Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16636 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 196/2025
UP – 14/03/2025
– Relatore –
R.G.N. 537/2025
CARMINE RUSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PRATO il 04/09/1963
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore avv NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza indicata nel preambolo, ha parzialmente riformato la pronuncia, in data 28 maggio 2020, con cui il Tribunale di Pistoia aveva riconosciuto NOME COGNOME colpevole, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, dei reati aggravati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, contestati nei capi a), e) ed e-bis) della rubrica, nonchØ dei reati di truffa contestati nei capi b), c), d), f) e g). In particolare, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in anni 2 di reclusione ed euro 31.400,00 di multa, escludendo la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo le conformi valutazioni dei giudici del merito, COGNOME aveva posto in essere atti diretti a procurare l’ingresso e a favorire l’illegale permanenza nel territorio dello Stato di soggetti extracomunitari: nella qualità di formale datore di lavoro, aveva curato la presentazione delle domande necessarie per far ottenere ai cittadini stranieri permessi di lavoro stagionali, consentendo l’inserimento dei dati relativi alle proprie imprese pur prive di consistenza economica e totalmente inattive, nonchØ sottoscrivendo le autocertificazioni e le fittizie proposte di contratti di lavoro prodotte a corredo di ogni pratica (reati di cui ai capi a, e, e-bis).
COGNOME, sempre agendo in concorso con COGNOME e COGNOME, aveva indotto in errore alcuni dei cittadini extracomunitari, garantendo loro il conseguimento di permessi di soggiorno nonchØ un
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE PENALE Depositata in Cancelleria oggi Numero di raccolta generale 16636/2025 Roma, lì, 05/05/2025
Firmato Da: NOME COGNOME Emesso Da: TRUSTPRO QUALIFIED CA 1 Serial#: 712bd1bbe351e0d5 – Firmato Da: NOME COGNOME Emesso Da: TRUSTPRO QUALIFIED CA 1 Serial#: 6c2feaab6ebe2b6b
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posto di lavoro, dietro la corresponsione di una somma di denaro di importo variabile, nella piena consapevolezza dell’inevitabile rigetto delle domande per carenza dei requisiti necessari di cui doveva essere in possesso il datore di lavoro (reati di cui ai capi b, c, d, f e g).
La piattaforma probatoria ritenuta idonea suffragare l’affermazione di penale responsabilità Ł costituita, oltre che dagli accertamenti documentali, dalle testimonianze, dalle risultanze dei tabulati telefonici, anche dalle dichiarazioni inverosimili rese dallo stesso imputato, il quale aveva riferito che le domande volte al rilascio del permesso di soggiorno erano state inviate a sua insaputa e che si era personalmente attivato presso i competenti uffici ma solo per rimediare all’errore e ritirare la documentazione.
Ricorre COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. e) e c) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per tutti i reati contestati.
Evidenzia che il compendio documentale e le deposizioni del testimone di polizia giudiziaria, ritenuti decisivi per l’accertamento della responsabilità penale, dimostrano soltanto la sua fittizia disponibilità all’assunzione dei lavoratori interessati alle diverse pratiche, nulla dicono, invece, sul suo livello di coinvolgimento soggettivo nelle attività delittuose contestate in realtà portate avanti dai coimputati COGNOME e COGNOME
Aggiunge che, nonostante le specifiche doglianze sviluppate nell’atto di appello, la sentenza impugnata non si Ł occupata nØ dei rapporti intercorrenti tra l’odierno ricorrente con i correi avvocato COGNOME e NOME COGNOME Come ampiamente dimostrato dalla difesa, i numerosi contatti di COGNOME con entrambi non sono riconducibili all’attività illecita contestata ma hanno una diversa spiegazione: dall’ottobre 2015 al maggio 2016 COGNOME Ł stato assistito dall’avvocato COGNOME in numerose cause, mentre negli anni successivi Ł stato legato alla COGNOME per la gestione della RAGIONE_SOCIALE .Nel periodo in cui sono state eseguite le intercettazioni telefoniche tra marzo ed aprile 2017, COGNOME non ha alcuna conversazione con COGNOME ed ha conversazioni irrilevanti con la COGNOME mai attinenti al disbrigo delle pratiche degli stranieri.
L’estraneità di COGNOME alle attività illecite di COGNOME e COGNOME Ł confermata dalla conversazione in cui questi ultimi cercano in ogni modo di evitare che uno degli stranieri visiti il luogo dove avrebbe dovuto svolgere l’attività lavorativa, arrivando al punto di presentargli quale datore di lavoro una persona estranea correndo il rischio di essere scoperti.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità dell’imputato per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di quei capi a), e) ed e-bis).
La Corte di appello ha ritenuto infondata la prospettazione difensiva sulla configurabilità del reato impossibile di quell’articolo 49 cod. pen. con argomentazioni illogiche.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, l’azione posta in essere, per le sue caratteristiche intrinseche, era del tutto inidonea al conseguimento dello scopo ovvero il rilascio del permesso di soggiorno.
La condotta, come ricostruita dai Giudici del merito, era, sulla scorta di una valutazione ex ante e alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assolutamente incapace, per la sua intrinseca inefficienza strutturale e funzionale, di arrecare danno o anche solo di mettere in pericolo il bene giuridico protetto, procurando l’ingresso o favorendo la permanenza illegale degli stranieri.
Le domande di permesso di soggiorno erano volutamente costellate da errori di immediata individuazione e mai corredate, neppure dopo le richieste ed i solleciti, della documentazione
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relativa alla capacità economica del datore di lavoro perchØ l’unico obiettivo perseguito dai computati di COGNOME era quello di ottenere la ricevuta attestante l’inoltro da presentare al cliente per ottenere il pagamento della somma di denaro pattuita nella certezza del suo diniego in modo da evitare conseguenze sfavorevoli.
In definitiva, la condotta Ł sussumibile nella categoria del falso innocuo ovvero di una di quelle figure di delitto impossibile individuate dalla giurisprudenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che propone censure in parte inammissibili nel resto infondate, Ł nel suo complesso passibile di rigetto.
Il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
Piø che denunziare criticità o carenze dell’apparato giustificativo della decisione, il ricorrente sollecita diversi apprezzamenti di merito ed una nuova lettura del compendio probatorio, operazioni entrambe estranee al giudizio di legittimità.
La Corte distrettuale ha ritenuto accertata la partecipazione concorsuale di COGNOME all’intera attività delittuosa contestatagli, quindi alle violazioni della disciplina sull’immigrazione e alle truffe ai danni degli stranieri, sulla base di valutazioni plausibili strettamente ancorate alle evidenze probatorie.
Nel rispondere al primo motivo di appello, dal contenuto sovrapponibile a quello in esame, ha osservato che non solo l’imputato, nel periodo in sono state presentate le pratiche nella qualità di fittizio datore di lavoro, aveva avuto centinaia di contatti telefonici con i correi, difficilmente spiegabili soltanto con i rapporti professionali, ma aveva costituito con la Paun la cooperativa Giolica immediatamente utilizzata, sebbene fosse inattiva e priva di mezzi, per inoltrare nuove domande di permessi di soggiorno e, soprattutto, convocato dallo Sportello immigrazione della Prefettura per rettificare un errore sul suo cognome (non ‘COGNOME‘ ma ‘COGNOME‘), ripetuto nelle domande presentate nell’interesse delle imprese di cui era legale rappresentante, aveva provveduto con apposita autocertificazione con ciò, evidentemente confermando l’intenzione di coltivare tutte le pratiche pendenti. Per di piø, nei mesi successivi non aveva sporto denuncia nØ si era comunque attivato per bloccare le procedure della cui esistenza cui era stato informato, ma, al contrario, aveva continuato gli intensi rapporti con la COGNOME nella gestione della citata cooperativa che aveva inoltrato ulteriori domande di permesso di soggiorno, contenenti i suoi dati personali, per consentire il rilascio di permessi di soggiorno a fittizi lavoratori che non ne avevano diritto.
In tale contesto, l’affermazione della sentenza impugnata che COGNOME aveva agito in presenza di un preventivo accordo, quanto meno con la COGNOME, Ł tutt’altro che manifestamente illogica e per nulla smentita dalla conversazione tra quest’ultima e COGNOME citata nel ricorso, spiegabile con l’esigenza di entrambi di impedire al lavoratore truffato di rendersi conto del carattere fittizio della proposta di lavoro a causa dell’inoperatività ed assenza di mezzi dell’impresa che avrebbe dovuto assumerlo.
