e di secondo grado, il giudice dell’appello può motivare per relazione se l’impugnazio si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente ris primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate mentre, qualora siano formulate censure specifiche o introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore, è affetta da vizio di motivazione la sentenza di appello che si l respingere le deduzioni proposte con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici rispetto alle Acampa, Rv. 278611). risultanze istruttorie (Sez. 6, n. 5224 del 2/10/2019, dep. 2020
Infine, va ricordato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’e accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogic motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fer restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., 277758).
Tanto premesso, va detto che la Corte di assise di appello si è, nella sostanza, attenu ai principi ora enunciati, essendosi legittimamente avvalsa, peraltro solo in parte, della te di motivazione per relationem in quanto la gran parte delle questioni dedotte in questa sede di legittimità erano già state correttamente risolte dal primo giudice.
Richiamato quanto già osservato sul caso del lavoratore straniero ALAM, oggetto di pronuncia di estinzione per prescrizione in appello, il Collegio non può che stimare del t infondati i rilievi di una “disattenta lettura” mossi ai giudici del gravame.
Sul fatto che il legame tra COGNOME e COGNOME fosse collaudato, la Corte di secondo grado ha correttamente apprezzato le conversazioni captate (di cui si è già dato conto inequivocamente rivelatrice di un modus operandi illecito già collaudato in passato con riferimento ad altri lavoratori stranieri, sempre tramite l’utilizzo delle aziende della della figlia del ricorrente.
Sulla dimostrata identità del COGNOME quale interlocutore di COGNOME nelle conversazioni in questione si è già detto.
Che alcuni argomenti trattati nella conversazione n. 9374 del 22 febbraio 2013 potessero esulare dall’attività delittuosa contestata non significa che, come già esposto quella conversazione si sia parlato anche (e soprattutto) dell’attività di favoreggiam dell’immigrazione clandestina, atteso che proprio in detto dialogo COGNOME fece riferimento agli importi già percepiti e spettanti a COGNOME e alla eventualità di reperire nuovi dator lavoro disponibili a presentare domande al posto della figlia e della moglie del ricorrente, individuati nel coimputato NOME COGNOME
De tutto fuori luogo, pertanto, è l’asserzione per cui il materiale captativo inerirebbe ai reati ascritti a COGNOME.
Né hanno pregio le censure di contraddittorietà della motivazione con riferimento a capo C), visto che il teste COGNOME ha reso dichiarazioni accusatorie nei confronti del sol COGNOME il che spiega l’assoluzione di COGNOME dallo stesso capo.
Diversamente da quanto prospettato dalla difesa, priva di incongruenze è, poi, l’affermazione della Corte di secondo grado, secondo la quale la circostanza che l’imprenditor COGNOME non avesse avuto neanche “in nero” alle proprie dipendenze un cittadino straniero costituiva sicuro riscontro dell’utilizzo, da parte di COGNOME, dei documenti e nominativi a sua insaputa, atteso che il suddetto teste ha riferito di aver consegnat ricorrente i documenti relativi alla propria attività alberghiera per l’assunzione di solo u massimo due lavoratori, mentre, secondo quanto narrato dall’Ispettrice COGNOME a nome di NOME COGNOME vennero presentate tre domande relative al decreto flussi stagionali 2012, riguardanti i cittadini bengalesi indicati in rubrica, e una domanda di emersione pe stesso anno, senza che nessuno dei quattro lavoratori venisse mai trovato presso l’albergo dell’imprenditore.
1.5. Infine, è stata correttamente disattesa la doglianza sulla eccessività della pe dedotta dalla difesa in ragione dell’asserita marginalità del ruolo rivestito dal ricorrente, conto della logica risposta fornita sul punto dalla Corte di merito nel valorizzare il numero istanze presentate, la durata dell’attività delittuosa e d coinvolgimento di ignari imprenditor
Non oggetto di specifico motivo di appello è la censura sul diniego di riconosciment delle attenuanti generiche, che, quindi, è improponibile nella presente sede.
Va detto che, in ogni caso, si reputa sufficientemente adeguata la considerazione spesa dal primo giudice sulla totale assenza di elementi positivi rappresentati dalla difesa (Sez. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489).
2. Ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Sul primo motivo, afferente alla pretesa incompetenza per territorio della Corte assise di Ancona, si richiamano le considerazioni già esposte in premessa per tutti i ricorren
2.2. Infondato è il secondo motivo, con cui si deducono violazione di legge e vizio motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato sub capo I), nonché travisamento della prova in relazione alla conversazione telefonica prog. n. 6158 del 6 febbraio 2013 e a domanda di emersione concernente NOME MIAH.
Va ribadito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazio l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia cript cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, l se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindac legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Conformemente al consolidato principio enunciato, rileva il Collegio che la prova responsabilità del ricorrente è stata correttamente inferita (arche) dal tenore conversazione di cui sopra, interpretata in modo non illogico dai giudici dei due gradi merito
Il dialogo con NOME COGNOME detto ‘COGNOME“, soggetto coinvolto in numerose pratiche illecite gestite da COGNOME, viene captato proprio nei frangenti in cui COGNOME stava subendo un controllo di polizia presso la sua azienda, finalizzato ad accertare la presen dei lavoratori stranieri per i quali il ricorrente aveva presentato domanda in relazi decreto flussi 2012 e alla procedura di emersione di lavoro irregolare.
I giudici territoriali, con un iter argomentativo del tutto scevro da vizi logici, hanno collegato la palese preoccupazione mostrata dall’imputato all’interlocutore non al sempli fatto della sottoposizione a un controllo di polizia, come prospettato dalla difesa, ma al che quel controllo, peraltro inaspettato, non poteva che essere ricondotto a quella specif attività illecita di cui COGNOME era pienamente all corrente, così come COGNOME poiché, altrimenti, non avrebbe avuto alcun senso contattare subito il primo per chiedergli com giustificare l’assenza di lavoratori presso la sua azienda e :spingerlo ad avve immediatamente NOME
Del tutto plausibilmente sono state giudicate coerenti con il coinvolgimento, anch soggettivo, dell’imputato nel reato ascrittogli al capo I) alcune significative espressioni “poi risulta uno che io l’ho messo in regola, che fatica qui da me”, relativa alla domanda di emersione dal lavoro irregolare, fatto estinto per prescrizione, e “sono venuti per quella faccenda lì”, indicativa del consapevole comune coinvolgimento in quella determinata attività illecita.
Altrettanto coerente con il contesto illecito è stato esattamente ritenuto il suggerim indirizzato da COGNOME a COGNOME di non rivelare, pur se gli fosse stato richiesto dalla Polizia, il nome di COGNOME come quello che lo aveva aiutato a inoltrare le pratiche di lavor ma di limitarsi, semmai, a indicare genericamente un bengalese che aveva un negozio davanti alla stazione; così come al medesimo contesto sono state ineccepibilmente ricondotte le ulteriori conversazioni nn. 2191 e 322, contenenti il chiaro riferimento a COGNOME (“COGNOME“) quale uno dei datori di lavoro compiacenti coinvolti nelle trame illecite ord COGNOME e COGNOME
A fronte di una lettura per nulla illogica del materiale captativo, le censu travisamento mosse dalla difesa del ricorrente, tramite le quali si pretenderebbe addirittu accreditare un risultato interpretativo ribaltato in funzione assolutoria, non possono tr accoglimento.
2.3. In termini di mera confutazione viene sviluppato il terzo motivo di ricorso, con si denunciano, in riferimento alla sussistenza delle contestate aggravanti di cui ai commi lett. d) e 3-ter, lett. b), violazione di legge e vizio di motivazione, nonché travisamento del già indicata conversazione n. 6158.
Radicalmente infondata è la censura che stigmatizza il ricorso a “mere presunzioni”, da parte delle Corti di merito, per ritenere dimostrata l’integrazione della finalità di profit che, a tal proposito, sono state convenientemente apprezzate le conversazioni di cui si è det in relazione al ricorso di COGNOME e la conversazione n. 2191, intercorsa tra COGNOME e COGNOME avente ad oggetto, fra l’altro, l’importo dovuto al coimputato COGNOME per le pratiche illecite in contestazione.
Si è già sottolineato, con riguardo al ricorso di COGNOME, che, quando viene in rilie un dolo specifico, ciò che conta è che l’azione si sia diretta verso la finalità i indipendentemente dalla sua concretizzazione.
Sicché non ha nessuna rilevanza che manchi la prova che COGNOME abbia effettivamente percepito un profitto nella vicenda di specie, essendo emerso, sia dal conversazioni apprezzate, sia da intuitivi elementi di prova logica, che tutti gli impre compiacenti coinvolti nelle attività delittuose gestite da COGNOME e COGNOME siano stati mossi da quella finalità, nei termini affermati, con congruo argomentare, dalle Corti territo
Dal materiale tecnico i giudici di Ancona hanno, poi, correttamente tratto la prova de sussistenza dell’aggravante del numero di persone, essendo risultato palese il coinvolgimento concorsuale nel capo I) di COGNOME e COGNOME
2.4. Generico è il quarto ed ultimo motivo di ricorso, nella parte relativa alla dogli sul mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., non essendo infic da errori sul piano della logica il ragionamento svolto dai giudici dell’appello sulla import imprescindibilità dell’apporto fornito dal ricorrente ai fini del raggiungimento degli scop sottesi alle operazioni di cui si è parlato.
2.5. Infondata in diritto è la tesi difensiva, secondo la quale il riconosciment carattere di aggravanti, proprio delle fattispecie previste dal comma 3 dell’art. 12 T.U. avrebbe dovuto produrre il giudizio di bilanciamento delle circostanze previsto dall’art. 69 pen., non effettuato nel caso di specie malgrado l’avvenuta concessione delle attenuant generiche.
Secondo la difesa tecnica, infatti, il divieto di bilanciamento previsto dal comm quater del citato art. 12 concernerebbe solo le aggravanti previste dai commi 3-bis e 3-ter, ma non quella di cui al comma 3.
La tesi è errata, poiché in contrasto con quanto affermato da Sez. U, n. 40982 de 21/06/2018, P., Rv. 273937, che ha esteso il divieto di bilanciamento anche all’aggravante cui al comma 3, spiegandone le ragioni alle pagg. 16-.1E7 nei termini seguenti:
«Nel caso in cui ricorrano due o più ipotesi previste dal comma 3 e sussista, quind l’aggravante di cui al comma 3-bis, il giudice non potrà procedere a bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli artt, 98 e 114 cod. pe forza del divieto del comma 3-quater: pertanto, determinerà la pena base alla luce dei limiti edittali indicati dal terzo comma (reclusione da cinque a quindici anni e multa di 15.000 e per ogni straniero), la aumenterà fino ad un terzo in ragione dell’aggravante di cui al com 3-bis e sulla pena così determinata opererà le riduzioni per le attenuanti riconosciute (tra quella prevista dall’art. 12, comma 3-quinquies T.U. imm., soggetta anch’essa al divieto di bilanciamento).
In sostanza, la ricorrenza dell’aggravante di cui al comma 3-bis sottrae al bilanciamento tra le circostanze anche quella del comma 3: benché per il divieto di bilanciamento dettato comma 3-quater siano menzionate soltanto «le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter», e non quella di cui al comma 3, la norma stabilisce un preciso ordine per l’applicazione de circostanze: «le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aume conseguente alle predette aggravanti». Se si ritenesse che, in presenza delle aggravanti di c ai commi 3 e 3-bis, il giudice possa prima operare il bilanciamento tra l’aggravante di cui al comma 3 ed eventuali attenuanti e dopo operare l’aumento previsto dall’aggravante di cui al comma 3-bis, questo ordine dettato dal legislatore verrebbe sempre disapplicato: un’interpretazione abrogatrice della previsione normativa, come tale inammissibile.
Il divieto di bilanciamento (con le eccezioni già menzionate) vige anche nel caso ricor l’aggravante di cui al comma 3-ter; essa può trovare applicazione sia con riferimento ai fatti di cui al comma 1 che con riferimento ai fatti di cui al comma 3.
Nel primo caso, il giudice determinerà la pena base aumentando da un terzo alla metà la pena detentiva prevista dal comma 1 e applicando la multa di euro 25.000 per ogni persona; su questa pena base calcolerà le diminuzioni per le eventuali attenuanti.
Se, invece, l’aggravante concerne i fatti di cui al comma 3, il giudice aumenterà da terzo alla metà la pena detentiva prevista dal comma 3 e applicherà la multa di euro 25.000 per ogni persona, calcolando, poi, sulla pena ottenuta, le diminuzioni per le event attenuanti; non potrà, invece, per le ragioni già esposte, effettuare il bilanciamen l’aggravante di cui al comma 3 ed eventuali attenuanti.
La lettera del comma 3-ter comporta una deroga al principio generale stabilito dall’art. 63, comma 4, cod. pen., in base al quale, se ricorrono più circostanze aggravanti ad effet speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudi aumentarla: sia quella del comma 3 che quella del comma 3-ter sono aggravanti ad effetto speciale, ma, in conseguenza della previsione contenuta nella seconda, si applicano entrambi gli aumenti da esse previste (sulla tematica, in relazione alla concorrenza tra le aggravan cui all’art. 416-bis, commi 4 e 6 cod. pen., Sez. U, n. 38518 del 27/11/2014, dep. 201 COGNOME, Rv. 264674)».
