Fatture soggettivamente inesistenti: quando la forma tradisce la sostanza
L’emissione di fatture soggettivamente inesistenti rappresenta una delle frodi fiscali più insidiose, in quanto maschera operazioni reali dietro a uno schermo di soggetti fittizi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per accertare tale reato, sottolineando come la valutazione delle prove da parte del giudice di merito sia difficilmente contestabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni pratiche per le imprese.
I fatti del caso
Il legale rappresentante di una società, che chiameremo Alfa S.r.l., veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 8 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era quella di aver emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti al fine di permettere a un’altra azienda, la Beta S.r.l., di evadere le imposte sui redditi e l’IVA.
L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un unico motivo: un vizio di motivazione. A suo dire, le fatture contestate si riferivano a servizi e lavori che erano stati effettivamente eseguiti, contestando quindi l’inesistenza dell’elemento oggettivo del reato.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che le doglianze dell’imprenditore non rientravano nei motivi tassativi per cui si può ricorrere in Cassazione. In sostanza, l’appellante non contestava un errore di diritto, ma chiedeva ai giudici di legittimità di rivalutare le prove e ricostruire i fatti, un compito che spetta esclusivamente ai tribunali di primo e secondo grado. La Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza d’appello è manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non è stata riscontrata.
Le motivazioni sulle fatture soggettivamente inesistenti
La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello congrua, esauriente e idonea a spiegare l’iter logico-giuridico seguito. Il giudice di merito aveva correttamente accertato la natura fittizia della società Alfa S.r.l. sulla base di una serie di indizi convergenti e inequivocabili:
1. Sede Fittizia: L’indirizzo della società era inesistente.
2. Assenza di Struttura: La società era priva di una sede operativa reale, di dipendenti e di beni strumentali.
3. Irregolarità Contabili e Fiscali: Mancava la documentazione contabile e vi erano inadempimenti fiscali.
L’elemento decisivo che ha smentito la tesi difensiva è stato il contenuto stesso delle fatture. Queste riportavano la causale: “lavori eseguiti di viaggio per vostro conto e ordine con miei automezzi”. Tale dicitura era in palese e insanabile contrasto con la realtà accertata, ovvero che la società Alfa S.r.l. non possedeva alcun automezzo né aveva dipendenti per effettuare trasporti. Questo ha dimostrato, secondo i giudici, la piena consapevolezza dell’imprenditore riguardo alla natura fittizia dell’attività sociale e, di conseguenza, delle fatture emesse.
Le conclusioni: cosa insegna questa ordinanza
Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima è di natura processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. È un controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione. La seconda, di natura sostanziale, è un monito per gli imprenditori: la struttura operativa di un’azienda deve essere coerente con i servizi che fattura. L’assenza di mezzi, personale e una sede reale costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti che possono portare a una condanna per l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti, specialmente quando la descrizione in fattura contraddice palesemente la realtà aziendale.
Cosa si intende per fatture per operazioni soggettivamente inesistenti?
Sono fatture che attestano una transazione economica reale, ma indicano come parti soggetti diversi da quelli che hanno effettivamente compiuto l’operazione. Nel caso esaminato, il servizio (se mai eseguito) non poteva essere stato svolto dalla società emittente, che era una mera ‘scatola vuota’.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta nei gradi precedenti?
No, di regola non è possibile. Il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di merito. Si può contestare solo un ‘vizio di motivazione’ se questa è manifestamente illogica, contraddittoria o carente, ma non si può chiedere alla Corte di rivalutare le prove per giungere a una diversa ricostruzione dei fatti.
Quali elementi hanno dimostrato la natura fittizia della società emittente?
La Corte ha basato la sua decisione su plurimi indici convergenti: l’indirizzo fittizio, l’assenza di una sede societaria e di dipendenti, la mancata documentazione contabile e gli inadempimenti fiscali. L’elemento decisivo è stato il contrasto tra la causale delle fatture (‘trasporti con miei automezzi’) e la totale assenza di veicoli e personale in capo alla società.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38595 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38595 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a RAVENNA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/12/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado di condanna alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, avendo, in qua legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, emesso o rilasciato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti al fine di consentire alla RAGIONE_SOCIALE l’evasione delle imposte s redditi e sul valore aggiunto.
Il ricorrente deduce, con un unico motivo di ricorso, vizio di motivazione in ordine a sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, rappresentando che le fatture in contestazione afferiscono a servizi o lavori che sono stati realmente eseguiti dal fornitore.
Si considera che la doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindac in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente e idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, il giud a quo ha correttamente accertato l’inesistenza e l’inattività della società RAGIONE_SOCIALE, base di plurimi indici convergenti (indirizzo fittizio e assenza di sede societaria e di dipend mancata documentazione contabile e inadempimenti fiscali). Inoltre, la tesi difensiva del ricors ad appalti a terzi per l’esecuzione del servizio di trasporto, oltre a essere priva di riscontri, incompatibile con la causale delle stesse fatture, ove si legge “lavori eseguiti di viaggio per vo conto e ordine con miei automezzi”. Ne consegue l’inequivocabile consapevolezza, da parte del ricorrente, della natura fittizia dell’attività sociale, considerato che la società RAGIONE_SOCIALE di cui il ricorrente è rappresentante legale, non disponeva di alcun automezzo né di dipendenti per effettuare trasporti.
Stante l’inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisando assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19/09/2025
Il consigliere estensore
C
TATA
Il Presidente
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