Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35893 Anno 2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35893 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2025
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. 1402/2025
NOME COGNOME
Relatore –
UP Ð 01/10/2025
NOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2025
NOME COGNOME
NOME COGNOMENOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nata a Gorizia il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Trieste il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/12/2024 della Corte dÕappello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo lÕinammissibilitˆ dei ricorsi.
Con lÕimpugnata sentenza, la Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Trieste con la quale COGNOME NOME era stata condannata, alla pena sospesa di anni uno e mesi uno di reclusione, in relazione ai reati di cui ai capi A) e B) Ð art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 Ð e COGNOME NOME, alla pena sospesa di anni uno di reclusione, in relazione al reato di cui al capo C) Ð art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi, aventi motivi comuni, gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, e ne hanno chiesto lÕannullamento per
i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione di cui allÕart. 606 comma 1 lett. b), in relazione allÕerronea applicazione degli artt. 3 e 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, sotto il profilo della inesistenza soggettiva. Argomentano i ricorrenti che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse emesso due fatture, la prima di € 50.000,00 oltre iva nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e la seconda di € 105.000,00 oltre iva nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per operazioni soggettivamente e parzialmente inesistenti sullÕerroneo convincimento che la medesima non avesse svolto, ovvero avesse svolto solo in parte le prestazioni fatturate, importi fatturati che poi aveva versato allÕex marito COGNOME; che fosse sconosciuta alla societˆ RAGIONE_SOCIALE per la quale, invece, aveva svolto attivitˆ riguardante la vendita dellÕimmobile di cui si discute; che solo a fini transattivi con lÕRAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE, fu determinato il di prestazione svolta dalla COGNOME nella misura del 32,26%, mentre gli imputati avevano sempre ritenuto la misura del 50%. In tale contesto argomentano i ricorrenti che la transazione fiscale escluderebbe lÕipotesi accusatoria ovvero che la COGNOME avesse simulato la sua prestazione e pertanto fosse soggetto interposto nella operazione che avrebbe consentito al COGNOME un risparmio di imposta per effetto della mancata indicazione di redditi, rilevante ai sensi dellÕart. 3 d.lgs n. 74 del 2000. In ogni caso, la corte territoriale avrebbe ritenuto lÕinesistenza soggettiva che è incompatibile con la parzialitˆ dellÕesecuzione della prestazione.
2.2. Con il secondo motivo deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto superamento della soglia di punibilitˆ in relazione al delitto di cui allÕart. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. Emergerebbe pacificamente dagli atti processuali che il debito di imposta originariamente accertato nei confronti di COGNOME NOME ammontava ad euro 44.928,00 e fu ridotto a euro 35.823,00 nell’accordo transattivo con l’RAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE. Peraltro, come emerso pacificamente dalla testimonianza del funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE, il debito di imposta sarebbe stato di soli € 22.353,00, se la transazione fosse stata impostata con l’imputazione del 50% ad ognuno dei collaboratori. Per tale ragione non sarebbe superata la soglia di punibilitˆ prevista dalla norma incriminatrice che deriva dal calcolo effettuato sulla percentuale del 32,6%, come indicata nella transazione fiscale. Tale dato comunque sarebbe meramente empirico in quanto privo di parametro concreto di riferimento e meramente indicato a fini transattivi. Del resto, il giudice d’appello non avrebbe stabilito l’effettivo debito d’imposta e comunque non avrebbe considerato che la COGNOME aveva versato indebitamente somme di denaro pari a circa € 24.000,00 da cui emergerebbe un danno erariale
quantificabile in euro 11.000. Da cui il mancato superamento della soglia di punibilitˆ.
2.3. Con il terzo motivo deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione allÕart. 131 cod.pen. mancata applicazione della causa di non particolare tenuitˆ del fatto. Argomentano i ricorrenti che il danno erariale emergente dalla vicenda ammonterebbe a circa 11.000 € pari alla differenza tra il debito d’imposta imputabile al COGNOME, pari a 35.823 € , e l’imposta pagata in eccesso dalla COGNOME circa 24.000 € . Anche condividendo l’assunto dei giudici territoriali sull’autonomia delle due posizioni degli imputati, che non consentirebbe la compensazione dei debiti dell’uno e dei crediti dell’altro, la tenuitˆ del fatto avrebbe dovuto essere ritenuta considerando l’eccedenza di € 5823,00 sulla soglia di punibilitˆ. Peraltro, la tenuitˆ del fatto emergerebbe anche dalla circostanza dell’integrale adempimento del debito tributario a seguito dellÕaccordo transattivo, la cui valenza sarebbe stata esclusa, con motivazione illogica ed erronea, perchŽ intervenuta dopo lÕaccertamento fiscale. Pagamento del debito tributario che ora rileva ai sensi dell’articolo 13 comma 3, d.lgs n. 74 del 2000, come modificato dal decreto legislativo 87 del 2024.
La difesa ha depositato memoria scritta con cui ha insistito nellÕaccoglimento dei ricorsi e in particolare nella richiesta di applicazione della causa di non punibilitˆ ex art. 131 cod.pen.
