Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4211 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 4211  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOME, nato a Sassari il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 29/11/2022 della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta per l’imputato la memoria difensiva dell’AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso 
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 29 novembre 2022 la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha confermato, aggiungendo la pena sospesa, la sentenza in data 22 aprile 2021 del GUP del Tribunale di Tempio Pausania che aveva condannato NOME COGNOME alle pene di legge per il reato dell’art. 2 dl.gs . n. 74 del 2000.
Ricorre per cassazione l’imputato sulla base di due motivi.
Con il primo deduce la violazione di legge in merito all’accertamento di responsabilità del reato ascritto, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Evidenzia, quanto al primo, che il contratto relativo al distacco di autisti dalla società portoghese alla società italiana era stato correttamente eseguito e, quanto al secondo, che non era stato individuato il dolo specifico di evasione perché non era stata verificata l’incidenza fiscale dell’operazione.
Con il secondo denuncia il travisamento della prova: non era vero che tutti i dipendenti fossero italiani, perché uno era georgiano, uno moldavo e quattro ucraini; non era vero che i dipendenti non conoscessero l’amministratore delegato, perché erano stati sentiti solo tre autisti su venti e non era noto se conoscessero altre figure apicali della società; NOME COGNOME non era un dipendente della società al momento dell’escussione a sit; l’uso degli automezzi della società italiana non era indicativo dell’intermediazione illecita di manodopera, perché costituiva un elemento contrattuale. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.  Il ricorso è manifestamente infondato.
Entrambi i motivi, sia pure sotto le diverse angolazioni della violazione di legge e del vizio di motivazione, sollecitano la Corte di cassazione a esprimere una lettura alternativa dei fatti rispetto a quella compiuta dai Giudici di merito. Esorbita, tuttavia, dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito. Il controllo sulla motivazione è circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza RAGIONE_SOCIALE argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo, e della non emersione di alcuni dei suddetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame. Pertanto, la presenza di tali requisiti rende la decisione insindacabile (si veda tra le più recenti, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, R v. 284556-01).
 Nello specifico, i Giudici di merito hanno accertato l’interposizione fittizia della società portoghese per la fornitura di manodopera, non solo sulla base degli elementi segnalati come travisati dal ricorrente, bensì sulla base di altri e decisivi elementi non contestati: i lavoratori avevano sempre lavorato in Sardegna, alle dipendenze della società italiana, prendendo ordini dall’imputato, e sottoscrivendo nella sede di questa il contratto con la società portoghese.
Il ricorrente ha insistito nel ricorso per cassazione, come già nell’atto di appello, nel sostenere la tesi della liceità del contratto di intermediazione e della sua corretta esecuzione da parte della società portoghese.
La giurisprudenza civile ha chiarito che, quando l’appaltante-interponente non solo organizzi, ma diriga anche i dipendenti dell’appaltatore rimanendo sull’interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa, non si può parlare di un valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l’appaltatrice, è nullo con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA da parte della società contribuente (tra le più recenti, Sez. 5, civ., n. 12807 del 26/06/2020, Rv. 658043-01).
Dalla corretta applicazione di tale principio di diritto, i Giudici di merito hanno fatto discendere la responsabilità per il reato contestato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000. E’ orientamento consolidato che il delitto di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini IVA, è integrato dall’utilizzo di elementi passivi fittizi costituiti fatture emesse da una società che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia in realtà effettuato attività di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura (tra le più recenti, Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Casanova, Rv. 282985-01).
Il ricorrente ha poi lamentato che non era stato provato il danno per l’Erario, e quindi il dolo specifico.
Si tratta di un’affermazione generica che non confuta l’accertamento RAGIONE_SOCIALE sentenze di merito, secondo cui, alla stregua del pvc della Guardia di Finanza, vi era stato per l’anno d’imposta 2012 un maggior reddito d’impresa per euro 165.623,00, con corrispondente IRES non dichiarata e non versata per euro 18.353,00.
D’altra parte, ai fini del dolo del reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, basta la consapevolezza, da parte di colui che utilizza il documento fiscale recante operazioni soggettivamente inesistenti in una dichiarazione, della frode fiscale (tra le più recenti, Sez. 3, n. 50362 del 29/10/2019, Pollice, Rv. 277938 – 01 e n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104-01).
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Così deciso, il 19 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente