Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12659 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12659 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Pozzoleone il 25/07/1951
avverso la sentenza del 15/04/2024 della Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia emessa dal G.u.p. del Tribunale di Vicenza all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la Corte di appello di Venezia ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione a due violazioni all’art. 2 d.lgs. n. 7 del 2000 contestate ai capi 1) e 2) della rubrica perché estinte per prescrizione e, per l’effetto, ha rideterminato la pena nella misura di un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusioni in relazione alle residue violazione ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contestate ai capi 3), 4), e 5), e al delittdprevisto dall’art. 10 d medesimo d.lgs. (capo 6), nel resto confermando la decisione impugnata.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi.
2.1. Con un primo motivo, lamenta la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 Rappresenta il difensore che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, i rapporti tra la società del RAGIONE_SOCIALE e quella del RAGIONE_SOCIALE erano effettivi come risulta dalle tredici fatture emesse nel 2016 e nel 2017 regolarmente pagate dal RAGIONE_SOCIALE, e considerando che la Corte d’appello, in maniera contraddittoria, ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del COGNOME, sebbene sia provato che abbia intrattenuto rapporti commerciali con il COGNOME anche successivamente al 2015. Le medesime argomentazioni valgono a proposito del fornitore RAGIONE_SOCIALE, la cui inesistenza è stata fondata sulla irreperibilità del COGNOME, senza considerare le fatture emesse da quest’ultimo nei confronti della ditta del Pigatto e allegate alla memoria difensiva in atti, a dimostrazione della effettività dei rapporti commerciali tra il COGNOME e il COGNOME. Aggiunge difensore che il dato valorizzato dalla Corte di merito a sostegno della fittizietà delle operazioni, ossia il fatto che il COGNOME avesse solamente tre fornitori, non è dirimente, considerando che l’attività commerciale aveva confini limitati, così come la contestazione, da parte del COGNOME, della corrispondenza della rappresentazione grafica del logo utilizzato nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE è priva di qualsivoglia argomentazione, anche considerando che il COGNOME, in relazione a tale fatto, non ha intrapreso alcuna azione legale. Allo stesso modo, nessuna rilevanza assume la mancata identificazione dei luoghi di consegna della merce, posto che, in relazione alla tipologia (pellame), detta consegna poteva avvenire in qualunque luogo. Aggiunge il difensore che, in ogni caso, non vi è
prova che il COGNOME abbia acquistato merce da soggetti diversi da quelli emittenti le fatture, ciò che esclude la sussistenza del dolo.
2.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen. in relazione all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000. Rappresenta il difensore che gli elementi utilizzati dai giudici di merito per ravvisare la fittizietà soggettiva del operazioni indicate in fattura – ossia il pagamento in contanti, l’esiguità dei fornitori, la mancata individuazione dei luoghi di consegna della merce – sono elementi di contorno e, comunque, non sono sorretti dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, in quanto l’esiguità del numero dei fornitori può essere espressione della contenuta dimensione imprenditoriale della ditta del COGNOME, mentre il pagamento in contanti e la consegna della merce sono profili che attengono unicamente all’esecuzione del rapporto negoziale.
2.3. Con un terzo motivo, censura la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non avendo la Corte di merito spiegato perché il COGNOME, ritenuto inattendibile, è stato creduto laddove ha affermato di non aver più incontrato il COGNOME dopo la cessazione della propria attività, né perché non ha considerato le fatture emesse nel 2015 e nel 2016 dal Grimaldi per l’acquisto di pellame, poi rivenduto a un cliente greco.
2.4. Con un quarto motivo, eccepisce la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen. in relazione all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000. Ad avviso del difensore, manca la prova del dolo specifico, difettando qualsivoglia evidenza, anche solo indiziaria, in grado di comprovare la finalità di evasione, che non può essere desunta dalla commissione del delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
2.5. Con un quinto motivo, censura la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000. I giudici d merito avrebbe errato, laddove hanno ravvisato la sussistenza del reato, che ha natura commissiva, dalla mera mancata esibizione dei documenti contabili; né, in senso contrario, deporrebbe la dichiarazione dell’imputato, con la quale ha riconosciuto le fatture di vendita contestate, trattandosi di affermazioni generiche e non circostanziate.
2.6. Con un sesto motivo, deduce la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62, n. 6, 62-bis e 163 cod. pen. Evidenzia il difensore che la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di sospensione condizionale della pena può ben essere avanzata in sede di conclusioni e, quanto, al merito, che la Corte d’appello non
ha valutato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, con la quale si è dato atto dell’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
2.7. Con un settimo motivo, eccepisce la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla rimodulazione della pena per effetto della dichiarazione di intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi 1) e 2), non avendo la Corte di merito esplicitato i criteri per la determinazione sia della pena base, sia di quella inflitta a titolo di continuazione.
2.8. Con un ottavo motivo, censura la violazione del’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. quanto alla disposta confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché reitera motivi, per lo più di contenuto valutativo e fattuale, che la Corte di merito, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato con motivazione immune da violazioni di legge e da vizi motivazionali, e con la quale il ricorrente omette di misurarsi criticamente.
I primi quattro motivi – esaminabili congiuntamente in quanto, sotto diverse angolazioni, censurano la motivazione con riferimento all’affermazione della responsabilità penale per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture recanti operazioni soggettivamente inesistenti – sono inammissibili.
2.1. Richiamati i ben noti limiti del sindacato che compete alla Corte di cassazione, cui è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260), i giudici di merito, con doppia valutazione pienamente convergente, hanno ritenuto dimostrata la responsabilità penale dell’imputato con un percorso argomentativi immune da vizi logici e sostenuto da una pluralità di convergenti elementi probatori, puntualmente indicati, ritenuti chiaramente dimostrativi della inesistenza soggettiva delle operazioni riportate nelle fatture degli apparenti fornitori, peraltro – circostanza ritenuta di per s anomala, solo tre nel periodo verificato 2012-2018 e tutti inadempienti agli obblighi fiscali -, ossia: 1) la RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME era cessata già nel 2009 – e quindi ben tre anni prima dell’emissione della fatture -, e il COGNOME, che l’imputato ha sostenuto di incontrare regolarmente, era da tempo irreperibile sia presso la sua abitazione, sia presso la sede sociale – la quale,
peraltro, versava in stato di abbandono -, ed era indagato dall’A.G. di Firenze per emissione di fatture per operazioni inesistenti; 2) la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME era a sua volta cessata dal 2015 e il titolare aveva riferito di non incontrarsi con il COGNOME da almeno dieci anni e di non avere mai intrattenuto rapporti commerciali con la Pierre di COGNOME NOME; 3) la RAGIONE_SOCIALE esercitava attività di noleggio di autovetture e, da accertamenti presso l’anagrafe tributaria, risultò che il nominativo fornito dal COGNOME, tale NOME COGNOME, riconduceva a due soggetti deceduti, mentre il numero di telefono pure indicato dal COGNOME era intestato a tale NOME COGNOME esercente un’attività del tutto diversa; 4) tutti i pagamenti delle operazioni fatturate erano stati effettuati per contanti; 5) tutti i titolari delle tre società asseritamente fornitrici della NOME era gravati da precedenti penali per delitti contro il patrimonio e per reati fiscali.
Orbene, sulla base di tali elementi, complessivamente ed unitariamente valutati, la Corte di merito ha ritenuto, con una valutazione di fatto certamente non implausibile sul piano logico, che, a fronte dell’effettivo espletamento, da parte del COGNOME, di attività di impresa nel commercio all’ingrosso di pellami, le fatture in contestazione, poi annotate in contabilità, fossero state emesse nei confronti di soggetti di comodo, peraltro evasori totali, per consentire al cessionario di esporre nella dichiarazione fiscale passività fittizie.
2.2. La Corte di appello, inoltre, si è fatta carico delle argomentazioni difensive, nuovamente riproposte in questa sede, ad esse replicando: 1) che la mancata individuazione del/i reale/i fornitore/i del COGNOME è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato; 2) che, anche a prescindere delle dichiarazioni del COGNOME, gli elementi dinanzi indicati sono comunque chiaramente indicativi del fatto che le fatture non siano riconducibili all’impresa del COGNOME, e considerando che l’esistenza di successive fatture (la cui regolarità non è comunque provata), evidentemente non si riflette retrospettivamente, conferendo il crisma della correttezza su quelle precedentemente emesse; 3) che, anche seguendo quanto affermato dal COGNOME, ossia che il COGNOME abbia continuato ad operare nel settore del commercio dei pellami, nondimeno ciò non scalfisce le conclusione circa l’inesistenza del soggetto emittente le fatture, che aveva cessato l’attività nel 2009; 4) che, quanto alle fatture apparentemente emesse dalla Transport.net ., il ricorrente non si era confrontato con quanto ritenuto dal Tribunale, ossia che la società era riconducibile a soggetti deceduti e che il numero telefonico apparteneva a un soggetto esercente un’attività del tutto differente da quello del commercio di pellami.
2.3. A fronte di tale apparato argomentativo, le censure dedotte con i primi tre motivi risultano inammissibili, sia perché hanno un contenuto fattuale, in quanto criticano la valutazione delle prove operata dai giudici di merito, sia
perché non si confrontano criticamente con la motivazione posta a fondamento della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
2.4. Le medesime conclusioni valgono in relazione alla sussistenza del dolo di evasione, che la Corte di merito ha desunto, in maniera non manifestamente illogica, dalla sistematicità dell’impiego di fatture soggettivamente inesistenti, per un arco temporale di cinque anni, dal consistente vantaggio fiscale conseguito dal COGNOME e dal diffuso contesto di illegalità, posto che il COGNOME ha occultato tutte le fatture utilizzate nelle dichiarazioni annuali, rendendo altresì responsabile del delitto ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000. Anche in tal caso, le censure mosse con il quarto motivo sono fattuali e assertive, sicché non superano il vaglio di ammissibilità.
3. Il quinto motivo è inammissibile.
3.1. Quanto alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non vi è motivo di discostarsi – ma, anzi, va ribadito – l’orientamento di questa Sezione, secondo cui il reato dell’art. 10, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito, donde la necessità del relativo specifico accertamento, anche per distinguere la fattispecie penale rispetto alla condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (da ultimo, Sez. 3, n. 1441 del 12/07/2017, dep. 2018, Andriola, Rv 272034).
Ciò posto, oggetto della condotta di distruzione o di occultamento può certamente essere la fattura, come emerge dalla lettera dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, che contempla, in via alternativa, le “scritture contabili” e “i documenti di cui è obbligatoria la conservazione”, locuzione che abbraccia, appunto, la fattura. La conservazione delle fatture, infatti, è imposta, ai fini fiscali, dagli a 39, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, e 22, d.P.R. n. 600 del 1973, oltre che, a fini civilistici, dall’art. 2214, comma 2, cod. civ.; è altrettanto noto che la fatt deve essere emessa in duplice esemplare, uno dei quali è consegnato alla parte, ai sensi dell’art. 21, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972. Risponde, dunque, a canoni di logica desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l’ha emessa (cfr. Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, COGNOME, Rv. 274862).
Se, dunque, è indubitabile che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 10, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la mancata esibizione delle scritture contabili, ma è necessario un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e
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tenuta è obbligatoria per legge (Sez. 5, Sentenza n. 35591 del 20/06/2017, Rv. 270809 – 01), nondimeno, poiché le fatture devono essere emesse in duplice esemplare, il rinvenimento delle stesse presso il terzo destinatario di tali atti può far desumere legittimamente che il mancato rinvenimento delle altre copie presso l’emittente sia conseguenza della loro distruzione o del loro occultamento (cfr. Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862 – 01).
3.2. La Corte di merito ha fatto buon governo dei principi ora richiamati, rilevando che la mancata esibizione, nel corso degli accertamenti posti in essere dalla G.d.F., delle numerosissime fatture, poi recuperate presso i clienti dell’imputato, sia conseguenza della loro distruzione o del loro occultamento, anche considerando il complessivo contesto di illegalità in cui avveniva l’esercizio dell’attività d’impresa da parte dell’imputato, come acclarato dalla violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per cinque consecutive annualità di imposta.
Inammissibili sono i restanti motivi, afferenti il complessivo trattamento sanzionatorio, in relazione al quale la Corte di merito ha reso una motivazione immune da vizi logici.
4.1. Invero, la Corte di appello, decurtata la pena irrogata per i due reati dichiarati prescritti, ha ritenuto del tutto adeguato il trattamento punitivo complessivamente inflitto dal Tribunale, peraltro in prossimità dei minimi edittali con riguardo sia alla pena base, sia agli aumenti per la continuazione, espressamente valutando, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., l’elevata l’intensità del dolo e la gravità dei fatti desunta dal significativo pregiudizio alle ragioni erariali
4.2. Quanto, poi, al diniego delle circostanze attenuanti ex art. 62 n. 6 e 62bis cod. pen. la Corte d’appello non solo ha rilevato che la richiesta era stata avanzata solamente in sede di discussione, senza alcuna argomentazione a sostegno, ma ha individuato, quale elementi ostativi, la gravità e la pluralità delle condotte delittuose, e nemmeno risultando, quando all’attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen. né l’integrale pagamento del dovuto, né il rispetto del limite temporale previsto dalla norma in esame.
4.3. Con riguardo alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, la Corte di merito ha individuato due elementi ostativi, vale a dire la presenza di precedenti condanne e, in ogni caso, l’impossibilità di formulare un giudizio prognostico comportamentale positivo in reazione della serialità degli illeciti.
4.4. A fronte di tale apparato argomentativo – adeguato, fondato su puntuali elementi di fatto e scevro da profili di illogicità manifesta – il ricorre confeziona censure generiche, che quindi non superano il vaglio di ammissibilità.
4.5. Quanto, infine, alla confisca, in disparte della genericità del motivo, sfornito di qualsivoglia apparato argomentativo, si osserva che nessuna censura era stata sollevata, sul punto, con l’atto di appello, sicché la questione non può essere proposta, per la prima volta, nel giudizio di legittimità, esulando dalle ipotesi previste dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 05/02/2025.