Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21805 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21805 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 12/05/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Catanzaro ha rigettato il riesame proposto da NOME COGNOME avverso la misura cautelare della custodia in carcere applicatale dal Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro il 31 ottobre 2024, per il reato di favoreggiamento, aggravato dall’art. 416-bis.1 cod. pen., avvenuto a beneficio del capo-clan NOME COGNOME, latitante, con messa a disposizione di un’autoambulanza appartenente all’associazione di cui l’indagata era presidente.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce violazione di legge e vizi di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza in quanto: a) l’accesso alle autoambulanze dell’associazione “Montalto RAGIONE_SOCIALE“, di cui NOME era presidente, era consentito anche ai suoi collaboratori, così come le incombenze amministrative; b) l’incontro con NOME COGNOME era dimostrato in base alla sola presenza delle due donne nello stesso comune di Terranova da Sibari; c) il trasferimento del latitante era avvenuto il 17 ottobre 2023, così da rendere irrilevante la falsificazione del trasferimento del 5 ottobre 2023 del paziente NOME COGNOME; d) non vi erano stati contatti con NOME COGNOME; e) la valenza delle captazioni era contraddittoria.
2.2. Deduce violazione di legge e vizi di motivazione in ordine all’art. 416bis. 1 cod. pen., circostanza di natura soggettiva, in quanto la conoscenza da parte della ricorrente che NOME COGNOME fosse latitante è stata fondata su un’argomentazione apparente, sull’eco mediatica, sull’assenza di spiegazioni alternative non dovute ed in violazione dei principi giurisprudenziali espressi dalle Sezioni unite con la sentenza n. 8545 del 2020. Peraltro, che NOME COGNOME rivestisse un ruolo apicale nell’ambito di un’associazione di tipo mafioso non è stato accertato da alcuna sentenza definitiva di condanna.
In ordine alle esigenze cautelari, anche ove non fosse esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., comunque andrebbe applicata una misura meno afflittiva.
All’udienza dell’8 aprile 2025 il processo è stato rinviato per regolarizzare le notifiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto ribadisce le medesime generiche censure, declinate in fatto, a cui il provvedimento impugnato ha fornito completa e logica risposta.
In tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, la Corte di legittimita è tenuta a
verificare, nei limiti con consentiti dalla peculiare natura del giudizio che le proprio, se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno determinato ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, verificando il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governan l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Non è, dunque, consentito proporre censure riguardanti la ricostruzione dei fatti o che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, come invece richiesto dal ricorrente, soprattutto attraverso l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se non quando manifestamente illogico ed irragionevole (tra le tante Sez. 3, n.44938 del 5/10/2021, Rv. 282337).
3. L’ordinanza impugnata ha collocato il presente procedimento nell’ambito di una più complessa attività investigativa, sviluppatasi a seguito dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare emessa nei confronti di NOME COGNOME, – esponente di vertice dell’omonima famiglia di ndrangheta – e della sua latitanza, favorita dal supporto di più persone.
In detto contesto il ruolo della ricorrente era stato quello di avere messo a disposizione del capo mafia l’autoambulanza dell’associazione di cui era presidente, con la quale era stato simulato un trasporto medico d’urgenza per eludere i controlli e condurre il latitante da Spezzano Scalo, in Calabria, a Bari, in INDIRIZZO, luogo nel quale successivamente era stato arrestato.
Il provvedimento impugnato ha fondato la valutazione su un ricco compendio indiziario costituito da intercettazioni, geolocalizzazione di utenze telefoniche e autovetture, immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza nelle fasi immediatamente precedenti al trasporto del latitante, avvenuto il 17 ottobre 2023 dalle ore 18:43.
In particolare, erano emersi i seguenti dati oggettivi: a) l’incontro tr NOME COGNOME e NOME COGNOME, madre di NOME COGNOME (compagna di NOME COGNOME) che aveva pianificato la fuga verso la Puglia, nella sede dell’impresa funebre del compagno della ricorrente, NOME COGNOME; b) il successivo immediato spostamento della COGNOME prima presso la sede dell’associazione della ricorrente, poi, con l’autoambulanza, presso l’abitazione del latitante; c) il traffi telefonico e telematico tra l’autista dell’ambulanza e NOME COGNOME; d) la documentazione attestante l’occultamento dell’intervento eseguito dal mezzo che, a prescindere dalla nota trasmessa dall’indagata, risultava inutilizzato dal 6 ottobre al 7 dicembre 2023 – a favore di Abbruzzese e la falsificazione del turno di servizio svolto dall’autista.
A fronte di questi argomenti, la difesa ha opposto, in modo assertivo, pretesi vizi di motivazione volti, invece, ad ottenere da questa Corte solo un’alternativa lettura del contenuto inequivoco e convergente delle attività investigative compiute, valutate in termini congrui e completi dal provvedimento impugnato, tanto da rendere le censure non consentite in ragione dei limiti del giudizio di legittimità.
Nel ritenere sussistente la gravità indiziaria del delitto contestato, i giudici merito hanno fatto buongoverno del principio stabilito da questa Corte secondo cui la condotta del reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.), reato di pericolo, deve consistere in un’attività che abbia frapposto un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, provocando quindi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere (Sez. 6, n. 9989 del 05/02/2015, Paladino, Rv. 262799)
Anche i motivi di ricorso, attinenti all’aggravante contestata, sono generici e reiterativi.
L’esposizione compiuta nel provvedimento impugnato consente di apprezzare la correttezza del criterio seguito in quanto è proprio la descrizione del fatto a dare atto del ruolo svolto dal soggetto favorito, NOME COGNOME, esponente di vertice dell’omonima famiglia, e del supporto logistico assicurato da NOME COGNOME per consentirne la latitanza facendolo fuggire dal luogo in cui era ricercato, dopo averne incontrato la suocera, mettendogli a disposizione un’autoambulanza della sua associazione.
Si tratta di un adeguato supporto argomentativo, ai fini della coerenza e della logicità della decisione, per il giudizio di integrazione della fattispecie circostanzial in quanto la ricorrente, stante il contesto e la notorietà dei fatti, dovev necessariamente percepire il proprio contributo anche a favore dell’organizzazione ndranghetista cui apparteneva il suo interlocutore (Sez. 6, n. 9735 del 10/12/2013, COGNOME, Rv. 259106) soprattutto in assenza di un rapporto personale, di amicizia e di affinità, con il soggetto destinatario dell’aiuto.
In tema di favoreggiamento personale, infatti, l’aggravante menzionata può essere ravvisata quando la condotta sia volta specificamente ad agevolare la consorteria mafiosa, ciò che può ragionevolmente affermarsi nei casi in cui la protezione e l’ausilio concernano un soggetto che rivesta posizione apicale, di cui è diffusa la notorietà in un preciso contesto territoriale, in quanto il consapevole aiuto a questi di sottrarsi alle ricerche dell’autorità vale oggettivamente ad aiutare l’organizzazione mafiosa di riferimento, stante la compromissione della sua operatività nel caso del suo arresto, profilo che ben può inerire alla volontà del
favoreggiatore (da ultimo, Sez. 6, n. 23241 dell’ 11/02/2021, COGNOME Rv.
281522).
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle
spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 12 maggio 2025.