2. Il secondo motivo Ł privo di pregio.
La Corte distrettuale, nel ritenere sussistente gli estremi soggettivi ed oggettivi del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e, per converso, escludere l’operatività dell’istituto del reato impossibile, ha fatto buon governo dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
La norma di cui all’art. 12, comma quinto, d.lgs. n. 286 del 1998 incrimina qualsiasi attività con
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cui si favorisca comunque la permanenza degli stranieri nel territorio dello Statoal fine di trarre ingiusto profitto dalla loro condizione di illegalità.
Muovendo da questa premessa, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha affermato, proprio con riguardo a un caso di fittizia assunzione di un lavoratore extracomunitario per fargli ottenere il permesso di soggiorno, che «integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale nel territorio dello Stato il fatto di chi avvii una pratica di assunzione di lavoratore straniero, dichiarando falsamente di voler costituire un rapporto di lavoro dipendente, ma avendo realmente come unico fine quello di trarre profitto illecito dal conseguimento del permesso di soggiorno da parte dello straniero stesso» (Sez. 1, n. 12748del27/02/2019, Piedimonte, Rv. 274991 – 01).
Non occorre, quindi, che la regolarizzazione della posizione degli extracomunitari pervenga ad un esito positivo mediante rilascio del permesso di soggiorno, ma Ł sufficiente ogni attività propedeutica all’avvio delle pratiche di regolarizzazione (Sez. 1, n. 16120 del 29/03/2012, Cosenza, Rv. 253209 – 01), come la condotta di chi precostituisca, dietro remunerazione, falsa documentazione relativa a fittizi rapporti di lavoro dipendente, successivamente registrati nell’apposito sistema informativo pubblico, al fine di consentire a cittadini extracomunitari, privi dei requisiti, di ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno (Sez. 1, n. 20883 del 21/04/2010, P.M. in proc. Yaqub, Rv. 247421).
Piø precisamente, il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ha natura di reato di pericolo e si perfeziona per il solo fatto che l’agente pone in essere, con la sua condotta, una condizione, anche non necessaria, purchØ teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato, ed indipendentemente dal verificarsi dell’evento” (Sez. 1, n. 28819 del 22/05/2014, COGNOME, Rv. 259915); pertanto, il delitto comprende tutti gli “atti diretti a procurare l’ingresso” illegale dello straniero nel territorio dello Stato e, quindi, anche quelle attività che, finalisticamente ed univocamente orientate a conseguire tale scopo, non siano riuscite a realizzarlo (Sez. 1, n. 40624 del 25/03/2014, COGNOME).
A fortiori integra il reato in esame la condotta di chi, come COGNOME e i concorrenti, hanno curato la presentazione presso i preposti uffici pubblici delle domande di assunzione di cittadini extracomunitari perchØ essa, di per sØ e a prescindere dalla regolarità formale delle pratiche e dell’esito infausto astrattamente prevedibile, Ł idonea a condizionare la procedura di regolarizzazione della posizione degli stranieri interessati incidendo sui tempi e sulle modalità dell’eventuale espulsione o allontanamento dal territorio nazionale.
Una volta presentata la domanda, il reato Ł consumato e non vi Ł dunque spazio nØ per la configurabilità della desistenza volontaria (cfr. Sez. 1, n. 2934 del11/10/2013, dep.2014, Rv. 258387 – 01) nØ del reato impossibile per inidoneità degli atti.
Posto, infatti, che, come precisato sopra, che il delitto di cui ci si occupa Ł una fattispecie penale che anticipa l’incriminazione avendo riguardo all’idoneità degli atti posti in essere a ledere l’interesse protetto, la distinzione tra essa ed il reato impossibile va condotta in base alle regole della distinzione tra tentativo idoneo e reato impossibile secondo cui “l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche” (Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 272810; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L., Rv. 264567), intendendosi per tale quella che “non consente neppure in via eccezionale l’attuazione del proposito criminoso” (Sez. 5, n. 9254 del 15/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263058).
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Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto, ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/03/2025.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME