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Favor querelae: denuncia valida come querela per furto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per tentato furto. L’imputato sosteneva l’improcedibilità per mancanza di querela, come richiesto dalla Riforma Cartabia. La Corte ha stabilito che, in base al principio del favor querelae, la denuncia presentata dalla persona offesa, manifestando la volontà di punire il colpevole, è sufficiente per la procedibilità dell’azione penale, non essendo necessarie formule sacramentali.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Favor querelae: quando la denuncia vale come querela

La recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura sull’interpretazione della volontà della persona offesa nel processo penale, soprattutto alla luce delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia. Il caso in esame, relativo a un tentato furto, ruota attorno a un principio fondamentale: il favor querelae, ovvero l’interpretazione favorevole alla sussistenza della volontà di punire. Approfondiamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni pratiche.

I fatti di causa

Un individuo, condannato in primo grado e in appello per tentato furto, ha presentato ricorso in Cassazione. Il suo unico motivo di doglianza si basava su un aspetto puramente procedurale: la mancanza di una querela formale. Con l’entrata in vigore della cosiddetta Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022), il delitto di furto, prima procedibile d’ufficio in molti casi, è stato trasformato in un reato procedibile a querela della persona offesa. L’imputato sosteneva quindi che, in assenza di tale atto, l’azione penale avrebbe dovuto essere dichiarata improcedibile.

La questione del favor querelae dopo la Riforma Cartabia

La Corte di Cassazione si è trovata a dover bilanciare la nuova normativa con la necessità di tutelare la vittima del reato. La Riforma ha stabilito che per il furto si procede a querela, salvo eccezioni specifiche (ad esempio, se la vittima è incapace o se ricorrono determinate aggravanti). La difesa ha puntato proprio su questa innovazione legislativa per chiedere l’annullamento della condanna. Tuttavia, il punto cruciale non era se la querela fosse necessaria, ma come dovesse essere manifestata la volontà di punire. È qui che entra in gioco il principio del favor querelae.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno chiarito che, sebbene la legge richieda la querela, non impone l’uso di formule sacramentali o frasi specifiche. La volontà della persona offesa di ottenere la punizione del colpevole può essere desunta anche da atti che, pur non essendo formalmente una querela, ne contengono la sostanza. Nel caso di specie, la denuncia presentata dalla vittima è stata ritenuta, per il suo contenuto, una chiara e inequivocabile espressione della volontà punitiva. I giudici hanno richiamato un precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volontà di punizione non richiede formule particolari. Pertanto, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono un’esplicita manifestazione formale. Qualsiasi incertezza interpretativa, sottolinea la Corte, deve essere risolta applicando il principio del favor querelae, ovvero privilegiando l’interpretazione che conserva l’efficacia dell’atto come valida manifestazione di volontà della vittima.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio di grande importanza pratica: la sostanza prevale sulla forma. La volontà della vittima di un reato è l’elemento centrale e non può essere vanificata da un eccessivo formalismo. La decisione chiarisce che una denuncia dettagliata, da cui emerga chiaramente la richiesta di intervento della giustizia penale, è sufficiente a integrare la condizione di procedibilità della querela. Per i cittadini, ciò significa che l’importante è manifestare chiaramente la propria intenzione di far perseguire l’autore del reato. Per gli operatori del diritto, è un monito a interpretare gli atti non in modo meccanico, ma tenendo sempre in considerazione la reale volontà della parte lesa, in linea con il principio del favor querelae.

Dopo la Riforma Cartabia, una denuncia è sufficiente per procedere per il reato di furto?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, se dal contenuto della denuncia emerge in modo chiaro la volontà della persona offesa di ottenere la punizione del colpevole, questa può essere considerata equivalente a una querela, senza la necessità di formule specifiche.

Cosa significa il principio del favor querelae?
È un principio interpretativo secondo cui, in caso di dubbio o incertezza sul contenuto di un atto presentato dalla persona offesa, il giudice deve preferire l’interpretazione che ne riconosce la validità come querela, favorendo così la procedibilità dell’azione penale.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte ha ritenuto che la denuncia presentata dalla vittima costituisse una valida espressione della volontà di punire, rendendo così presente la condizione di procedibilità della querela e infondato il motivo di ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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