Il AVV_NOTAIO generale ha concluso chiedendo lÕinammissibilitˆ dei ricorsi.
Il primo motivo di ricorso con cui si denuncia il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della responsabilitˆ dei ricorrenti, nelle loro rispettive qualitˆ, di soggetto emittente le due fatture per operazioni inesistenti (COGNOME NOME) e soggetto che le ha utilizzate nelle dichiarazioni fiscali per abbattere i costi (COGNOME NOME) risulta inammissibile.
Il difensore dei ricorrenti, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni giˆ devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata.
é ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni giˆ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificitˆ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non
solo per la sua genericitˆ, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non pu˜ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificitˆ che conduce, a norma dell’art. 591 cod.proc.pen., comma 1, lett. c), alla inammissibilitˆ della impugnazione (Sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, COGNOME non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, COGNOME, Rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilitˆ delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericitˆ delle doglianze che, cos’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, COGNOME e altri, Rv. 260608).
La corte territoriale, in continuitˆ con il giudice di primo grado, sulla scorta dellÕaccertamento in punto di fatto non contestato e segnatamente lÕavere, COGNOME NOME, titolare di una ditta individuale di stilista e creazione modelli di abbigliamento, emesso due fatture una nel 2015 e lÕaltra nel 2016, la prima nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per € 50.000,00 oltre iva, per Òstudio dello stato di fatto degli immobiliÉÓ e la seconda, per € 105.000,00 oltre iva, nei confronti dellÕRAGIONE_SOCIALE immobiliare Il RAGIONE_SOCIALE, per compensi maturati nel contesto di unÕoperazione immobiliare riguardante un’importante compravendita immobiliare, di valore superiore ai sei milioni di euro, che prevedeva un compenso complessivo per il COGNOME di euro 155.000,00, importo che doveva essere corrisposto dall’RAGIONE_SOCIALE immobiliare RAGIONE_SOCIALE in misura di 105.000 € , e dalla societˆ RAGIONE_SOCIALE, acquirente per euro 50.000; che la COGNOME aveva ricevuto il pagamento delle fatture e dopo aveva riversato la gran parte dei compensi incassati ( € 45.000,00 + 61.000,00) al COGNOME; che l’incarico relativo alla vendita del complesso immobiliare e la pattuizione del relativo corrispettivo era in capo COGNOME, ha argomentato che ricorreva una ipotesi di inesistenza soggettiva delle due fatture per essere stata la prestazione indicata svolta, in tutto o almeno in parte, dal COGNOME (e non dalla COGNOME)sulla scorta di una pluralitˆ di elementi convergenti in tal senso: il testimoniale di numerosi soggetti che avevano preso parte alle pratiche connesse alla vendita del complesso immobiliare di cui si discute, nessuna della quali si era interfacciata con la COGNOME, che la stessa, peraltro titolare di una ditta individuale in altro settore merceologico, non risultava avere le competenze per lo svolgimento dellÕincarico, incarico che, peraltro, era
stato pattuito dal COGNOME con la societˆ acquirente RAGIONE_SOCIALE e lÕRAGIONE_SOCIALE immobiliare per gli stessi importi fatturati dalla COGNOME che, poi, in gran parte aveva retrocesso al COGNOME il quale, a sua volta, per effetto dellÕoperazione simulata, aveva omesso di dichiarare i ricavi, derivanti dalle due fatture, da cui era conseguito un attivo imponibile inferiore a quello reale con evasione delle imposte e superamento della soglia di punibilitˆ prevista dallÕart. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
A logica conclusione sono pervenuti i giudici del merito che con motivazione congrua e aderente al dato probatorio, hanno ritenuto dimostrata lÕinesistenza soggettiva delle fatture emessa dalla COGNOME, per essere le prestazioni ivi indicate, in tutto o almeno in parte (a voler dar credito alle dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME che indicava nella misura del 40% lo svolgimento delle prestazioni da parte dellÕex moglie), non imputabili allÕemittente COGNOME da cui lÕinterposizione fittizia di costei.
La motivazione resiste alle censure difensive in quanto risulta accertato che NOME ha emesso le due fatture di cui si discute, indiscutibilmente riferibili ad unÕattivitˆ, quella relativa alla vendita di un complesso immobiliare per la quale il COGNOME aveva assunto un incarico e pattuito compensi proprio con i soggetti destinatari delle due fatture, dalla medesima non svolta (in tutto o in parte), che gli importi sono stati pagati alla medesima che poi li ha riversati, gran parte, al marito, integrando tale fattispecie una ipotesi di interposizione fittizia e dunque lÕemissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Come è noto, in tema di reati tributari, il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche nel caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, in cui l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e non vi sia, tuttavia, corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura o altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione (Sez. 3 – , n. 16576 del 01/03/2023, Rv. 284494 Ð 01) ed è configurabile in caso di fatturazione che presenta una diversitˆ tra uno o entrambi i soggetti indicati nel documento e coloro che hanno posto in essere l’operazione oggetto di imposizione fiscale (Sez. 3, n. 53319 del 28/09/2018, Tarquini, Rv. 275178 Ð 01).
LÕart. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 punisce chiunque, a fini di consentire lÕevasione a terzi, emette o rilascia fatture per operazioni inesistenti, e tra le “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte” di cui all’art. 1, comma primo, lett. a), D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, qualificate come “inesistenti” ai fini della configurabilitˆ dei reati di cui agli artt. 2 ed 8 del citato decreto, rientrano anche quelle solo parzialmente inesistenti, da cui la irrilevanza, ai fini della sussistenza del reato, della determinazione della quota di prestazione svolta dalla COGNOME che era stata diversamente quantificata dallÕAgenzie delle RAGIONE_SOCIALE nella misura del 32,26%, mentre gli imputati avevano sempre ritenuto la misura del
50%, in un contesto nel quale è pacifico che occorre tenere distinta la nozione di pretesa tributaria come eventualmente determinata per effetto di accordi con lÕamministrazione dalla determinazione dellÕimposta evasa a fini penali, non essendo, il giudice penale, vincolato all’imposta accertata in sede tributaria.
E ci˜ vale anche per disattendere, in quanto manifestamente infondato, il secondo motivo di ricorso che deduce il mancato superamento della soglia di punibilitˆ in relazione allÕart. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, contestato limitatamente alla dichiarazione del 2017 in relazione ai ricavi del 2016, in ragione del minor imponibile oggetto dellÕaccordo transattivo con lÕRAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE che, stante lÕautonomia dei due giudizi, non configura lÕentitˆ dellÕimposta evasa dal COGNOME per effetto della mancata indicazione di ricavi conseguente allÕoperazione simulata in forza della quale la prestazione professionale relativa allÕoperazione immobiliare, per la quale lui stesso aveva pattuito il compenso con lÕacquirente e lÕagente immobiliare, era stata fiscalmente fatta documentare come svolta dalla ex moglie COGNOME NOME, da cui conseguiva una evasione di imposta superiore alle soglie di legge, non potendo essere ridotta dellÕammontare dellÕimposta versata dalla COGNOME essendo voci di imposta distinte e in ragione della natura di soggetto interposto, che, ex art. 37 comma 4 d.p.R. 600/1973, non consente di essere portata in detrazione dallÕautore dellÕillecito.
Consegue la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Il terzo motivo di ricorso risulta infondato.
Deve preliminarmente rilevarsi che la sentenza di appello è intervenuta dopo la modifica operata dal d.ls n. 87 del 2024 che, proprio nei reati tributari, ha introdotto rilevanti modifiche ai fini dellÕapplicazione della causa di non punibilitˆ ex art. 131 cod.pen.
Peraltro, questa Corte ha giˆ chiarito che, con riguardo ai reati tributari, le condotte susseguenti al reato, tra cui vi è il pagamento del debito tributario anche per effetto di procedure conciliative, per effetto della novella dell’art. 131-bis cod. pen. ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non possono, di per sŽ sole, rendere di particolare tenuitˆ un’offesa che tale non era al momento del fatto, ma che tuttavia possono essere valorizzate nell’ambito del giudizio complessivo sull’entitˆ dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma 1. cod. pen.,
Nella stessa direttrice di dare rilievo, sempre nell’ottica dell’art. 131-bis cod. pen., al pagamento del debito, è intervenuto il legislatore che ha modificato l’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, per come novellato dal d. 1gs. 14 giugno 2024, n. 87. Nella norma, infatti, è stato inserito il comma 3-ter, in forza del quale “ai fini della non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici: a) l’entitˆ dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito
ai fini della punibilitˆ; b) salvo quanto previsto al comma 1, l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria; c) l’entitˆ del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; d) la situazione di crisi ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”.
Ci˜ posto, la sentenza impugnata ha negato la ricorrenza della causa di non punibilitˆ ex art. 131 cod.pen. ritenendo insussistenti i presupposti non essendo intervenuto il pagamento del debito tributario per effetto dellÕaccertamento con adesione.
Ora i ricorrenti contestano la motivazione, anche ribadita nella memoria difensiva depositata nel giudizio di legittimitˆ, allegando la tenuitˆ dellÕoffesa in ragione del minimo scostamento rispetto alla soglia di punibilitˆ (per € 5.823,00) lˆ dove lÕentitˆ dellÕimposta evasa era pari ad € 35.823,00, che non pu˜ certamente ritenersi esiguo (essendo superiore all’16,25 %); il che esclude a priori la possibilitˆ di considerare il fatto di particolare tenuitˆ (Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, Latorre, Rv. 278946 Ð 01) anche dopo la modifica di cui allÕart. 13 comma 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, esclusione della tenuitˆ dellÕoffesa in un contesto nel quale non viene allegato l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria.
Conclusivamente, i ricorsi devono essere rigettati e ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali Cos’ deciso il 01/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME