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Favoreggiamento immigrazione: Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato le condanne per favoreggiamento immigrazione a carico di tre persone che avevano creato un sistema di false pratiche e fittizi rapporti di lavoro. La sentenza chiarisce che il reato si perfeziona anche con i soli atti preparatori, come la presentazione di domande false, senza che sia necessario l’effettivo ingresso dello straniero in Italia. La Corte ha inoltre ritenuto sufficienti gli indizi per provare che gli stranieri si trovassero all’estero e ha confermato la responsabilità anche di chi ha consapevolmente prestato la propria identità per le finte assunzioni.

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Pubblicato il 13 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Favoreggiamento Immigrazione: Anche gli Atti Preparatori Costituiscono Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11899/2019, ha affrontato un complesso caso di favoreggiamento immigrazione, fornendo chiarimenti cruciali sulla configurazione del reato. La pronuncia conferma che per essere condannati non è necessario che l’immigrato entri effettivamente in Italia: sono sufficienti gli atti preparatori volti a facilitarne l’ingresso illegale. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti: Una Rete di False Pratiche per l’Ingresso in Italia

Il caso vedeva coinvolti tre imputati: due consulenti e una loro parente. Secondo l’accusa, i primi due avevano orchestrato un sistema per favorire l’ingresso e la permanenza di cittadini extracomunitari, presentando numerose domande di visto basate su documenti falsi. Questi documenti attestavano fittiziamente l’esistenza di rapporti di lavoro e la disponibilità di alloggi. La terza imputata aveva contribuito prestando la propria identità, figurando come datrice di lavoro fittizia in alcune di queste pratiche, pur non avendo la capacità economica o aziendale per effettuare tali assunzioni.

Le Decisioni di Merito e i Motivi del Ricorso

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano condannato gli imputati, pur con alcune riforme della pena. Gli imputati hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, basando la loro difesa su diversi punti chiave:

* Errata valutazione delle prove: Sostenevano che le testimonianze a loro carico non fossero attendibili.
* Mancata prova dell’assenza degli stranieri: Affermavano che l’accusa non avesse dimostrato che i cittadini stranieri si trovassero effettivamente all’estero al momento della presentazione delle domande. Senza questa prova, il reato avrebbe dovuto essere riqualificato in una fattispecie meno grave (favoreggiamento della permanenza illegale) e, di conseguenza, dichiarato prescritto.
* Insussistenza del reato: Argomentavano che, non essendoci stato alcun ingresso effettivo, il reato non si fosse consumato.

In particolare, la terza imputata sosteneva di non aver partecipato attivamente, ma di aver semplicemente omesso di denunciare le attività illecite della figlia e del genero.

Favoreggiamento Immigrazione e l’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, confermando l’impianto accusatorio e la solidità delle sentenze di merito. Le argomentazioni della Suprema Corte offrono importanti principi di diritto.

L’Irrilevanza dell’Ingresso Effettivo per il Reato

Il punto centrale della sentenza riguarda la consumazione del reato. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il delitto di favoreggiamento immigrazione si configura non solo con il compimento dell’evento finale (l’ingresso), ma anche con il compimento di “attività prodromiche”, cioè di atti preparatori chiaramente diretti a ottenere quel risultato. La presentazione di domande di visto corredate da documentazione falsa è, di per sé, un’azione che realizza la fattispecie criminosa, a prescindere dal suo esito.

La Prova dell’Assenza dal Territorio Nazionale

Rispetto alla prova che gli stranieri fossero all’estero, la Corte ha ritenuto sufficienti gli elementi indiziari raccolti. Il fatto stesso di presentare numerose domande di “primo ingresso” e di rilascio di visti costituiva un forte indizio della loro assenza dal territorio nazionale. Secondo i giudici, di fronte a un quadro indiziario così solido, spettava alla difesa fornire la prova contraria, cosa che non è avvenuta. Non vi è stata, quindi, alcuna inversione dell’onere della prova.

La Prova del Concorso e del Dolo

Infine, la Corte ha respinto la tesi difensiva della terza imputata. La sua non è stata considerata una mera “accondiscendenza” passiva. Dalle intercettazioni telefoniche emergeva la sua consapevolezza delle attività illecite. Inoltre, il suo ruolo attivo come finta datrice di lavoro era un tassello essenziale del meccanismo fraudolento. Questa partecipazione consapevole, secondo la Corte, integra pienamente il concorso nel reato, rendendo plausibile anche la sua partecipazione ai profitti dell’attività illecita.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa dell’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione. I giudici hanno chiarito che la norma mira a punire qualsiasi condotta che, con l’intento di trarre profitto, sia finalizzata a procurare un ingresso illegale. Questo include esplicitamente le attività preparatorie. Pertanto, il reato si consuma nel momento in cui viene posta in essere l’azione fraudolenta (es. la presentazione di documenti falsi), non quando lo straniero varca il confine. La Corte ha inoltre sottolineato che la responsabilità penale per concorso nel reato non richiede una condotta materiale complessa; è sufficiente fornire un contributo consapevole e necessario alla realizzazione del piano criminale, come nel caso di chi presta la propria identità per fungere da datore di lavoro fittizio.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale severo in materia di favoreggiamento immigrazione. La decisione invia un messaggio chiaro: la legge non punisce solo chi organizza i “viaggi della speranza”, ma anche chiunque partecipi alla filiera della clandestinità attraverso frodi documentali. Professionisti come i consulenti del lavoro, ma anche semplici cittadini, devono essere consapevoli che prestarsi a simili operazioni, anche per un ruolo apparentemente marginale, comporta gravi responsabilità penali. Il principio secondo cui anche i soli atti preparatori sono sufficienti a integrare il reato abbassa notevolmente la soglia di punibilità, rendendo più efficace il contrasto a questi fenomeni criminali.

Per configurare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è necessario che lo straniero entri effettivamente in Italia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato si configura anche con il compimento di atti “prodromici”, ovvero preparatori, diretti a procurare l’ingresso illegale. La presentazione di documenti falsi è di per sé sufficiente, anche se l’ingresso non avviene.

Come si prova che gli stranieri per cui si sono presentate le domande si trovavano all’estero?
La Corte ha stabilito che la presenza all’estero degli stranieri può essere provata anche tramite indizi. Nel caso specifico, il numero e la natura delle pratiche volte a ottenere il primo ingresso erano elementi sufficienti a costituire un solido quadro indiziario, che la difesa non è riuscita a smentire con prove contrarie.

Fornire i propri dati per una finta assunzione costituisce concorso nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione?
Sì. La sentenza chiarisce che la consapevolezza di partecipare a un’attività illecita e il fatto di figurare attivamente come datore di lavoro fittizio in pratiche false integrano pienamente il concorso nel reato e non possono essere derubricati a una semplice e non punibile accondiscendenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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