Il computo della pena è stato effettuato dalle Corti di merito in confor dell’insegnamento delle Sezioni Unite ora richiamato, sicché, anche sotto questo profilo ricorso di NOME COGNOME è infondato e va, in conclusione, rigedato.
3. Ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Sul primo motivo, afferente alla pretesa incompetenza per territorio della Corte assise di Ancona, si richiamano le considerazioni già esposte in premessa per tutti i ricorrent
3.2. Con il secondo motivo, sebbene, nominalmente, si deduca inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’affermazione della penale responsabilità pe reato di cui al capo K), di fatto si formulano plurime censure con le quali si contesta, ai lim dell’ammissibilità, e in prevalenza, l’applicabilità delle regole di valutazione della prov all’art. 192 cod. proc. pen. e, quindi, un vizio di natura motivazionale (Sez. U, n. 2954 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
In punto di diritto, va ricordato, in via preliminare, che la fattispecie cr disciplinata dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 integra un reato di pe o “a consumazione anticipata”, che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti dir procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in violazione della disci settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato in detto territorio (S 45734 del 31/03/2017, COGNOME e altri, Rv. 271127).
Infondata è, pertanto, la censura mossa sul punto dalla difesa del ricorrente, basata s prospettato difetto di prova circa l’effettivo ingresso degli stranieri in Italia nel oggetto d’indagine.
Parimenti infondato è il rilievo con cui si mette in dubbio la corretta identificazi loquenti protagonisti delle conversazioni poste a fondamento della responsabilità dell’imputat
Il ragionamento che ha condotto il primo giudice ad attribuire, anche attraverso indicazioni fornite dall’ispettrice COGNOME all’udienza del 23 novembre 2015, ai loqu determinate utenze telefoniche (a RAHMAN il n. 3338641242, a COGNOME il n. 3804641902 e a COGNOME il n. 3384479756) nelle conversazioni nn. 2061, 2062 e 2063 (intercorse tra COGNOME e COGNOME), n. 322 (ancora tra COGNOME e COGNOME), n. 996 (tra COGNOME e COGNOME) e n. 1018 (tra il figlio di COGNOME, che utilizza l’utenza di SPINSANTE, in quel momento vicino a lui, in quanto indicato con il noto diminutivo di “Betto”, e il pad riportato alle pagg. 49-51 della sentenza di primo grado e non presenta vizi logici.
Del resto, il rilievo critico sul punto si arresta allo stadio della mera asserzione.
Le censure dedotte sulla interpretazione delle conversazioni monitorate, anche in termini di travisamento della prova, si infrangono contro i limiti posti da Sez. U, Se richiamata in premessa.
Analogamente a quanto accaduto a COGNOME le conversazioni valorizzate come le più significative dalle Corti di merito (nn. 2061, 2062 e 2063) sono state captate propr giorno (21 febbraio 2013) in cui la Polizia effettuò un accesso presso l’azienda di COGNOME
Della circostanza è (stato) informato COGNOME il quale, nella prima conversazione (n. 2061), riferisce a COGNOME che “oggi tocca a NOME“, chiedendo all’interlocutore cosa COGNOME – che era in attesa di direttive – avrebbe dovuto dire agli agenti operanti p giustificare l’assenza, presso la sua attività, dei lavoratori stranieri per i quali er istruite le pratiche indicate nell’imputazione (“E lui mi passa a prendere…le parole mie, passa a prendere le parole mie per dire…Eh cosa gli dico io”: pag. 51 sentenza di primo grado).
COGNOME risponde che gli avrebbe mandato un foglio via fax.
Nella seconda e nella terza telefonata COGNOME, oltre a comunicare il numero di fax a COGNOME, gli chiede quali informazioni avrebbe dovuto “girare” a COGNOME a proposito di un lavoratore extracomunitario che avrebbe dovuto lavorare presso il ricorrente (dove stava, d quanto tempo lavorava etc.), ricevendo in risposta che l’imprenditcire non avrebbe dovut “spiegare nulla”.
Le Corti territoriali valorizzano, in modo non censurabile sul piano logic corroborazione del tenore, già eloquente, delle prime tre conversazioni di cui sopra:
la conversazione n. 2191 del 18 dicembre 2012, intercorsa tra COGNOME e COGNOME nella quale i due imputati fanno riferimento ai datori di lavoro che avrebbero dovuto figu come tenuti al pagamento dei bollettini INPS per i contributi dei lavoratori stranieri, indica
/
oltre a “COGNOME” (il coimputato NOME COGNOME), “NOME“, nome di battesimo di COGNOME
le conversazioni nn. 996 (ore 8.41) e 1018 (ore 10.42) del 26 novembre 2012, in cui i ricorrente, dopo aver ricevuto i bollettini INPS per il pagamento dei contributi, comunic circostanza a COGNOME il quale, dopo averli ricevuti, li consegna a COGNOME affinché fossero pagati.
Le dichiarazioni rese dall’ispettrice COGNOME a dibattimento sulla irrefutabile circost dell’assenza, presso l’azienda di COGNOME, dei lavoratori stranieri indicati nel capo K) de rubrica, alla stessa stregua di quanto accertato presse le attività degli altri impre compiacenti nella vicenda in esame, hanno permesso ai giudici di merito di pervenire, con iter espositivo non inficiato da vizi logico-giuridici, all’affermazione della responsabi COGNOME per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato ascrittogli.
Come già accennato, le censure sviluppate sul tema dalla difesa del ricorrente, soprattutto in relazione all’elemento psicologico del reato, oltre a rivelarsi sostanzialmente confutative, mirano a proporre una rivalutazione in fatto del port probatorio captativo che non è ammissibile in questa sede.
3.3. Radicalmente infondata è la doglianza formulata per contestare la sussistenza dell’aggravante di cui al comma 3, lett. d), non assumendo alcuna rilevanza l’assenza d comunicazioni dirette tra COGNOME e COGNOME nelle conversazioni intercettate, avendo i giudici territoriali messo non illogicamente in rilievo, proprio in base al contenut intercettazioni, l’indiscutibile legame comunque esistente tra i due, agevolato dalla mediazi di COGNOME, terzo soggetto necessario per l’integrazione dell’aggravante de qua.
3.4. Quanto alla finalità di profitto, oggetto delle censure mosse col terzo motivo, richiamano le considerazioni già svolte con riguardo alle posizioni dei coimputati, estensibi COGNOME per la perfetta coincidenza del modus operandi che ha caratterizzato le attività delittuose investigate.
3.5. Infondata, infine, è la doglianza circa il mancato riconoscimento dell’attenuante cui all’art. 114 cod. pen., per i motivi già esposti con riferimento alle posizioni di COGNOME
4. Ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Sul primo motivo, afferente alla pretesa incompetenza per territorio della Corte assise di Ancona, si richiamano le considerazioni già esposte in premessa per tutti i ricorrent
4.2. Infondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale si deducono violazio dell’art. 603 cod. proc. pen., mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al rigetto della istanza di audizione del personale delle Prefetture coinvolto pratiche d’interesse – al fine di meglio comprendere l’iter amministrativo sotteso al rilasc nulla osta all’ingresso in territorio nazionale di lavoratori stranieri – nonché in rela
rigetto dell’istanza di nuova audizione del teste COGNOME già sentito nel corso del giudiz primo grado, con l’assistenza, questa volta, di un interprete di lingua bengalese.
Giova ricordare che, nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istrut dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla ver dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice d non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamen rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimi correttamente motivata (tra molte, Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230).
La risposta negativa fornita dalla Corte di assise di appello è coerente con il prin enunciato.
Quanto alla richiesta di escussione di funzionari delle “varie Prefetture interessa oltre a sottolineare la genericità della stessa, la Corte dell’appello ha correttamente osse che, essendo il reato di cui all’art. 12 d.lgs. n. 286/98 fattispecie di pericolo a consuma anticipata, non aveva alcun rilievo dirimente accertare se l’ingresso del lavoratore stranie Italia fosse avvenuto o meno.
In secondo luogo, la Corte territoriale ha convenientemente messo in risalto che, attes la presentazione in via telematica delle istanze finalizzate al rilascio dei nulla osta lav non poteva reputarsi conducente la prova testimoniale richiesta al fine di individuare i sogg cui attribuire, dal punto di vista sostanziale, l’atto iniziale della procedura, circostanz dell’attribuibilità sostanziale, che, nel processo in esame, era stato necessario dimostra mezzo di intercettazioni e prove dichiarative (testimonianze di COGNOME e COGNOME).
Parimenti logica è la risposta resa dai giudici del gravame sulla seconda richiesta (nuo audizione del teste COGNOME, laddove si è evidenziato che, pur a fronte delle diffic incontrate dal teste nell’esprimersi in una lingua non propria, egli aveva dimostrat comprendere a sufficienza le domande rivoltegli e aveva reso dichiarazioni complessivamente chiare e comprensibili, tanto da indurre a ritenere superflua una nuova audizione.
Nessuna illogicità, pertanto, si rinviene nell’argomentare svi uppato sul punto da Corte di Ancona.
4.3. Complessivamente infondate sono le censure articolate con il terzo motivo di ricorso, in cui si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento contestazione dell’art. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. n. 286/98, elevata ai capi B), E), F), G), I) K), 3) e M).
Manifestamente infondata, oltre che generica, è la prima doglianza, con la quale, su un piano globale, si addebita alla Corte di assise di appello di essere incorsa nel t travisamento del compendio probatorio acquisito e di non aver dato risposta alle deduzion difensive, neppure menzionate, con il conseguente pervenimento ad un’affermazione di responsabilità quale frutto di mere supposizioni e congetture, in considerazione della regolar
della procedura amministrativa oggetto d’indagine e dell’assoluto difetto di prova sul fi profitto.
Premesso che alla sintesi dei motivi di appello di COGNOME diversamente da quanto eccepito dalla difesa del ricorrente, la Corte di Ancona ha dedicato circa quattro pagine pag. 13 a pag. 16), richiamato quanto detto a proposito della integrazione delle pronunce d merito come “corpo unico” motivazionale, ritiene il Collegio che l’esame dei rilievi formula ciascuno dei capi d’accusa permetta di escludere che i giudici dell’appello siano incors travisamenti di sorta e che abbiano fondato la conclusiva affermazione di responsabili dell’imputato solo su base congetturale.
4.3.1. Deve ritenersi, in primo luogo, infondato il motivo relativo alla manca declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 12, comma 5, d. 286/98 contestato al capo B), dovendosi reputare, viceversa, che la Corte di merito, nel parte finale della motivazione, abbia inteso riformare, per tutti e quattro gli odierni ric compreso il COGNOME, il trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado (“…le pene co determinate dal primo giudice…vanno riformate con la mera elisione iiella porzione relati reato dichiarato prescritto”: pag. 50), decisione che trova coerente conferma con la riduzi di 4 mesi della pena inflitta all’imputato rispetto alla sanzione irrogatagli in primo grado.
4.3.2. In ordine al reato di cui al capo E), ritiene il Collegio che la de contraddittorietà della sentenza impugnata che aveva assolto il coimputato COGNOME e condannato COGNOME non esprima altro che il riferimento a un fisiologico diverso esito processuale (peraltro comune al capo M), ferma restando la ribadita colpevolezza del ricorrente, da parte dei giudici di secondo grado, sulla base del condiviso corretto argomenta del primo giudice, basato sulla lettura non illogica delle conversazioni captate tra NOME COGNOME interlocutori non identificati, aventi ad oggetto tutte l’assunzione di lavoratori stranier alludenti al ruolo decisivo svolto, al riguardo, da “Milas”, che, tramite il testo di un SMS da NOME all’utenza in uso al COGNOME, è stato identificato non irragionevolmente con quest’ultimo (v. conv. nn. 9688 del 14 febbraio 2013, n. 9460 del 12 febbraio 2013 e n. 1035 del 21 febbraio 2013 alle pagg. 33-36 della sentenza della Corte di assise).
Il dedotto travisamento delle conversazioni, come già detto per gli altri ricorrenti supera lo sbarramento di Sez. U, Sebbar, e si risolve, di fatto, in un inammissibile tentat rilettura.
4.3.3. Alle stesse conclusioni si perviene quanto alle censure di travisamento probatorio mosse sui capi F) e G) dell’imputazione, per le quali si rimanda alle considerazioni espres anche circa il coinvolgimento di COGNOME e la sua corretta identificazione in uno de conversanti, a proposito del ricorso proposto dal coimputato NOME COGNOME
4.3.4. Lo stesso dicasi per gli analoghi rilievi difensivi formulati sul capo I), per i richiamano le osservazioni svolte, anche circa il coinvolgimento di COGNOME e la sussistenza
dell’aggravante del numero di persone, a proposito del ricorso proposto dal coimputat NOME COGNOME
4.3.5. In ordine alle censure di travisamento dedotte per il capo K), soccorrono, come per i capi che precedono (F-G-I), le notazioni articolate, anche circa il coinvolgimen COGNOME e la sussistenza dell’aggravante del numero di persone, a proposito del ricorso proposto dal coimputato NOME COGNOME che qui si intendono riportate.
4.3.6. Quanto al capo 3), i giudici di merito hanno correttamente argomentato in ordine alla prova di responsabilità, attribuendo rilevanza centrale, del tutto logicamente, deposizione resa dal coimputato COGNOME assolto in primo grado, suffragata dai controlli d P.G. effettuati presso la ditta del suddetto, che accertarono, come per gli altri impren coinvolti nel processo, l’assenza dei lavoratori stranieri per i quali erano state inol pratiche di assunzione.
COGNOME aveva dichiarato di essersi avvalso dei “servigi” di RAHMAN, per il tramite di COGNOME, al fine di inoltrare le pratiche in questione per gli anni 2310 e 2011, in relazi alle quali aveva consegnato la documentazione a COGNOME.
Non essendo andate a buon fine queste operazioni, l’imprenditore aveva rinunciato, per l’anno 2012, a ripetere la procedura amministrativa di avviamento al lavoro di stranieri co decreto flussi.
Ciò nonostante, risultavano inoltrate a suo nome le richieste relative agli stran indicati nel capo 3) d’imputazione, stranieri che, come detto, non vennero mai trovati presso sua azienda di Osimo.
L’inferenza che le Corti di merito hanno t:ratto dalle evidenze acquisite circ responsabilità di COGNOME (e COGNOME, deceduto prima della sentenza di appello) non collide con i principi della logica, essendo essa basata sul narrato di COGNOME, sulla circostanza che solo COGNOME (che agiva per conto di COGNOME) detenesse la documentazione fornitagli dall’imprenditore per le pratiche relative agli anni 2010 e 2011 non andate a buon fine, su circostanza che COGNOME, in particolare, non avesse personalmente presentato istanze di sorta per il 2012, sull’accertamento dell’assenza presso la sua attività dei lavoratori per risultava aver inoltrato le istanze e sull’analogia del modus operandi adottato dall’imputato per come riscontrata in relazione a tutti i casi investigati.
Le conversazioni intercettate della cui utilizzazione si duole la difesa, che le gi irrilevanti, in realtà sono state apprezzate dalle Corti di merito al solo fine di confe rapporti di conoscenza intercorrenti tra COGNOME (che già lo aveva riferito) e COGNOME quest’ultimo quale intermediario di COGNOME: cioè come elemento di completezza di un quadro probatorio già solido.
Le censure difensive, in ogni caso, restano per lo più confutative e non scalfiscono lineare ragionamento seguito nelle sentenze impugnate.
4.3.7. In ordine al capo M), si deduce che la sentenza avversata abbia fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato esclusivamente sulle dichiarazioni rese NOME COGNOME che, al contrario di quanto ritenuto dai giudici di merito, sarebbero risul tutt’altro che attendibili e credibili oltre a non essere riscontrate in alcun modo ed travisate dai giudici.
La doglianza è infondata.
Giova rammentare che, secondo la consolidata tradizione di questa Corte, le dichiarazioni di un testimone (anche se si tratti della persona offesa), ,D e r essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltreché avere ad oggetto fatti di cognizione e specificamente indicati, con la conseguenza che, contrariamente ad altre fonti conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi, esse non necessitano di riscontri esterni, funzionali soltanto al vaglio di credibilità del testimone n. 7898 del 12/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278499).
Si è, inoltre, precisato, in tema di prova testimoniale, che il giudice, pur essendo te a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della stessa, n assumere, come base del proprio convincimento, l’ipotesi che il teste riferisca scientemente falso, o si inganni sull’oggetto essenziale della sua deposizione, salvo che sussistano elemen positivi atti a rendere obiettivamente plausibile l’una o l’altra di dette ipotesi (Sez. 6, del 01/07/2022, COGNOME, Rv. 283941).
Le diffuse argomentazioni spese in entrambe le sentenze cli merito per sostenere l’attendibilità del narrato del teste COGNOME nel suo nucleo essenziale, al di là di dis marginali che tale nucleo non intaccavano, non prestano il fianco a critiche, essendo conform a diritto e a logica.
Le circostanze che: a) per entrare in Italia i suoi genitori ebbero a consegnare, in Bangladesh, la somma di 12.000,00 euro a tale NOME COGNOME, poi rivelatosi emissario di COGNOME; b) che nel primo periodo trascorso in Italia, non essendo stato regolarizzato, a dispetto di quanto promessogli, visse da clandestino, aiutando le persone che facevano l spesa davanti ai supermercati; c) che, dopo essergli stato sottratto il passaporto da COGNOME questi gli aveva consegnato un altro passaporto riportante false generalità; d) che, co tempo, aveva scoperto che “a capo di tutto” c’era NOME (dal teste riconosciuto in foto), che gestiva un negozio presso la stazione ferroviaria di Ancona; e) che al negozio si era rec almeno 10-20 volte, insistendo, invano, perché fosse regolarizzato; f) che, perciò, ave chiesto in restituzione a COGNOME l’importo di 12.000,00 euro pagato per entrare in Itali subendo il rifiuto e la minaccia dell’imputato, non risultano smentite dalle ulteriori ev acquisite, come puntualmente rimarcato dai giudici di merito.
Questi ultimi, d’altro canto, hanno apprezzato, in modo logico, un elemento di riscont specifico, costituito dalla circostanza, riferita dal teste di NOME.NOME COGNOME che il dat lavoro richiedente di COGNOME era NOME COGNOME del quale le sentenze in esame, a
prescindere dall’epilogo assolutorio, hanno dimostrato i rapporti intrattenuti con COGNOME e tramite questi, con COGNOME
Non solo, è stato messo convenientemente in luce come il racconto di COGNOME sull’attività illecita svolta da COGNOME, sia nei suoi confronti che nei confronti di altri del Bangladesh (come NOME COGNOME che ha riferito di una vicenda personale simile a quella del teste), si raccordasse con piena coerenza con il modus operandi dell’imputato quale emerso dal compendio captativo e dichiarativo complessivamente acqLisito e apprezzato.
La Corte di assise di appello si è occupata, inoltre, di confutare l’allusione dif all’interesse sotteso alle dichiarazioni di NOME, consistito nell’obiettivo, raggiunto, di o il permesso di soggiorno.
Valorizzata la coerenza delle dichiarazioni del teste con gli ulteriori elementi di pro Corte di secondo grado ha, non irragionevolmente, osservato che con una deposizione calunniosa il dichiarante avrebbe rischiato non solo di non ottenere alcun vantaggio, ma, anz di essere sottoposto a procedimento penale per un reato di non trascurabile gravità e essere, all’esito, anche espulso.
Le censure difensive devono, concludendo sul punto, ritenersi infondate.
4.4. Parimenti infondato è il quarto motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 192, 194 e 195 cod. proc. peri, e vizio di motivazione, in quanto i giudici di merito avrebbero arbitrariamente utilizzato le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME a dimostrazione della responsabilità di COGNOME senza che tali dichiarazioni risultassero suffragate da adeguati riscontri e motivando il proprio convincimento in contrasto con risultanze probatorie e, in parte, in modo apparente. a
Atteso che nel motivo in esame si dedica ampio spazio alla deposizione dello COGNOME, non possono che richiamarsi le considerazioni appena svolte al riguardo nell’analisi del moti che precede.
Quanto alle critiche mosse alla (valutazione della) deposizione di COGNOME rileva Collegio che essa, diversamente da quanto prospettato dalla difesa, non risulta per nul affidata a “voci correnti nel pubblico”, ma si basa sulla sua vicenda personale, che è st prudentemente apprezzata dalle Corti di merito in termini di elemento di riscontro sul globa contesto oggetto d’indagine (posto che i suoi rapporti con COGNOME ebbero inizio, al fine dell sua regolarizzazione, quando il teste era già arrivato in Italia).
Sulla infondatezza della cesura sulla illogicità della motivazione resa dalle Cor merito sulla valutazione della testimonianza dell’imprenditore COGNOME già si è detto i precedenza con riguardo al capo 3).
La dedotta critica, anche per travisamento, della testimonianza resa da NOME COGNOME non è munita di concreto interesse, perché, come già detto, COGNOME, nel capo B), figura come imprenditore coinvolto nelle procedure di emersione attinenti a sei lavorat
stranieri e tale condotta è sussumibile nell’alveo della fattispecie delittuosa di comma 5, d.lgs. n. 286/98, per la quale il giudice di appello ha pronunciato dec
estinzione del reato per prescrizione.
Quanto, infine, alla contestazione della identificazione del COGNOME come uno loquenti nelle conversazioni intercettate, valgono le considerazioni già sviluppate in
sul tema.
4.5.
Anche con riferimento alla contestata aggravante del fine di profitto, non che richiamarsi le osservazioni esposte nell’esame degli altri ricorsi, cui va
considerazione, correttamente formulata dalle Corti di Ancona, delle testimonianze di da COGNOME e COGNOME circa la corresponsione a COGNOME di somme di denaro (12.000,00 euro il
primo, 5.000,00 euro il secondo) quale corrispettivo dell’attività delittuosa realizza
4.6.
Generico è, infine, il motivo sul trattamento sanzionatorio, essendo stati delle circostanze attenuanti generiche e l’entità della pena inflitta adeguatamente
il riferimento al numero delle istanze, alla durata dell’attività delittuosa e al co imprenditori ignari, oltre che alla assenza di elementi positivi apprezzabili a giust
beneficio delle attenuanti richiesto, essendo insufficiente la mera condizione di ince
Al rigetto dei ricorsi consegue ex lege la condanna di tutti i ricorrenti al pagamen delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023.